Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 30 maggio 2004
1Nessun dio poteva sposare la dea Tetide, perché il figlio della dea Tetide e di un dio avrebbe spodestato suo padre
• 1Nessun dio poteva sposare la dea Tetide, perché il figlio della dea Tetide e di un dio avrebbe spodestato suo padre. Bisognava però che il marito di Tetide fosse almeno un uomo virtuoso. Gli dèi consultarono il centauro Chirone, che era mezzo uomo e mezzo cavallo, e quello disse che l’unico uomo virtuoso sulla Terra era in quel momento Peleo, il re della Ftia.
2 Peleo dunque, per ordine di Chirone e del dio Zeus, attese Tetide presso un’isola della Tessaglia, dove ogni notte la dea, cavalcando un delfino, veniva tutta nuda a bagnarsi. Nascosto dietro un cespuglio di mirto pieno di bacche colorate, Peleo vide arrivare la dea. E quando lei, stanca del bagno, si mise a dormire sulla spiaggia, subito le saltò addosso. Tetide lo respinse e per sfuggirgli si trasformò in acqua, fuoco, leone, serpente. Ma Peleo la teneva stretta. La dea si fece anche seppia e, da seppia, gli schizzava addosso l’inchiostro. Ma Peleo resisteva. Infine, commossa, Tetide si concesse e i due amanti, l’uomo e la dea, si mischiarono sulla spiaggia al chiaro di luna.
3 Si celebrarono quindi le nozze di Peleo e Tetide, sul monte Ida in Frigia, proprio di fronte alla grotta di Chirone. Gli dèi stavano seduti su troni d’oro, le Nereidi danzavano descrivendo spirali, le Muse e le Moire cantavano canzoni d’amore, i Centauri, incoronati d’erbe e brandendo torce d’abete, si inebriavano con il latte. Da un lato stavano i cavalli bianchi Balio e Xanto, un regalo del dio Posidone. E da un altro gli altri regali divini: una lancia di frassino levigata da Atena e appuntita da Efesto; un’armatura d’oro; un’urna d’oro, fabbricata da Efesto e regalata da Dioniso.
4 Chirone, che aveva invitato alle nozze tutti gli dèi, aveva però dimenticato Eris, colei che ha il compito di metter discordia tra gli uomini. La dea, offesa, mise discordia: mentre gli invitati ballavano e cantavano, una mela d’oro cadde dal cielo e sulla mela si leggevano queste tre parole: ”Alla più bella”. Subito le dèe presero a litigare tra loro.
5 Ogni dea sentendosi la prima, e non smettendo le dèe di accapigliarsi (la festa era ormai rovinata), il dio Zeus chiamò Ermete, suo figlio, il dio che protegge gli uomini ladri e bugiardi, e che non può essere vinto in nessuna trattativa. Zeus chiese a Ermete: ”Conosci qualcuno che sappia cavarci da questo impiccio?”. Ermete rispose, come tutti i bugiardi: ”Forse”.
• Sempre sul monte Ida, non lontano dalla grotta di Chirone e dal luogo dove si stavano svolgendo le nozze, pascolava i suoi tori il mandriano Paride, un ragazzo talmente bello che la ninfa Enone non voleva mai staccarsi da lui. Ermete, di punto in bianco, gli si parò davanti e aveva dietro di sé tre dèe, le uniche che potessero ambire alla mela: una, Afrodite, era la dea dell’amore; un’altra, Hera, era la moglie di Zeus; e la terza era Atena, la più intelligente di tutte, gran matematica e grande tessitrice, guerriera e con gli occhi azzurrissimi. Paride, quando Ermete gli ebbe spiegato di che si trattava, non voleva assolutamente saperne. Poi chiese se le dèe escluse gli avrebbero serbato rancore. Poi domandò di vederle nude. Infine, quando quelle si furono spogliate, prese la mela e andò a parlarci.
