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 2005  febbraio 06 Domenica calendario

Il 6 febbraio del 1912 alle 2 e 22 del mattino, in un ospedale di Monaco di Baviera, nasceva la seconda figlia dei coniugi Fritz e Franziska Braun, Eva

• Il 6 febbraio del 1912 alle 2 e 22 del mattino, in un ospedale di Monaco di Baviera, nasceva la seconda figlia dei coniugi Fritz e Franziska Braun, Eva. Altrove, a Vienna, un giovane ventiduenne di nome Adolf Hitler, innamorato delle storie del selvaggio West di Karl May e delle opere di Wagner, nutriva sogni da grande artista. Orfano dei genitori da qualche anno, dopo mesi di stenti, andò a vivere presso la Casa degli Uomini, un ostello dove vitto e alloggio erano garantiti e a buon mercato, sebbene tutto ciò non fosse l’ideale per chi avesse velleità artistiche e una altissima considerazione di sé. Per sfamarsi dipingeva vedute panoramiche di Vienna, e qualche volta riusciva a assistere, in piedi, a uno spettacolo teatrale o a un’opera. I suoi compagni lo ricorderanno, in seguito, come una persona contraddittoria e soggetta a improvvisi e immotivati scatti di collera. I primi anni della vita di Eva Braun trascorsero sereni. Lo scoppio della guerra e la chiamata alle armi del padre, come tenente della riserva in un reggimento di fanteria nella zona del fronte delle Fiandre, invece, segnarono l’inizio di un periodo difficile. Non molto lontano dal signor Fritz, nella stessa zona, operava la prima compagnia del XVI reggimento List, tra le cui fila si era arruolato volontario il caporale Adolf Hitler, finito nell’esercito bavarese per sbaglio o per negligenza delle autorità, dal momento che era austriaco. Eva alla fine della guerra venne mandata a vivere dai nonni per alleggerire il bilancio familiare. Aveva sei anni e era una bambina grassa e golosissima, soprattutto di dolci. Era capricciosa, e non amava andare a scuola. Lo storico Nerin E. Gun ha raccolto il giudizio di un maestro elementare di Eva: «Una bambina turbolenta cui piacevano le distrazioni in classe, che non imparava mai le lezioni e che eccelleva nella ginnastica. In tutto il resto stava sulla media, tirando avanti grazie alla sua intelligenza, e nonostante la pigrizia». La situazione economica dei Braun migliorò e nel 1925 la famiglia si trasferì in un appartamento più grande. La vivace Eva organizzava spettacoli teatrali in cambio di focacce e altre golosità, e era portata più a fare il maschiaccio che la sarta come avrebbe voluto la madre Franziska. In quegli anni Hitler aveva assunto la leadership dei movimenti nazionalsciovinisti di destra e aveva alle spalle un tentativo fallito di rivoluzione, il putsch di Monaco (8/9 novembre 1923), per il quale trascorse otto mesi in carcere, uscendone nel dicembre dell’anno successivo con il divieto di tenere discorsi in pubblico.
• Gli amici del fotografo. Secondo la tradizione le figlie della borghesia dovevano andare a studiare in convento per perfezionare la propria educazione e imparare un mestiere. Così Eva venne iscritta a un convento delle Dame Inglesi, un ordine religioso cattolico, a Simbach, sulle rive del fiume Inn, lo stesso che scorre tra le case di Braunau, città natale di Hitler. Ottenuto il diploma nel luglio del 1929 iniziò a cercare lavoro. Dopo alcune esperienze fallimentari rispose a un annuncio pubblicitario del fotografo Heinrich Hoffmann. Era, costui, il fotografo ufficiale del Nsdap, il partito nazionalsocialista, nonché l’amico e il confidente del futuro dittatore, e l’autore inconsapevole di una delle foto più famose di sempre, quella in cui si riconosce un venticinquenne Hitler tra la folla esultante nella Odeonsplatz di Monaco il 2 agosto del 1914, giorno della dichiarazione di guerra alla Russia. Ma dei rapporti di Hoffmann con i nazisti Eva non sapeva nulla. Non sapeva nemmeno chi fossero i nazionalsocialisti, aveva solo diciassette anni, e nessun tipo di interesse per la politica. Tuttavia, suo malgrado, i rapporti con gli attori principali di quel gruppo divennero molto frequenti. Il negozio di fotografia, infatti, era nella Schillerstrasse, a Monaco, dove aveva sede anche la tipografia dell’organo ufficiale del Nsdap, il Völkischer Beobachter. Quasi accanto al negozio era situato un ristorante italiano frequentato dai nazisti, l’Osteria Bavaria. Era consuetudine, quindi, che molti esponenti del partito entrassero nel locale dell’amico Hoffmann, anche solo a scambiare due chiacchiere. Eva Braun faceva un po’ di tutto in quel negozio: dal lavorare nella camera oscura al ricevere i clienti. Durante la giornata capitava che entrassero diversi strani personaggi per farsi fare una foto: un coltivatore con gli stivali sempre infangati (Bormann), un uomo molto magro che diceva di essere un allevatore di conigli (Himmler), un omone che entrava soltanto dopo avere comprato l’elisir di lunga vita dalla farmacia di fronte (Hess), un cliente che la spaventava per via di una statuetta di cera raffigurante un rabbino con la corda al collo (Streicher).
