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 2004  marzo 29 Lunedì calendario

Vanity Fair, 1 aprile Fuori piove, quando vedo La Passione di Cristo per la prima volta

• Vanity Fair, 1 aprile Fuori piove, quando vedo La Passione di Cristo per la prima volta. Jeans, camicia hawaiana, Mel Gibson spiega che il montaggio non è finito. Si siede e le luci si spengono. Sullo schermo appaiono le parole scritte da Isaia quattro secoli prima di Cristo: «Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; grazie alle sue ferite noi siamo stati guariti». Assistiamo, nelle due ore che seguono, a tanto trafiggere, stroncare e ferire. Qualcuno in platea piange. Io trovo il film avvincente e inquietante. Il Cristo risorto cammina, volto e passo deciso, verso la luce, su un sottofondo marziale di tamburi. Gibson ha detto una volta che non gli interessava girare un film religioso. Era vero. Perché questo è un film di guerra. Dieci giorni più tardi arrivo alla Icon Productions di Santa Monica e mi scortano nella saletta dove sta lavorando al montaggio. Ha spesso ripetuto che la sua sceneggiatura sono i Vangeli e il suo regista lo Spirito Santo. Ma è evidente il suo desiderio di realismo. «Voglio trasportare gli spettatori là dove tutto avvenne» dice, «ed essere fedele ai Vangeli. Cosa che nessuno ha mai fatto prima».
• Ci interrompe un collega che attira la sua attenzione sul televisore dove una giornalista della CNN sta intervistando William Donohue, presidente dell’influente Catholic League americana e difensore della Passione, sulle accuse di antisemitismo. Il regista, dice Donouhe, è stato ingiustamente associato alle opinioni eccentriche di suo padre, che il ”New York Tines” ha definito «un revisionista dell’Olocausto». Gibson è furioso. «Stronzate», commenta. «Non ha mai negato l’Olocausto. Ha semplicemente detto che i morti sono stati meno di sei milioni. Non sopporto che mi chiedano di ripudiare mio padre». Hutton Gibson è un cattolico devoto che, da giovane seminarista, voleva diventare missionario. Ma arrivarono la guerra, le nozze, undici figli e un lavoro di macchinista a nord di New York. Finché un incidente lo ridusse all’invalidità. Furono anni difficili, ma poi Hutton vinse 25 mila dollari in un quiz televisivo e trasferì la famiglia in Australia.
• Si era all’indomani dei grandi cambiamenti imposti dal Concilio Vaticano Secondo. Il più notevole, l’ecumenismo, che liberava gli ebrei dallo stigma di ”condannati da Dio”. «Le autorità ebraiche vollero la morte di Cristo», diceva il documento Nostra Aetate, «ma la colpa della Sua passione non può essere addossata a tutti gli Ebrei di allora, tanto meno a quelli di oggi». Le riforme divisero la Chiesa. Alcuni tra coloro che si opponevano a quella che vedevano una modernità corruttrice dichiararono la loro comunità Vera Chiesa, ripudiarono il Concilio, rinnegarono l’autorità di Giovanni XXIII e di tutti i suoi successori. I tradizionalisti, come amano chiamarsi, celebrano la Messa tridentina (dove il sacerdote dà le spalle ai fedeli), mangiano di magro il venerdì, esigono che le donne si coprano il capo in chiesa e che solo i preti porgano l’ostia consacrata. Hutton Gibson è un tradizionalista, ma in più ha sue personali teorie. Ai giornalisti ha raccontato che il Concilio è stato «un complotto massonico con la complicità degli ebrei» e che i numeri dell’Olocausto sono stati gonfiati per ricattare la chiesa cattolica.
• Anche Mel Gibson ha preso in considerazione l’idea di farsi sacerdote prima di scoprire la recitazione. Nel 1980 ha sposato Robyn e da lei ha avuto sette figli. Sostiene di non avere mai dubitato di Dio. Ma ammette che, a Hollywood, si è allontanato dalla fede. E verso i 35 anni è scivolato in un’angoscia totalizzante. «Ero disperato», dice. «Tanto da pensare di buttarmi dalla finestra. Non ce la facevo più, ma non avevo neppure il coraggio di farla finita. orribile arrivare al punto che non vuoi più vivere, ma non vuoi neanche morire. stata la Passione a guarire le mie ferite. Un percorso che è durato dodici anni». La fede cui Gibson si è riavvicinato è quella che aveva conosciuto da ragazzo. Quella di suo padre. In Italia, per poter seguire quotidianamente la Messa tridentina durante le riprese, ha fatto arrivare apposta dal Canada un prete ordinato prima del Concilio. In California, ha fatto costruire una cappella privata davanti a casa sua. Un vicino, giornalista free-lance, ha fatto qualche indagine e ha pubblicato sul ”New York Times” un articolo dove la fede di Gibson veniva descritta come «un cattolicesimo fermo al sedicesimo secolo» e si avanzava il dubbio che il film sulla Crocifissione sarebbe servito a propagandarla.