7Le dèe volevano persuaderlo con le lusinghe. Atena gli disse: ”Sarai il più saggio di tutti e grazie alla tua sapienza vincerai ogni battaglia”. Hera gli disse: ”Ti darò il dominio dell’Asia”. Afrodite gli disse: ”Ma tu, caro Paride, non sei mica un mandriano”. Paride: ”No?”. Afrodite: ”No. Tu sei figlio di Priamo ed Ecuba, il re e la regina di Troia. Quando sei nato, gli indovini dissero che avresti provocato la rovina della città e tuo padre allora ti consegnò al pastore Agelao perché ti uccidesse. Agelao invece non ha avuto il cuore di ammazzarti, ha portato al re Priamo una lingua di cane, dicendo che era tua, e poi ti ha allevato in mezzo ai suoi figli”. Paride: ”Anche se questa storia fosse vera, che c’entra con la mela?”. Afrodite: ”C’entra. Perché io ti farò tornare a Troia ed essere principe e poi ti darò in sposa la donna più bella del mondo”. Paride domandò: ”E chi è la donna più bella del mondo?”. E Afrodite rispose: ”Elena, regina di Sparta, la moglie del re Menelao. Ti vedrà e per te lascerà suo marito, la casa, i suoi figli”. Paride disse: ”Tutto questo per una mela d’oro?”. E Afrodite, prendendo la mela, rispose: ”Proprio così”.
8 A Troia c’erano i Giochi e, seduti sulle tribune, il re Priamo e la regina Ecuba videro un giovane, di radiosa bellezza, che batteva tutti nel pugilato e poi anche nella corsa e nel salto. Inoltre questo giovane aveva portato con sé un toro e questo toro, nella gara dei tori, batteva i tori di tutti gli altri. Priamo ed Ecuba si domandavano: ”Ma chi è questo giovane eroe?”. I loro figli, invece, erano invidiosi: Deifobo ed Ettore circondarono lo sconosciuto e stavano per ammazzarlo quando il pastore Agelao si mise a gridare: ”Fermi! E’ vostro fratello!”. Così Paride fu ammesso al palazzo reale ed era così bello, così gentile, così aggraziato che tutti lo amavano e nessuno ricordava più le parole degli indovini che, quando era nato, avevano gridato al pericolo.
9 A Sparta intanto era scoppiata la peste e gli indovini dissero al re Menelao che, per far cessare l’epidemia, bisognava sacrificare sulle tombe di Lico e Chimero. Il re chiese: ”E dove si trovano queste tombe?”. E gli indovini: ”A Troia”. Così Menelao andò a Troia e fu accolto da Priamo e, seduto alla tavola del palazzo reale, conobbe Paride. Paride gli disse: ”O re, anch’io ho bisogno di sacrificare agli dèi in terra straniera. Infatti, ho ucciso per sbaglio un compagno di giochi e devo purificarmi”. Menelao disse: ”Vuoi venire a Sparta?”. E Paride disse: ”Ti ringrazio, o mio re”.
10 Così Paride andò a Sparta e lo accompagnava proprio Menelao, l’uomo che lui avrebbe tradito. Afrodite gli stava alle spalle, lo consigliava. ”Per far capire a Elena le tue intenzioni, falle cenni con gli occhi, bevi alla sua stessa coppa posando le labbra dove lei ha posato le labbra, scrivi in segreto piccole parole d’amore”. Elena, ad ogni movenza di Paride, si innamorava. Paride, benedetto da Afrodite, splendeva di una bellezza sconosciuta.
• 11 Morì il re di Creta e Menelao dovette partire per partecipare al suo funerale. La reggia di Sparta era rimasta deserta, Elena e Paride erano soli. La sera stessa fuggirono. Lei caricò sulla nave cinque ancelle, il tesoro di Sparta e oro per tre talenti sottratto al tempio di Apollo. Aveva una figlia di nove anni, ma questo non la trattenne. Le navi presero il largo ed Elena, giunti all’isola di Cranae, là dove adesso sorge il tempio di Afrodite che Unisce, si mostrò nuda all’amante e per la prima volta fu sua.