• Il primo incontro. Finché un giorno entrò nel negozio anche il quarantenne Adolf Hitler. Eva raccontò a sua sorella di un uomo con dei buffi baffetti che le aveva guardato le gambe e con cui, assieme a Hoffmann, aveva assaggiato un pezzo di salsiccia e bevuto birra. Per qualche mese i due non si videro più. Hitler stava ricominciando la sua attività politica, dopo la revoca del divieto di tenere comizi in pubblico, e ospitava nella sua casa del Prinzregentenplatz la nipote Geli Raubal, più giovane di diciannove anni, con la quale aveva una relazione molto particolare: «Qualunque fosse l’esatta natura dei loro rapporti, e tutte le testimonianze si fondano in gran parte su voci e congetture, pare certo che Hitler, per la prima e unica volta nella sua vita (se non teniamo conto della madre), maturò una dipendenza affettiva da una donna», scrive lo storico Ian Kershaw. Geli si suicidò il 19 settembre del 1931, sparandosi con la pistola dello zio. Sono state formulate molte ipotesi per spiegare questo gesto, secondo alcuni compiuto per sfuggire alle morbose attenzioni di Hitler, secondo altri perché lui non approvava un suo fidanzamento, e tante altre ancora, ma nessuna prova è mai emersa a sostegno dell’una o dell’altra tesi. Eva, che dalla primavera del 1930 aveva iniziato a uscire con Hitler, anche se sporadicamente, trovava così campo libero. I suoi appuntamenti con lui erano improvvisi e di norma seguivano lo stesso cliché: lui passava a prenderla al negozio con una macchina lussuosa con tanto di autista, e la portava a teatro o all’opera; poi, dopo lo spettacolo, a mangiare in una delle osterie frequentate dai compagni di partito.
• Un’amante segreta. Dal 1932 Eva divenne l’amante di Hitler. Ma un’amante che per il mondo non esisteva, che viveva nell’ombra. In quell’anno, forse uno dei più cruciali nella storia del nazismo, Hitler perse le elezioni presidenziali, le Sa e le Ss vennero messe al bando per breve tempo, ma alle elezioni di luglio quello nazionalsocialista divenne il primo partito del Reichstag e Hitler si avviava a conquistare il potere. I due si vedevano poco e di sfuggita; egli avrebbe avuto sempre pochi riguardi nei confronti di Eva. Ufficialmente un Führer non poteva avere una compagna di vita, doveva dedicare tutto se stesso al proprio popolo, la sua vita apparteneva alla Germania e non c’era spazio per una moglie. Albert Speer, l’architetto di corte del regime, riportò una frase di Hitler nelle sue memorie: «Gli uomini molto intelligenti devono prendersi una donna primitiva e stupida». Lo stesso Hoffmann ricordò come «per lui lei era solo un grazioso gingillo in cui, malgrado l’insignificanza e la fatuità delle sue vedute, o forse proprio per questo, trovava la distensione e il riposo di cui aveva bisogno... Ma mai, a parole, nell’aspetto o nei gesti, dimostrò in alcun modo nei suoi confronti un interesse più profondo». Anche lo storico Joachim Fest ha scritto: «A differenza di Geli Raubal, Eva Braun non era altro che la sua maitresse [...]. Era una ragazza semplice, normalmente attraente, dalle aspirazioni e dai pensieri abbastanza banali [...]». E tale la riteneva Hitler. Tanto che, al di fuori della sua ristretta cerchia, nessuno saprà dell’esistenza di Eva fino alla loro fine. Nelle varie dimore di Hitler, la donna non aveva completa libertà di movimento: solo in presenza di qualche vecchio collaboratore del partito le veniva concesso il permesso di restare con gli ospiti, altrimenti doveva allontanarsi dal luogo della riunione o dell’incontro. Un’immagine ufficiale con Hitler non la poteva avere. Non stupisce, date tutte queste circostanze, che Eva mostrasse «una grave immaturità psicologica» (Carlotti), ricordandosi anche della differenza di età tra i due (ventitre anni). Speer nelle sue memorie la descrisse come banale, «una donna per nulla interessante», e in un colloquio con lo storico Trevor-Roper dichiarò: «Eva Braun sarà una grande delusione per gli storici». Una