• L’articolo ha attirato l’attenzione di studiosi e teologi appartenenti al movimento ecumenico. Quelli che difendono il Concilio e insistono per il rispetto degli ebrei nelle rappresentazioni della passione. Uno di loro, Eugene Fisher, ha riunito un gruppo di nove esperti in relazioni tra cristiani ed ebrei. Paula Fredriksen è stata chiamata come esperta nella figura storica di Gesù. Se chiedi a Gibson chi ha scritto il Vangelo di Giovanni, lui non ha dubbi: « stato Giovanni. Ha visto le cose che ha scritto». Per gli storici, invece, è probabile che i Vangeli siano stati scritti da anonimi maestri della Chiesa e poi attribuiti ai quattro Santi, forse per dar loro credibilità. La Fredriksen ne attribuisce l’iniziativa della Crocifissione completamente a Pilato. Che avrebbe eliminato Gesù per dare agli ebrei una lezione: guai a chi si ribella. Il gruppo ha offerto la propria consulenza a Gibson e chiesto di poter vedere la sceneggiatura. Inutilmente: il regista stava girando in Italia e la Icon non ha mai risposto. Finché, nell’aprile del 2003, una busta con il copione è misteriosamente apparsa a Chicago nella cassetta della posta del rabbino Yehiel Poupko, molto vicino al gruppo ecumenico. Lui lo ha fatto avere a Fisher e ai suoi colleghi. E loro sono rimasti di sasso perché la sceneggiatura confermava i loro peggiori timori. Caifa pronunciava la fatidica frase che per secoli ha fatto ricadere sugli ebrei la colpa dell’uccisione di Gesù: «II suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». E in ogni scena veniva descritta la «rabbia sanguinaria della folla».
• A Gibson non interessano queste obiezioni. «Sono stronzate da revisionisti. Questi professoroni ti dicono che i ladroni erano ribelli, che Barabba era un rivoluzionario. Secondo loro io non ho diritto di interpretare i Vangeli perché non ho il titolo di Dottore davanti al mio nome. Ma i Vangeli sono per i bambini, per i vecchi, per tutti. Non per gli studiosi». Gibson ha raccontato che è stato lo Spirito Santo a guidarlo in questo progetto. Gli chiedo cosa intenda esattamente. Come abbia fatto a capire che il film era volontà di Dio. «Ci sono segni», mi risponde. «Come ieri sera». La sera prima, in autostrada, un’auto gli ha inchiodato davanti. Era pronto a imprecare quando ha fissato la targa. «Guarda!». Le lettere formavano le parole «Salmo 91». Cioè, mi ha detto, esattamente lo stesso passo delle Scritture che aveva letto poche ore prima: «Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire».
• Tira fuori dalla tasca una reliquia: il brandello di un abito di Caterina Emmerich, suora tedesca vissuta nell’Ottocento, in attesa di beatificazione. Gliel’ha regalato un uomo da cui aveva comprato arredi sacri per la cappella. Altro segnale, per lui. Perché la testimonianza di quella suora, una povera contadina morta dopo avere ricevuto le stigmate e visto la passione di Gesù nelle sue estasi, era stata raccolta in un libro. E quando Mel ha iniziato a far ricerca per il film, tra le montagne di libri acquistati da un vecchio convento gli è capitato in mano proprio la storia della Emmerich, «piena di figure vivide come mai avrei potuto immaginarne». Vi ha attinto a piene mani. Un esempio: la scena in cui Maria, dopo la flagellazione, pulisce dal lastricato il sangue di Gesù.
• Faccio presente a Gibson che la suora è stata accusata di avere rappresentato gli ebrei in modo molto negativo. «Io so perché le danno della nazista», mi risponde. «Perché l’ebraismo moderno vuole attribuire alla chiesa cattolica la responsabilità dell’Olocausto. Ma questa è una menzogna». Parliamo del Concilio. E, specificamente, del documento che ha riconosciuto a tutti i cristiani, anche quelli al di fuori della chiesa di Roma, «il diritto di essere chiamati cristiani, fratelli dei cattolici». Ma lui, gli faccio notare, crede in una chiesa più antica. Quella che a me, protestante, riserverebbe l’inferno. «Non c’è salvezza al di fuori della chiesa cattolica», dice, dopo una lunga pausa. «Io a questo ci credo. Prenda mia moglie. una santa, una persona molto più degna di me. Solo che appartiene alla chiesa anglicana. Prega, crede in Dio, conosce Gesù. E lo so, non è giusto che non si salvi, perché è migliore di me. Ma se lo stabilisce la mia Chiesa, io lo accetto». Peter Boyer