12 Elena era la donna più bella del mondo, talmente bella che Teseo l’aveva rapita quando non aveva che dodici anni. Al momento del matrimonio, tutti i principi greci avrebbero voluto sposarla e c’erano stati per questo molti rischi di guerra. Il padre suo Tindareo aveva allora convocato i re della Grecia: ”Uno di voi sarà il marito di Elena. Ma prima che venga fatta la scelta, giurate: gli esclusi la difenderanno contro chiunque non accettasse il verdetto e intendesse rubarla”. Fu sacrificato un cavallo e intorno alle sue carni bruciate i principi giurarono. Perciò adesso che Paride l’aveva rapita, tutta la Grecia aveva un solo dovere: riprendere la regina, restituirla al marito.
13 Menelao aveva un fratello, di nome Agamennone. Agamennone era il re di Micene. Fu lui, accompagnato da Menelao e Palamede, a fare il giro delle città per dare la notizia e radunare la flotta. Alcuni cercarono di sottrarsi: il re di Itaca, Odisseo, il quale sapeva che partendo per Troia sarebbe tornato dopo vent’anni, si fece trovare in un campo con in testa un berretto a forma di uovo, nell’atto di seminar sale con un aratro tirato da un asino e un bue. Voleva far credere di essere pazzo, ma Palamede gettò davanti alle zampe degli animali il suo figlioletto Telemaco e Odisseo subito fermò le bestie, mostrando di non essere pazzo e di essere obbligato a partire. Quanto ad Achille, il figlio di Peleo e Tetide, che allora aveva solo quindici anni, la madre lo mandò a Sciro, dal re Licomede, e qui lo fece vestire da donna. Quando era nato, la madre lo aveva immerso nello Stige, per renderlo immortale: ma l’aveva tenuto per un tallone e quella parte del corpo non s’era bagnata ed era rimasta mortale. Ora, nella reggia di Sciro, facendosi chiamare Cercisera, Achille faceva la donna, ed era in effetti un po’ donna: faceva l’amore con Patroclo e molti anni dopo avrebbe amato di un amore insensato il giovane Troilo. Ma i messi di Agamennone, e Odisseo era tra questi, portarono in dono armi e gioielli e quando li misero in mostra videro le donne eccitarsi per i gioielli e solo una tra queste, la cosiddetta Cercisera, prendere subito in pugno le armi e brandirle. Così anche Achille fu imbarcato per Troia.
14 Priamo ed Ecuba e tutti i troiani s’erano innamorati di Elena. Priamo disse: ”Troia perisca, ma Elena non tornerà mai più a Sparta”. Mandarono l’indovino Calcante a interrogare l’oracolo di Delfi e l’oracolo disse che la guerra sarebbe durata dieci anni e che Troia sarebbe stata distrutta. Calcante allora tradì e passò dalla parte dei greci.
15 Agamennone era il capo dell’esercito greco. La flotta era radunata nell’Aulide. Ma non aveva pilota e, una volta preso il largo, sbagliò molte volte la rotta. Finirono in Misia, dove si batterono credendo di essere a Troia. A Lemno, mentre i greci contemplavano l’altare innalzato da Giasone in onore di Atena, un serpente mandato da Hera morse Filottete, già pretendente di Elena e prima ancora famoso per aver acceso la pira dove Eracle aveva immolato se stesso. In cambio di quel favore, Eracle gli aveva regalato la sua faretra piena di frecce. Ma adesso, a causa del morso del serpente, il piede di Filottete prese a marcire e ne veniva un odore insopportabile. Agamennone ed Odisseo, senza badare alle sue grida di indignazione, lo abbandonarono a Lemno.
• 16 Alla fine la flotta tornò indietro. Stavano ora di nuovo in Aulide e soffiava un vento contrario. Agamennone e gli altri eroi greci pensavano: ”Gli dèi sono contrari”.
17 Venne Calcante e disse chi era. Agamennone gli chiese perché i venti soffiavano contro le navi e se sapeva la rotta e come sarebbe andata la guerra. Calcante rispose: ”Per far placare i venti bisogna sacrificare ad Artemide tua figlia Ifigenia. Sì, conosco la rotta e vi condurrò nella Troade. La guerra durerà dieci anni e Troia sarà distrutta. Il primo greco che metterà piede sulla spiaggia di Troia sarà ucciso”.
