Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 8 agosto 2001
Salomè le usava per danzare e sedurre
• Salomè le usava per danzare e sedurre. Nerone ogni tanto le spargeva nel suo giaciglio, così, per pura voluttà. Re Salomone la portava in fronte: e Cleopatra non esitò a sacrificarne una di enorme valore, sciogliendola in un bicchiere di aceto per conquistare Marco Antonio. Mille leggende con un comune denominatore: le perle. Amate fin dalla notte dei tempi, e insieme capaci, da sempre, di incuriosire gli scienziati. Fu il romano Plinio il vecchio, nel primo secolo dopo Cristo, a scrivere nella sua Naturalis historia: «Certamente vengono dal cielo: hanno maggiori relazioni con esso che con il mare». A migliaia di chilometri di distanza, nella stessa epoca, i cinesi pensavano curiosamente la medesima cosa: un’antica leggenda racconta, infatti, che nelle notti di luna piena le ostriche perlifere affioravano sul pelo dell’acqua per catturare le gocce di rugiada della notte e i tenui, pallidi raggi lunari. Non vengono dal cielo, questo oggi lo sappiamo: ma questa gemma un po’ misteriosa e intrigante non smette di affascinare. Anche perché nelle vetrine delle gioiellerie sono sempre più comuni le perle ”speciali”. Non solo, insomma, le normali perle bianche: ma anche altre con sfumature rosa, verdi, blu, persino nere. Che sta succedendo? «Sul mercato oggi ci sono perle dorate (le cosiddette gold) in mille sfumature, perle viola e rosa» dice Lisa Broggian, insieme al fratello Andrea distributore per l’Italia delle perle Mikimoto e di Compagnia delle Perle. « un gioco nato per le ragazze più giovani, ma che è stato subito apprezzato da tutti. Le perle sono sempre state un gioiello superclassico: così lo smitizziamo, e lo rendiamo più accessibile». Insomma: nel mondo delle perle sta cambiando tutto. A cominciare dal valore delle diverse sfumature. «Una graduatoria?» aggiunge Andrea Broggian «Dieci anni fa, su tre perle della stessa qualità, la più preziosa era la perla nera. Oggi un’ipotetica graduatoria vedrebbe al primo posto la gold, al secondo la bianca e solo al terzo la perla nera. diventata più comune».
• La prima notizia documentata ci viene dalle Shu Ching (le Scritture) di Confucio, dove leggiamo che perle di fiume vennero donate come regali di pregio nel 2206 a.C.: quasi 4200 anni fa. Risale al 2000 a.C. il più antico filo di perle, ritrovato nel Palazzo d’Inverno dei re persiani a Susa, nell’Iran occidentale. Si sa che i greci offrivano perle ad Afrodite: lo stesso facevano i romani, che le dedicavano a Venere. Alessandro Magno, dopo aver sconfitto l’esercito persiano, tornò dall’India carico di queste piccole sfere. Altre perle, pescate nelle acque del Messico, Panama e Perù, si sono ritrovate anche nelle rovine delle civiltà dell’America preispanica. Una gemma, dunque, con una storia antichissima: molto più lunga, addirittura, di quella dei diamanti e dei rubini.
