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 2004  giugno 06 Domenica calendario

ccide il cliente con un coltellaccio

• ccide il cliente con un coltellaccio. Lo trovano avvolto in un tappeto, arrotolato nel sangue. Lei accanto con l’arma in mano. Firdaus, la più bella e ricca prostituta del Cairo, aspetta l’esecuzione in una galera schifosa. è il 1974 quando Navaal El Saadavi, astro del femminismo arabo, la va a trovare. Medico e psichiatra, ha il compito di visitare le carceri. La fa parlare e trascrive la sua vita sofferta e coraggiosa. A 13 anni l’hanno data in moglie a un cinquantenne pustoloso. è scappata. Ha fatto sesso per mestiere e talvolta ha immaginato il piacere. Provava una pulsione incomprensibile, sentiva un’eco pungente salire dal ventre alla testa, ma niente di più. Prima delle nozze era stata ”tagliata”. Tra i dotti d’Occidente alcuni collocano l’origine del taglio della clitoride e del taglia e cuci della vagina (che non vanno necessariamente assieme) nell’Egitto faraonico, altri propendono per la penisola Arabica, altri ancora sostengono il ”non si sa”, visto che clitoridectomizzate o infibulate abitavano e tuttora abitano vaste zone dell’Africa, pezzi del vicino e lontano Oriente, enclave musulmane in Malesia e Indonesia. Fonti certe risalgono a Erodoto (IV secolo a.C.) e a Soramus (8 a.C.). Il primo testimonia che la recisione era praticata da egizi, fenici, ittiti, etiopi. Il secondo, medico greco in Alessandria e in Roma, fornisce una descrizione dettagliata degli strumenti adoperati e della sequenza chirurgica seguita per circoncidere i ragazzi e recidere le ragazze egiziane. L’infibulazione, invece, era programmata dai romani per schiavi e schiave: chiudevano gli organi genitali con una fibula per impedire loro l’attività sessuale. Ma l’infibulazione africana, araba, orientale è un’altra cosa, iniziata molto prima, non si sa dove e quando.
• tutti riti di passaggio Circoncisione, cliteridectomia, infibulazione non sono mai cambiate nel metodo dell’esecuzione e negli effetti, segno evidente della loro persistenza simbolica. La circoncisione consiste nello spezzare il frenulo del pene per asportare il cappuccio del glande. Viene praticata oggi anche da noi, nelle strutture mediche. Negli Usa molti genitori non ebrei e non convertiti all’Islam fanno circoncidere i figli da piccoli. Da grandi gli uomini scappucciati non patiscono assenza di piacere, anzi. Con il glande indurito per mancanza di protezione possono concedersi coiti fascinosi, erezioni prolungate, ritenzione dello sperma. La cliteridectomia non è praticata in Occidente ed è vietata ovunque. A nessun genitore del primo mondo, a meno che non sia convertito alla religione di Maometto, viene in mente di sottoporre le figlie all’operazione. Consiste nel recidere il prepuzio della clitoride, la parte più sensibile, oppure nell’asportarla per intero, anche la parte interna. Talvolta è accompagnata dall’abrasione delle piccole labbra. Con l’infibulazione, in più, vengono asportate piccole e grandi labbra. I monconi vengono poi cuciti con spinosi rametti d’acacia o fili di seta, nei luoghi in cui si rispetta la tradizione, con normali fili di sutura quando gli interventi hanno luogo in ospedale. Succede in Africa, anche se in diversi paesi queste operazioni sono vietate. La donna tagliata perde uno dei pilastri del piacere, quella tagliata e cucita al primo coito soffre da pazzi. Soffre un po’ meno se il marito rimuove le cuciture, se a lui piace così. Lei espelle urina e sangue mestruale da un buco piccolo come chicco di miglio. Non può lavare l’interno della vulva, né essere visitata se si ammala. Deve essere disinfibulata al parto, rinfibulata subito dopo. L’età di queste pratiche varia, sia per le femmine sia per i maschi, e comunque non supera i 10, 11 anni. La letteratura etno-antropologica classifica circoncisione, cliteridectomia, infibulazione tra i ”riti di passaggio”, di iniziazione alla vita adulta. Fino a una manciata di anni fa nei libri degli esperti non si faceva differenza linguistica tra taglio maschile e tagli femminili: tutte ”circoncisioni” erano. Oggi, per contrappasso, la differenza è codificata in maniera simil-burocratica.