18 La moglie di Agamennone si chiamava Clitennestra ed era sorella di Elena. Agamennone la ingannò: dicendo che Ifigenia avrebbe sposato Achille, la fece partire da Micene e venire nell’Aulide. Quando la figlia gli fu davanti, le spiegò di che si trattava. Ifigenia, senza dar segni di paura, disse che volentieri, per la gloria dei greci, avrebbe offerto il collo all’accetta.
19 Calcante conosceva la rotta e dopo una navigazione di molti mesi condusse la flotta nella Troade. Qui, si sapeva, il primo greco a sbarcare sarebbe stato ucciso. I troiani aspettavano in formazione di battaglia. Tutti guardarono Achille, l’eroe biondo, il più grande di tutti. Ma Achille non si muoveva. Poi guardarono il Grande Aiace, che sovrastava tutti in altezza e sapeva imbracciare uno scudo fatto con la pelle di sette tori, così presuntuoso che durante i combattimenti respingeva gli dèi che volevano aiutarlo (’non ho bisogno di voi, andate dai miei compagni”). Ma il Grande Aiace non si muoveva. Poi guardarono il Piccolo Aiace, basso e veloce, nessuno come lui sapeva scagliare la lancia e solo Achille lo sconfiggeva nella corsa. Ma neanche il Piccolo Aiace si muoveva. Poi guardarono Odisseo, l’astuto. Ma, proprio perché astuto, Odisseo guardava da un’altra parte. Infine Protesilao fece un balzo e atterrò sulla spiaggia per primo. Egli aveva lasciato una moglie, Laodamia, che lo amava al tal punto da essersi fatta fare una statua di cera identica a lui e tutte le sere si coricava con accanto la statua e la accarezzava e la baciava così che il padre di lei, Acasto, per porre fine a quell’ossessione, aveva ordinato che la statua venisse bruciata. Protesilao balzò, si gettò contro i troiani e ben presto venne trafitto. L’anima sua allora apparve a Laodamia e le disse: ”Eccomi qua, son morto. Moglie mia, vieni con me”. E Laodamia, senza perdere tempo, si infilò un pugnale nel petto.
20 Quando si dice ”l’ira di Achille” oppure ”la furia di Achille” si vuole alludere alla sua anima appassionata, che amava e odiava senza limiti e cambiava di continuo d’umore. Egli, vista la morte di Protesilao, spiccò un salto così prodigioso che una sorgente sgorgò dove i suoi piedi toccarono terra. Poi, nel corso della battaglia, si trovò contro Cicno, il figlio di Posidone, che fino a quel punto aveva ammazzato decine di greci. Egli lo colpì in faccia con tale furore che Cicno cadde riverso e Achille lo strozzò con i cinturini dell’elmo. Poi incontrò Troilo, il principe figlio di Priamo, e stavolta restò rapito dalla sua bellezza. ”Mettiti con me o sarò costretto a ucciderti”. Ma Troilo continuava a combattere. Achille allora, preso insieme dall’ardore di guerra e da quello d’amore, gli saltò addosso e lo violentò con tal forza che quello ebbe le costole rotte e il viso tumefatto e quando videro in che stato si trovava era ormai morto perché Achille, dall’insana passione, dopo averlo posseduto, l’aveva trafitto con una lancia.
• 21 La scena della battaglia era questa: sul mare, le navi. Sulla spiaggia, il campo dei greci. Da un lato il tempio di Apollo Timbreo, che greci e troiani consideravano territorio neutro e dove andavano a sacrificare senza combattersi. Là di fronte Troia, con le sue mura, costruite da Apollo e Posidone, che in veste di muratori avevano espiato una ribellione a Zeus. C’era un solo pezzo di muro dove si poteva entrare ed era quello costruito a occidente da Eaco, il padre di Peleo, il più virtuoso di tutti gli uomini. C’era questa stranezza nel destino di Troia: che il padre di Peleo aveva costruito quel muro e che suo figlio adesso doveva abbatterlo.