• Gli antichi le trovavano nelle ostriche e si limitavano a raccoglierle, ma non si sapevano spiegare il meccanismo della loro nascita. La situazione rimase la stessa fino a quando, quasi per caso, i cinesi scoprirono l’arcano: se un sassolino penetrava nelle valve di un’ostrica, veniva velocemente ricoperto di un bianco strato perlaceo. Iniziarono subito a sfruttare il sistema per decorare piccole statuette del Buddha: nacque così l’idea della moderna coltivazione delle perle. Ma restava impossibile ottenere quello che alla natura, invece, riusciva benissimo: gemme regolari, uniformi e di buone dimensioni. Ci riuscì per primo un giapponese all’inizio del secolo scorso: Kokichi Mikimoto. Era un uomo pragmatico, che inseguì per anni il suo sogno. Nato nel 1858, era il figlio maggiore di un fabbricante di spaghetti a Toba, una piccola città sul mare nel distretto del Kansai, tra Osaka e Kyoto. A vent’anni si ritrovò, suo malgrado, a dover lavorare nell’azienda di famiglia, ma il suo grande amore erano le perle. I suoi esperimenti, all’inizio costellati di insuccessi, continuarono per anni. Fino a quando, nel 1893, strinse finalmente in pugno orgoglioso le prime perle coltivate. Sei anni dopo apriva il suo primo negozio nel quartiere della moda di Tokyo, la Ginza. Nel 1905 un altro successo: per la prima volta riuscì ad ottenere sistematicamente delle perle perfettamente rotonde. Da quel momento la ”coltivazione” delle perle divenne realtà. E le perle diventarono sempre più popolari: qualche anno dopo, negli anni Venti, le donne portavano con disinvoltura lunghissimi fili di perle. Rapidamente quelle ”naturali”, prodotte spontaneamente dal mollusco, divennero una rarità. Tanto che oggi si trovano, in pratica, solo nelle ostriche pescate, ormai quasi per gioco, nelle ricchissime e calde acque del Golfo Persico, tra Egitto e gli emirati.
• Quasi tutti i molluschi possono produrre una perla: il meccanismo originario, infatti, è sempre il medesimo. Però sono pochissime le varietà che producono gemme utilizzabili come ornamento. Mikimoto trovò la sua ostrica ideale nella Pinctada martensi, la specie che anche oggi è coltivata in Giappone. Le conchiglie hanno un diametro di circa 10-15 centimetri e la perlagione (la sostanza della quale sono composte le perle) si deposita a un ritmo di circa 0,15-0,30 millimetri l’anno. Se ne ricavano gemme con un diametro compreso tra i tre e gli otto millimetri (raramente arrivano ai 10). Sono le perle più belle del mondo: hanno, in genere, forma molto regolare, superficie perfettamente liscia e una luminosità assai chiara. Qualità che ne determinano il caratteristico aspetto vellutato.
• L’ostrica giapponese riesce a produrre, nella sua vita (che è lunga almeno dieci anni) solamente una perla. Quella tahitiana (la Pinctada margaritifera), invece, ha ben tre produzioni. Da questa conchiglia, dal diametro di 15-20 centimetri, si ricavano perle di 9-10 millimetri piuttosto velocemente: la deposizione di perlagione procede al ritmo di 2-2,2 millimetri all’anno. E l’ultima perla è la più grossa, fino a 16 millimetri. La sottospecie Cumingi, tra l’altro, produce perle di colore diverso: la famose perle nere di Tahiti.
• L’ostrica perlifera più grande al mondo è la Pinctada maxima: un ”piatto” di 20, 25 centimetri di diametro con uno spesso strato di madreperla, che raggiunge sovente vari centimetri di spessore. Produce perle di dimensioni ancora più grandi: in media sono di 12, 15 millimetri, ma possono facilmente arrivare anche a 17 o 18. La deposizione di perlagione è davvero velocissima, dai 3 ai 3,3 millimetri all’anno. Ma i cristalli di aragonite sono più grossi e si dispongono in modo tale che la superficie, alla fine, risulta assai meno liscia. E le perle hanno, molto spesso, forme irregolari. In questo caso, per gli specialisti, prendono un nome particolare e suggestivo: perle barocche.