• nome in codice: mfg I superstati e le agenzie mondiali, dall’Onu in giù, adottano l’espressione ”mutilazioni dei genitali femminili” e il suo acronimo MFG. Le rubricano tra le violazioni dei diritti umani, le combattono. Tutto è cominciato all’epoca del clitorido-centrismo femminista, anni Settanta/Ottanta del secolo scorso. Nei consessi tipo ”donne del mondo unitevi”, sponsorizzati dalle istituzioni internazionali, femministe occidentali rinfacciavano le mutilazioni alle rappresentanti africane, e queste rispondevano ”fatevi i fatti vostri”. Oggi è tutto cambiato. Sotto l’ombrello degli aiuti umanitari, una catena transnazionale e transetnica di professioniste e di volontarie opera in Europa e in Africa sotto la parola d’ordine ”Stop MFG”. è l’Europa la più pungolata dalla questione dei ”tagli”. Vuoi per via degli immigrati che, in barba alle leggi, sottopongono alla cliteridectomia o all’infibulazione le bambine, vuoi per via della guerra-guerreggiata, sia pur a malincuore nel vecchio continente, tra noi e l’Islam, cui si attribuisce la massima responsabilità nell’aver favorito e favorire queste pratiche. In realtà è molto complicato ricostruire i nessi storici e attuali tra mutilazioni e religioni. La testimonianza dell’esploratore scozzese tardo-settecentesco James Bruce ci aiuta. Raccontò che in Egitto i missionari cattolici, convinti che il taglio delle donne fosse un costume ebraico (mentre non lo è mai stato) proibirono ai convertiti di praticarlo alle figlie e che l’ordine venne rispettato. Se non che la comunità dei convertiti andò in crisi. Senza taglio, le donne pubere «presentavano una deformazione così visibilmente mostruosa che ripugnava agli uomini». I convertiti non sposavano le convertite, bensì le eretiche. I missionari, preoccupati del fatto che la comunità cattolica non cresceva, chiesero lumi al Collegio della Propaganda Fidae. Questi spedì in Egitto medici valenti per visitare le bambine e le adolescenti. Riferirono che effettivamente, per il caldo o per la stranezza anatomica delle negre, la loro clitoride ingombrava e quindi poteva non piacere ai loro uomini. Così da Roma partì il permesso di tagliare le ragazze a patto che i loro genitori dichiarassero di non farlo per imitare gli ebrei, bensì per farle sposare. Altre testimonianze etnografiche, coeve agli studi di Bruce o precedenti, ma confermate per l’attualità nei documenti del prezioso archivio dell’Aidos (associazione di donne per lo sviluppo) riguardano l’Etiopia. Dicono che colà i tagli venivano e vengono effettuati in tutte le comunità religiose: animiste, copte, ebree (tribù dei Falasha), cattoliche e islamiche. I missionari, infatti, per preservare la salute fisica delle piccole (ché quella sessuale non è mai stata in cima alle loro preoccupazioni) hanno sempre preferito convincere i genitori delle bambine a farle tagliare in condizioni igieniche.
• la regista da uccidere Solo da quando, più o meno una ventina di anni fa, l’appartenenza all’Islam ha virato nell’integralismo e nel fanatismo religiosi, in opposizione al cosiddetto imperialismo culturale occidentale, le escissioni vengono incoraggiate. Nella complicata genealogia prescrittiva cui si attengono i fedeli di Maometto, l’infibulazione è vietata mentre è previsto far uscire poche gocce di sangue pungendo la clitoride. Nell’Islam i taglietti sono sempre stati eseguiti, ma senza che ci sia una prescrizione della legge coranica. Li consente la sunna, che in arabo vuol dire ”tradizione”, un corpo di norme suggerite dalle ahadith, le massime del Profeta. Oggi l’ablazione detta sunna viene propagandata con vigore dagli Imam, non solo in Africa ma anche negli immensi presidi musulmani d’Estremo Oriente dei quali nulla si sa in merito alla diffusione di queste pratiche. In Africa imperversa una guerra strisciante ma esplosiva nei paesi che le hanno vietate con risultati oscillanti. Un esempio: nel Ciad una cineasta, qualche anno fa, ha girato un film, Dilemme au féminin, con l’intento di promuovere un dibattito sulle mutilazioni. Ha scatenato l’ira delle autorità religiose, in particolare dell’Imam della grande moschea di N’Djamena il quale, con altri 15 colleghi, ha condannato la regista alla fatwa, ossia una licenza d’ucciderla.
• dal coltello alla lametta In Egitto, Sudan e Somalia, paesi dove le proibizioni legali contano sempre meno da quando l’autorità islamica ha acquisito più presa sul popolo, viene spacciata come sunna un tipo di infibulazione senza cuciture. Le bambine vengono tagliate integralmente poi fatte stare per giorni a gambe legate strette in modo che i monconi delle labbra, cosparsi di erbe cicatrizzanti, si incollino fino a otturare quasi completamente la vulva. In un altro tipo di sunna vengono chiuse con lo stesso metodo le piccole labbra rimaste intatte con il risultato di restringere notevolmente l’apertura vaginale. L’uccisione del piacere femminile per far piacere ai padri e ai mariti e per far sentire importanti le madri, è stata ed è una condanna in capo a milioni di donne africane e di altre contrade dove con certezza la stragrande maggioranza non conta. La loro esistenza si risolve a lavorare come somare e organizzare i ”riti di passaggio” a colpi di coltelli di pietra ieri, di lamette oggi, custodi della tradizione.