22 Un giorno Achille andò al tempio di Apollo, territorio neutrale, e qui trovò Ecuba che con la figlia Polissena stava sacrificando. Subito Achille, col suo animo mobile, fu preso da passione per Polissena e tornato alla tenda mandò l’auriga Automedonte da Ettore a chiedere a che condizioni gli avrebbe ceduto la sorella. Ettore rispose: ”Consegna ai troiani il campo dei greci”. La passione di Achille era talmente forte che mandò a dire a Ettore: ”Si può fare. E però che accadrà se non ci riesco?”. Ettore gli rispose: ”In questo caso, devi almeno ammazzare il tuo cugino Aiace il Grande e i figli dell’ateniese Plistene”. Achille si tormentava e non sapeva prendere una decisione.
23 Passavano gli anni e i greci, mentre aspettavano la caduta di Troia - che non poteva avvenire prima del decimo anno - mantenendo l’assedio, sottomettevano i popoli della costa. Lesbo, Foceo, Colofone, Smirne, Clazomene, Cuma, Egialo, Tino, Adramittio, Dide, Endio, Linneo, Colone, Lirnesso. Anche Tebe Ipoplacia. Qui era nata Andromaca, la moglie di Ettore. Achille, entrando in città, vi trovò il padre Eezione e i suoi sette figli. Li uccise tutti e intorno al rogo poi crebbe un bosco di olmi.
24 A Tenedo Achille uccise Tenedo, che scagliava massi dall’alto della roccia. Tenedo era figlio di Apollo e Tetide aveva avvertito Achille che se avesse ucciso un figlio di Apollo sarebbe morto per mano di Apollo. Per questo Achille si portava dietro uno schiavo di nome Mnemone che ogni giorno doveva ricordargli quella profezia. Ucciso Tenedo e compreso quello che aveva fatto, Achille mise a morte Mnemone. A Lirnesso fu presa Criseide, figlia di Crise, il sacerdote del tempio di Apollo Timbreo. E Briseide, che era stata fidanzata di Troilo. Quando sorteggiarono le schiave, Criseide toccò in sorte ad Agamennone, Briseide ad Achille. A Tebe Ipoplacia Achille prese pure il cavallo Pedaso, che egli aggiogò al suo carro, già tirato dalla pariglia di cavalli immortali - Balio e Xanto - che gli dèi avevano regalato ai suoi genitori il giorno delle nozze.
25 Venne il decimo anno e i greci, tornati dalle guerre costiere, si misero tutti sotto le mura di Troia. Ma il dio Apollo era offeso, perché Agamennone aveva preso Criseide e Criseide era la figlia del suo sacerdote. Il dio, invisibile a tutti, si mise dunque davanti alle navi e prese a scoccare frecce sui greci. I greci morivano a decine. Calcante spiegò: ”E’ Apollo, Bisogna placarlo”. Agamennone allora mandò a chiamare il sacerdote Crise e gli fece dei doni e tutto cortese concesse che si riprendesse Criseide. Poi, non volendo restare senza una schiava, ordinò ad Achille di consegnargli Briseide. Era il capo e Achille non potè rifiutare.
• 26 Ma, nell’anima di quell’eroe che aveva già pensato al tradimento per amore di Polissena e che, pur amando Polissena, continuava ad accarezzarsi con Patroclo, scoppiò adesso una nuova passione. Come fare a meno di Briseide, che era stata l’amante di Troilo, un altro dei suoi tanto amati? E come sopportare un insulto tanto pesante? Non c’erano altre schiave nel campo che potessero far felice Agamennone? Perché il re aveva scelto di mostrare la sua prepotenza proprio a lui? Così cominciò l’ira di Achille. Invano Patroclo cercava di consolarlo. Achille annunciò che non avrebbe più combattuto e che anzi domani, o comunque al più presto, avrebbe imbarcato il suo popolo e sarebbe tornato a Ftia.