• Le perle non sono tutte uguali. Alcune sembrano assorbire la luce, riflettendola poco: altre, invece, risplendono quasi di una luminosità propria. I giapponesi, finissimi conoscitori di queste gemme, dicono addirittura che per riconoscere una bella perla bisogna osservarla di primo mattino, alla luce naturale, rivolti verso nord. Ed è vero: il valore di una perla è dato proprio dalla proprietà unica che ha la madreperla cristallina di assorbire, rifrangere e riflettere la luce. Una qualità che si chiama oriente. « una questione di lucentezza, superficie e spessore: quanto più la superficie è liscia e omogenea e lo strato di perlagione spesso, tanto più la perla è bella. E di valore» spiega Andrea Broggian, docente del corso di perle all’Istituto Gemmologico Italiano. «Poi bisogna considerare la dimensione: tutte le perle si misurano in millimetri. Se sono perfettamente sferiche si misura il diametro, altrimenti si misurano lunghezza, larghezza e profondità. Le forme ammesse sono tante, a volte estremamente fantasiose: ci sono gemme semisferiche, ovali, a bottone, a goccia. E poi quelle assolutamente irregolari, le cosiddette ”semibarocche” o ”barocche”. Ma attenzione, più rotonda e simmetrica è la perla, maggiore è il suo valore: la perla ideale, infatti, è perfettamente tonda. Infine, il colore: quelli più comuni sono il bianco e il crema. Ma le diverse sfumature sono valutate in modo diverso a seconda del luogo. Nei Paesi nordici sono preferite le perle bianche, in quelli latini si ama il giallo. In Italia, invece, sono maggiormente apprezzate le perle con una leggera sfumatura rosa». I colori, comunque, sono tutti naturali e dipendono dalle caratteristiche genetiche del mollusco, dall’ambiente dove vive, dal grado di salinità del mare e dal tipo di plancton di cui l’ostrica si nutre. Questi fattori influenzano la composizione dello strato di conchiolina: se la conchiglia è scura, la perla sarà nera. Se è chiara, invece, avremo una perla bianca o dai riflessi gialli, rosa, addirittura violetti.
• Ogni varietà, d’altra parte, ha la sua gamma più o meno ampia di colori. Le perle Akoya, giapponesi, le più belle per la spiccata rifrazione della luce e la perfetta uniformità della superficie, vanno dal giallo oro al crema, dal grigio chiaro al grigio blu. Il colore delle grandi perle dei Mari del Sud varia dal bianco più intenso al bianco rosato, al bianco argento sino al giallo oro. Le perle di Tahiti, dette ”black lips” (labbra nere, dal colore del bordo della conchiglia che le crea, solitamente nero) vanno dal nero al grigio scuro, al verde. Con questa enorme varietà di forme, colori e dimensioni è davvero difficile comporre un filo di perle tutte uguali. In alcuni casi, possono volerci anni: se si ricerca la massima qualità, o per esempio si desidera creare un filo di perle di dimensioni crescenti (le più comode da portare, perché la collana non gira sul collo) è possibile dover attendere l’ultima perla anche per anni. Così il valore di un gioiello di questo tipo può diventare astronomico. Un filo di perle dei mari del Sud, tutte del diametro identico di 22 millimetri, è stato venduto qualche mese fa in Giappone per cinque miliardi di lire. Non è un’eccezione: all’asta di Rangoon, capitale della Birmania e importante appuntamento dei grossisti di perle, queste cifre sono quasi normali. E lo stesso succede in Giappone, in Australia, a Hong Kong. Inutile dare altre indicazioni. In fondo, dicono gli esperti, una sola perla coltivata del tipo South Sea può costare come un intero girocollo di perle giapponesi. Ma gli stessi professionisti avvertono, però, che può avvenire anche l’esatto contrario. Non ci sono, infatti, parametri fissi per valutare una perla: vale solo il giudizio di un esperto, dato considerando tutti i fattori.
• Se un granello di sabbia, un frammento di conchiglia o un parassita si introducono nella conchiglia dell’ostrica, il mollusco per difendersi dall’intrusione non ha alternative: deve bloccarlo. L’unica arma che ha a disposizione è la perlagione, una sostanza composta da carbonato di calcio e conchiolina. Ne secerne abbastanza da rivestire il corpo estraneo con una corazza rigida e lucente: l’invasore è reso inoffensivo e poco fastidioso, visto che la superficie che lo ricopre è perfettamente liscia. Ed ecco la perla. Questo processo è assolutamente identico sia per la formazione delle perle naturali sia per quelle coltivate. La differenza è una sola: nelle perle coltivate il corpo estraneo viene collocato tra le valve dell’ostrica dall’uomo, non dal caso. E quindi è più facile che la forma della perla finita sia regolare. Oggi, per stimolare la crescita delle perle, si usa impiantare un piccolo nucleo di madreperla insieme a un lembo di tessuto prelevato da un’altra ostrica perlifera dello stesso genere. La formazione della gemma normalmente richiede almeno due o tre anni: nel caso delle ostriche giapponesi, che depongono uno strato di perlagione molto più sottile, può essere necessario però attendere anche un decennio.