relazione di questo tipo non poteva che essere avversata dai genitori di lei. Il padre, fino alla definitiva conquista del potere di Hitler, spinse perché la figlia si facesse sposare o, in caso contrario, tornasse subito a casa, lasciando definitivamente l’appartamento che Hitler aveva messo a disposizione sua e della sorella minore Gretl nell’autunno del 1937. Il signor Fritz Braun non aveva mai visto di buon occhio il rapporto tra la figlia e quello che, secondo lui, non era nient’altro che un imbecille che voleva riformare il mondo e che per giunta aveva soltanto 10 anni in meno di lui.
• Tentativi di suicidio. Questa differenza di età non poté non influire sulla natura del rapporto tra i due amanti e sulla tenuta psicologica di Eva. Era gelosa, vedeva tradimenti ovunque, soffriva della mancanza di attenzioni di Hitler. A questi sentimenti vanno senz’altro ricondotti anche i due tentativi di suicidio che la ragazza mise in pratica. Il primo, nel novembre del ’32 con un colpo di pistola, il secondo, sul quale si hanno notizie meno certe, con una quantità eccessiva di sonnifero nel maggio del 1935: più una strategia per riavvicinare Hitler a sé che una effettiva volontà di procurarsi la morte. Infatti, pochi mesi prima, l’11 febbraio del 1935, scriveva sul suo diario: « appena stato qui. Ma niente cagnolino, niente armadi pieni zeppi di vestiti. Non mi ha nemmeno domandato se volessi qualcosa per il mio compleanno. Mi sono comprata dei gioielli per conto mio [...]. Speriamo che gli piaccia. Se no, che mi compri lui qualcosa». O, ancora, l’11 marzo successivo: «Desidero solamente una cosa, ammalarmi gravemente e non sentire più niente di Lui almeno per una settimana. Perché non è arrivato niente per me, perché devo sopportare tutto questo? Oh! Se almeno non l’avessi mai incontrato! Sono disperata. Adesso compro di nuovo dei sonniferi; poi cado in uno stato di torpore, così non devo più pensare a Lui in continuazione [...]. Ho aspettato per tre ore fuori dal Carlton e ho dovuto vederlo comprare dei fiori per Anny Ondra e invitarla a pranzo [...]». donne di potere Eva Braun non esercitò nessun potere, non ebbe alcun ruolo, se non involontario, negli eventi, nonostante fosse l’amante di Hitler. Altre erano le donne che esercitavano il potere. Emmy Göring, per esempio, proprio come il marito, amava vivere nello sfarzo e nel lusso più ostentato, era dispotica e molto irascibile. Oppure Magda Goebbels, che si rivolgeva al proprio Führer con una certa familiarità, a tal punto che arrivava a lamentarsi con Galeazzo Ciano del fatto che Hitler parlasse troppo e sempre delle stesse cose con i suoi ospiti, annoiandoli a morte. Fu forse lei la first lady, da un passato quasi imbarazzante di divorzi e tradimenti, ma comunque devota al suo capo tanto da chiamare i suoi sei figli con nomi che iniziavano per H. Tuttavia, Eva rappresentò la normalità in base alla concezione della donna che avevano i nazisti. Una normalità che voleva la donna consacrata al proprio uomo e ai figli, pronta al sacrificio, umile e non emancipata dall’autorità paterna o maritale. Dal 1935 gran parte della sua vita si svolse al Berghof, la villa alpina di Hitler vicino Berchtesgaden trasformata in sfarzosa residenza di corte. Anche qui camere separate per i due. Tuttavia Eva poteva essere un po’ più libera, anche se le sue attività erano dei rituali: fotografare le montagne, fare passeggiate in giardino, giocare con i cani e raccogliere i fiori. Qualche volta riceveva la visita delle sorelle e di alcune amiche. Mai, però, restava sola: aveva sempre con sé ufficiali delle Ss che la seguivano come guardie del corpo. Ogni tanto tornava il padrone di casa, e in quel caso Eva doveva indossare il vestito da tirolese che vediamo ancora oggi nei filmati. Anche a Berlino, dove si trasferiva ogni tanto per brevissimi periodi, aveva una stanzetta riservata nell’appartamento di Hitler, dove restava segregata mentre lui svolgeva i suoi compiti.