27 I greci, senza Achille - e spaventati anzi al pensiero che Achille non c’era - si ritraevano. Diomede affrontò Glauco, e durante il duello parlarono e scoprirono che i padri loro erano stati amici: cessarono di combattere e si scambiarono le armi. Ci fu il duello tra Ettore e Aiace e a sera, ammirati entrambi dal valore dell’altro, si fecero regali. Ettore donò ad Aiace la sua spada dall’elsa d’argento. E Aiace donò a Ettore la sua cintura rossa.
28 I greci avevano eretto un muro davanti alle navi e il giorno dopo, esaltati dal successo, i troiani guidati da Ettore aprirono una breccia in quel muro, giunsero fin quasi alle navi e qui incendiarono la nave di Protesilao. Tutto sembrava perduto, nonostante le profezie, e Patroclo corse da Achille a chiedergli le sue armi. ”Achille, i troiani si fanno forti della tua assenza. Ma se, travestito con la tua armatura, il tuo elmo, la tua spada, crederanno che tu sei tornato in campo, questo sarà sufficiente a sgominarli”. Achille sorrideva: Patroclo non era questo gran combattente. Gli diede l’armatura, l’elmo, la spada. Patroclo, travestito da Achille, si gettò nella battaglia.
29 Saranno state le armi, o ciò che era scritto nel destino, ma Patroclo, un tenero maschio destinato ad altri maschi, si gettò in campo come un leone. Trafisse Pirecno, spense l’incendio della nave, abbattè Sarpedone: sembrava Achille e i troiani credettero che l’eroe fosse tornato a combattere. Spaventati fuggirono e Patroclo li inseguiva. Giunsero fino a Troia, entrarono nella città e Patroclo prese ad arrampicarsi sul muro e sarebbe arrivato fino in cima se Apollo non lo avesse respinto tre volte. Poi, al calar della notte, scese la nebbia e Patroclo continuava a combattere. Apollo allora lo colpì tra le scapole, facendogli rotolare l’elmo e spezzare la lancia. Gli aprì poi la corazza ed Euforbo, che stava lì vicino, gli diede un gran colpo. Poi giunse Ettore e lo finì con un solo colpo di lancia.
30 Nell’anima di Achille si aggiunse quindi una nuova passione: all’amore per Troilo, Polissena e Briseide, all’odio per Agamennone, lo strazio per Patroclo le cui carezze erano perse per sempre. Le sue grida rimbombavano in alto nel cielo. Chiamò Agamennone e disse: ”Non mi importa più di Briseide, adesso mi importa solo di Ettore”. Agamennone disse: ”Briseide è tua, quella storia è finita, io non l’ho neanche toccata”. La madre Tetide gli portò una nuova armatura, forgiata da Efesto. Con quella Achille si lanciò contro i troiani.
• 30 Nell’anima di Achille si aggiunse quindi una nuova passione: all’amore per Troilo, Polissena e Briseide, all’odio per Agamennone, lo strazio per Patroclo le cui carezze erano perse per sempre. Le sue grida rimbombavano in alto nel cielo. Chiamò Agamennone e disse: ”Non mi importa più di Briseide, adesso mi importa solo di Ettore”. Agamennone disse: ”Briseide è tua, quella storia è finita, io non l’ho neanche toccata”. La madre Tetide gli portò una nuova armatura, forgiata da Efesto. Con quella Achille si lanciò contro i troiani.