• la festa del giorno dopo Il rito ha esercitato un grande fascino sugli etnografi ed etnologi occidentali avventuratisi nell’Africa remota e ancora intatta lungo i secoli dell’epoca coloniale. Dal Seicento all’Ottocento fiorirono reportages ammaliati dalla ”circoncisione femminile”, dai corpi e dai genitali delle negre descritti come mostruosità corpulente, segno evidente di una sensualità brada da tenere sotto controllo. I riti di iniziazione, sempre uguali e sempre differenti, sono stati raccontati senza mai accennare al risvolto tragico: infezioni virulente, malattie croniche, talvolta morte. Possiamo sintetizzare le storie tramandate dai dotti in un’unica storia declinata al presente, tanto labili sono i confini temporali e spaziali dei riti. Le impuberi o appena puberi vengono radunate assieme per essere escisse o escisse e infibulate in luoghi separati. Cantano e danzano in preparazione dell’operazione eseguita da un personaggio chiamato ”fabbro” o da una donna-fabbro. Talvolta vi assistono le madri, talvolta no. Diventate donne perché mutilate, le piccine trascorrono una lunga convalescenza durante la quale vengono accudite in un gineceo al comando delle madri. Queste sono dispensate dal lavoro per via dell’importanza del loro compito. I padri si allontano dalla dimora comune, ma provvedono alla famiglia. Le figlie, talvolta completamente guarite tal altra no, si mostrano con particolari segni nei capelli, sul volto o nell’abbigliamento. Riprendono contatto con la comunità che le riempie di regali e di cibo. Sono al centro di feste che le consolano per il dolore patito e gioiscono per la condanna cui sono state sottoposte
• l’importanza del coito Non gioivano certamente le malate sessuali occidentali, cui la stessa condanna è stata inferta per un periodo neanche tanto breve, nell’Ottocento e - udite udite - nei primi lustri del Novecento. La guerra alla clitoride è scoppiata da noi quando, con i progressi della medicina, è venuta meno la convinzione scientifica secolare che per far figli fosse necessario l’apporto del godimento femminile. Solo così lei, fredda nei fluidi emessi dall’apparato genitale, li portava al calore giusto per incontrare efficacemente il caldo sperma di lui. Scienza a parte, la cultura cristiana, non solo non ha mai accettato le modificazioni e mutilazioni del corpo per via del corpo che risorge assieme all’anima, ma non ha mai vituperato per principio i piaceri della carne nell’ambito del matrimonio. Sant’Agostino affermò in tempi non sospetti di scientismo l’importanza della riuscita del coito e si preoccupò solo di fare entrare il confessionale tra le lenzuola per impedire inutili sfizi non procreativi.
• il clitorido-centrismo Nell’Ottocento scienziati di varie discipline, ormai al corrente del fatto che clitoride e pene sono costituiti dagli stessi tessuti embrionali, sfatarono l’equivalenza tra godere (femminile) e figliare, abbandonando la teoria dei fluidi inventata da Galeno. Nel secolo puritano, a distanza di un paio di decenni, in America il dottor John Mason Good di Boston proclamò che per fecondare le ovaie con lo sperma bastava ”una sbattutina”, senza bisogno che lei godesse; in Francia il medico parigino Jean-Martin Charcot applicò strumenti da tortura alle vagine delle malate sessuali nell’ospedale Salpêtrierère. In Inghilterra, Francia e Usa si clitoridectomizzavano isteriche, tribadi (le lesbiche) e ninfomani. In Italia Cesare Lombroso propagandò la recisione per normalizzare ”la donna delinquente”. Sigmund Freud, e siamo al 1905, quando pubblicò i Tre saggi sulla sessualità femminile, non pensò di tagliare nessuna, ma teorizzò che la donna doveva abbandonare il piacere infantile clitorideo per quello adulto e vaginale. La sua analizzata e allieva Marie Bonaparte si oppose e si inoltrò in studi sul campo per dimostrare la centralità della clitoride, ma senza riuscirci. Partì per l’Africa negli anni Trenta per studiare le modificazioni rituali delle vagine. Scrisse: «Credo che costituiscano la controparte specifica alle intimidazioni psichiche esercitate durante gli anni dell’infanzia sulla sessualità delle donne europee». Meglio intimidite che tagliate. Tra i Venti e i Trenta del secolo scorso cominciò a cambiare radicalmente il senso dell’Occidente perché le donne si sono tagliate i capelli e accorciate le gonnelle. Il resto lo hanno fatto, più tardi, le femministe clitorido-centriche, la pillola anticoncezionale, il benessere e l’istruzione di massa. Per le ”sorelle” che non hanno avuto la fortuna di vivere in Occidente temiamo che la strada sarà più lunga. ROBERTA TATAFIOR