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 2002  febbraio 09 Sabato calendario

Le maschere italiane

• Pivetta. Secondo alcuni commediografi, il nome – Pulcinella” deriva da ”pulcino”, "animale spaesato e starnazzante". Gli attori che lo impersonavano imitavano la voce "sgraziata e vagamente nasale" mettendo sulla lingua la ”pivetta”, leggera membrana in legno che vibrava ad ogni parola.
• "Ar, l’è chin!". In un canovaccio seicentesco, l’origine del nome ”Arlecchino”: un tale, ricercato dalla polizia per la sua stravaganza, fuggì col figlio in fretta e furia in sella a un asino. Scorto un uomo dietro un cespuglio, lo scambiò per un gendarme e gridò impaurito all’animale: "Ar, l’è chin!", ("Cammina, si è chinato!"). Venne poi a sapere che l’uomo era un semplice contadino, chino sull’erba a "fare i propri comodi" in preda a un mal di pancia.E, divertito al ricordodell’episodio, volle battezzare ”Arlecchino” il figlioletto.
• Sior Pasquino. Per divertire il pubblico durante le recite, tra Cinquecento e Seicento gli attori che impersonavano Arlecchino cambiavano spesso il nome della maschera. Qualche esempio: ”Truffaldino”, ”Tracagnino”, ”Tortellino”, ”Naccherino”, ”Mezzettino”, ”Polpettino”, ”Nespolino”, ”Zaccagnino”, ”Sior Pasquino”, ”Passerino”, ”Fagottino”.
• Polecenella. Lo storico napoletano Ulisse Porta Giurleo racconta così l’origine della maschera di Pulcinella. Nel 1609 viveva a Napoli un Mariotto Polecenella, naso grosso e aquilino, famoso perché la moglie lo tradiva volentieri con uno spagnolo, proprietario di una bottega da falegname accanto alla ”Commedia” (baracca in cui si esibivano attori di teatro). Stufo di sentire i rumori del legnaiuolo durante le recite teatrali, l’attore Silvio Fiorillo, si fece confezionare una maschera di cuoio col naso grosso come quello del Polecenella, indossò una casacca bianca da operaio e rappresentò in teatro la storia delle sue corna. Risultato: Polecenella, deriso da tutti, fittò il negozietto a un amico e non si fece più vedere.
• Calzabrache. Secondo lo storico britannico Allardyce Nicoll, l’abbigliamento tipico della maschera Pantalone de’ Bisognosi consisteva in ”calzabrache” (brache corte e calze), giubba rossa, cappello nero tondo, lunga zimarra nera con maniche, ciabatte nere. «Dalla cintura pendevano una daga o una spada e un fazzoletto. La maschera, marrone scuro, naso a becco e capelli grigi che sporgevano di sotto al cappello, era adorna di baffi o barba a punta». Uniche varianti nei numerosi ritratti, l’aggiunta d’un paio d’occhiali e d’una borsa, talvolta posizionata a mo’ di fallo.
• Mortadella. Nel tardo Cinquecento, gli attori interpreti di Arlecchino, Pantalone o Pulcinella si esibivano in strada, vivevano nei carri utilizzati per le rappresentazioni e cucinavano nei camerini sempre sporchi, diffondendo ovunque cattivi odori. E fu per evitarli che presero a mangiare insieme agli spettatori pane e mortadella.
• Sirena. Una vecchia leggenda racconta la nascita di Napoli. Nell’antichità, una sirena, stanca di vivere in fondo al mare, andò a morire sulla riva di un golfo "intatto e magnifico". Gli abitanti delle campagne, convinti che il suo corpo fosse capace di prodigi, costruirono attorno a quel luogo abitazioni e mercati di cianfrusaglie, conchiglie e rocce di mare. Poi, noncuranti del cattivo odore, la lasciarono a "incartapecorirsi". Marcito il cadavere, rimasero solo baracche, saltimbanchi e ciarlatani. «Così, al centro di quel golfo, nacque Napoli».
• Totò. Nel 1921, Gustavo De Marco, tra gli attori più in voga in Italia, chiese una paga altissima a Don Peppino Jovinelli, proprietario del famoso teatro romano, impresario "più scaltro di quanto lui fosse vanitoso". Don Peppino negò l’aumento e lo licenziò. Giorni dopo si presentò da lui un "ragazzotto napoletano che bazzicava i teatri di Varietà a Napoli e Roma". Numero migliore: l’imitazione di Gustavo De Marco. Nome dell’attore: Antonio De Curtis, in arte Totò. Soddisfatto del provino, Jovinelli appese fuori del teatro la locandina "Questa sera: Totò nel repertorio di Gustavo De Marco" (le parole ”Totò nel repertorio di” scritte in caratteri minuscoli, ”Gustavo De Marco” in caratteri enormi). Poi disse al nuovo attore: "Lavorerai gratis una settimana. Se alla fine il pubblico non ti avrà cacciato, avrai una paga". All’ottavo giorno Totò ebbe il suo stipendio, mentre Gustavo De Marco comprò un negozietto di tabacchi alla Marina di Napoli e si diede al commercio.