31 La furia di Achille spezzò la massa troiana in due parti: una fuggiva verso il fiume, l’altra verso le mura di Troia. Inseguendo questi ultimi, a un tratto, Achille si trovò di fronte a Ettore. I due eserciti si fermarono, nessuno poteva distrarre i due eroi. Ma l’aspetto di Achille era così terribile, che Ettore si scorò e prese a fuggire. Egli pensava ad Andromaca ed era pieno delle tenerezze del suo piccolo figlio Astianatte. Non si può essere soldati e tenere famiglia. Scappava intorno alla città e Achille lo inseguiva implacabile, più veloce di lui. Fecero un giro, due giri, tre giri. Poi Ettore si fermò e affrontò il suo destino: si fermò, si girò verso Achille e non fece neanche in tempo a levare la lancia che l’altro lo trafisse nel cuore. Cadendo egli chiese che il suo corpo fosse reso alla famiglia. Ma Achille non lo ascoltava. Gli trafisse i talloni, passò nei buchi la cinta rossa che era stata di Aiace, poi lo legò al suo cocchio e con quella cupa esultanza che solo gli assassini conoscono spronò Balio, Pedaso e Xanto e trascinò il corpo fino alla tenda, la testa di Ettore, dai riccioli neri, sballonzolante, e dietro, nella gran polvere, una striscia di sangue.
32 Dopo i funerali di Patroclo (furono sgozzati dodici prigionieri troiani e tra questi alcuni figli di Priamo) Achille non trovava pace e ogni mattina spronava i cavalli e trascinava nella polvere il corpo di Ettore. Ma Apollo fece in modo che, in tutto quel tempo, il corpo di Ettore non si corrompesse. Si sa che le anime dei morti, se i vivi non le interrano o non le bruciano, vagano infelici per il resto del tempo. Il re Priamo si presentò alla tenda di Achille. Quali altri dolori bisognava condividere per provare finalmente pietà? Non sapeva il figlio di Tetide che la rabbia, il dolore, la vendetta non erano che illusioni, dato che poi la morte avrebbe dato a tutti lo stesso tipo di pace? E anche Achille: il suo destino era segnato dal fato e l’eroe stesso sapeva che non sarebbe tornato da Troia. Il re stava in ginocchio, i due uomini piansero insieme. Ma il cadavere di Ettore non fu restituito senza un riscatto. Posto il suo corpo sul piatto di una bilancia, i troiani dovettero riempire l’altro piatto con tutto il tesoro di Troia. E ancora non avevano pareggiato il peso. Allora Polissena, l’amore di Achille, che stava a guardare affacciata alle mura, buttò giù i suoi gioielli e finì di pagare il riscatto. Achille, pieno di ammirazione, disse. ”Tieniti il tuo oro e dammi tua figlia”. ”E tu persuaderai i greci a tornarsene a casa?”. Achille rispose: ”Ci penserò”.
33 Durante i funerali di Ettore, i troiani piansero con tanta forza e i greci con tali urla tentarono di coprire le loro grida, che gli uccelli tramortiti piovevano giù dal cielo.
34 Pentesilea, l’amazzone, respingeva gli assalti di Achille e infine Achille la uccise con un colpo di lancia. Poi, vedendo quant’era bella, prese a baciare il cadavere e, crescendogli dentro la passione, infine la penetrò, benché morta. Tersite, il più brutto dei greci, si mise a gridare: ”Guardate che fa! Sacrilegio! Empietà”. Achille allora gli diede sulla bocca, gli fece saltare i denti, lo spedì in un sol colpo nel Tartaro.
35 Il nero Memnone, il bellissimo etiope, uccise Antiloco, figlio di Nestore, e guidò poi i troiani fin sotto le navi. Aiace lo stava per affrontare, ma Achille, chiamato da Atena, scostò bruscamente il cugino e con un solo colpo di spada lo decapitò. Memnone era figlio di Eos, la dea del sole che sorge. Essa chiese al dio Zeus: ”Oh Dio, fa che Memnone, benché ucciso da Achille, viva lo stesso in eterno”. Zeus non rispose, ma trasformò le donne di Memnone, che continuavano a piangerlo, in galline faraone. Ogni mattina Eos, ricordando suo figlio, bagna le piante delle sue lacrime.
segue in quarta
• 36 Infine Achille disse al re Priamo che i greci se ne sarebbero andati. ”Come puoi dirlo?” ”Io stesso li porterò lontano da Troia. E tu mi darai Polissena”. ”Lo giuri?” ”Lo giuro”. Polissena, che era presente al colloquio, disse: ”Tui hai ucciso Ettore, Troilo e hai violentato il cadavere di Pentesilea. Come ti si può credere?”. Achille rispose: ”Andiamo al tempio di Apollo Timbreo e là ratificherò il mio giuramento”. I troiani allora prepararono l’agguato: Deifobo accolse Achille all’altare e lo strinse forte al suo cuore, così forte che Achille non poteva respirare. Paride, intanto, nascosto dietro la statua del dio, scoccò la freccia. E Apollo stesso la diresse verso il tallone, dove era l’unico punto mortale di Achille.