• L’ultima follia. Col passare del tempo qualcosa iniziò a migliorare nel rapporto tra i due. Eva riusciva anche a accompagnarlo in qualche viaggio, sebbene sempre in incognito: Italia, Praga, Oslo, a cavallo tra il 1938 e il 1939. Ma poi arrivò quella guerra alla quale il nazismo stava lavorando da anni. E mentre Hitler, che si faceva vedere ancora meno del solito, cercava di seguire il folle piano della sua vita, Eva assisteva alle proiezioni dei film di Hollywood, sognando di diventare un giorno attrice anche lei.  cosa accertata che Hitler negli ultimi anni della guerra subì un tracollo fisico e psichico notevole: ripeteva, con una inconsapevole comicità, che Eva e il suo cane Blondi erano gli unici amici rimasti. Dal 23 gennaio del 1945 dormiva nel bunker di Berlino. Eva lo raggiunse contro la sua volontà verso la fine di marzo. Il 29 aprile, in quella che Fest ha chiamato «macabra pedanteria», Hitler sposò Eva. Un matrimonio tanto cercato e voluto da lei, ma che a posteriori assunse il significato di ultima follia. Fu un impiegato di Goebbels, un consigliere comunale, a sposarli in una sala del bunker di Berlino; testimoni degli sposi, Goebbels stesso e Martin Bormann, il ”segretario del Führer”. Soltanto poche ore dopo i coniugi Adolf e Eva Hitler si sarebbero suicidati.
• Numerosi studiosi si sono affannati a studiare clinicamente il caso Hitler. Jung parlò apertamente di «pseudologia fantastica», ovvero di tendenza a credere alle proprie bugie, mentre Fromm, basandosi sull’infanzia di Hitler, definì il caso di un individuo affetto da «aggressività maligna con tendenze necrofile». Nel suo Eva e il führer Cova riporta il ritratto del dittatore delineato da Fromm, Jung e altri esperti: «Quoziente intellettivo medio-alto con stati di sofferenza commisti a narcisismo, autoritarismo, e a un complesso di superiorità che rendono il soggetto indulgente verso se stesso, insensibile sino alla distruttività nei confronti del prossimo. Temperamento introverso, il soggetto in questione passa facilmente dall’euforia alla depressione e vince con la violenza, talora col sadismo, una latente timidezza di fondo: di qui l’insorgere di occasionali crisi isteriche e il manifestarsi di anomalie comportamentali di tipo paranoide».
• Uno dei tanti misteri del nazismo e della figura del suo capo in particolare, è l’alto numero di donne che si sono uccise o che hanno tentato di farlo dopo avere conosciuto Hitler. In molti di questi casi le notizie sono ancora oggi incerte e contraddittorie. Geli Raubal e Eva Braun sono i due nomi più importanti di una lunga lista che comprende, tra le altre: Maria Reiter, figlia di un membro della Spd, il partito socialdemocratico, che tentò di impiccarsi a una trave; Martha Dodd, figlia dell’ambasciatore statunitense a Berlino, che si tagliò una vena del polso sinistro dopo essere stata respinta; Suzi Liptauer che si impiccò dopo un appuntamento notturno; Renate Müller, attrice molto nota, che si gettò da una finestra dopo un incontro; Unity Mitford, aristocratica inglese con simpatie naziste per la quale sedere vicino a Hitler era come sedere vicino al sole, che si sparò il giorno della dichiarazione di guerra della Germania all’Inghilterra dopo avere tentato di fare cambiare idea all’amato.