37 Odisseo e gli altri greci avevano però sospettato il tradimento di Achille e lo avevano seguito fino al tempio. Dopo che Paride ebbe scoccato la freccia, irruppero nel tempio e fecero in tempo a sentire le ultime parole dell’eroe traditore: ”Vi prego, quando Troia sarà caduta, di sacrificare Polissena sulla mia tomba”. Egli voleva che quella donna lo seguisse nel Tartaro e che lì finalmente fosse per sempre sua. Morì e Tetide mise le sue ceneri nell’urna d’oro che Dioniso aveva regalato a lei e a Peleo nel giorno delle nozze.
38I greci disputarono sull’eroe a cui spettavano le armi di Achille. Interrogarono i troiani prigionieri, per sapere chi tra di loro li aveva terrorizzati di più. Ed essi risposero: ”Aiace e Odisseo”. Mandarono allora delle spie vicino alle mura di Troia, per origliare che cosa dicesse il nemico. E sentirono le donne chiacchierare. Una di esse lodava Aiace, ma un’altra disse, ispirata da Atena: ”Aiace? Ma senza Odisseo i greci sarebbero già a casa loro!”. Così Agamennone diede le armi di Achille al re di Itaca. E il Grande Aiace impazzì: radunato un gregge di pecore, le sterminò come fossero nemici. E poi, piantata per terra, dalla parte dell’elsa, la spada che gli aveva donato Ettore, si gettò sulla lama, dirigendo la punta verso l’ascella, l’unica zona del corpo che aveva vulnerabile.
39 Senza più Achille, senza più Aiace, i greci erano disperati. Calcante disse: ”Troia non cadrà senza le frecce di Filottete”. Odisseo e Diomede partirono dunque per Lemno, dove Filottete era stato abbandonato dieci anni prima. Arrivarono e il piede era marcio e Filottete gli gridava contro ogni sorta di insulti. ”Io darvi le frecce di Eracle? O maledetti!”. Ma in quel momento gli apparve il fantasma di Eracle: ”Filottete, vattene con loro a Troia. Ti manderò un figlio di Asclepio, affinché ti guarisca”.
40Tornati a Troia, proprio Filottete sfidò Paride a un duello con l’arco: mancò il bersaglio con la prima freccia, gli infilò la seconda nella mano destra, la terza nell’occhio, la quarta nella caviglia. Paride fuggì a Troia e si fece portare sull’Ida, dove stava la sua vecchia amante Enone. Ma Enone, ancora pazza di gelosia per Elena, rifiutò di guarirlo. Lo riportarono a Troia e la sera stessa morì. Enone, quando l’aveva visto portar via, s’era pentita del suo rifiuto ed era scesa di corsa in città, avendo cambiato idea, volendo invece medicarlo. Ma quando arrivò Paride era già morto. Pazza per il dolore si gettò giù dalle mura.
• 41 I figli di Priamo disputarono su chi, morto Paride, dovesse sposare Elena. In particolare Deifobo ed Eleno. Deifobo era quello che con Ettore aveva tentato di uccidere Paride tanti anni prima, nell’arena dei Giochi, quando ancora non si sapeva chi era quel mandriano tanto bello e tanto forte. E poi Deifobo aveva stretto al suo petto Achille, durante l’agguato che era costato la vita all’eroe. Priamo gli concesse Elena, Eleno fuggì da Troia indignato. Ma Elena era ormai tormentata dai rimorsi. Una notte la sorpresero che, salita sulle mura, tentava di fuggire calandosi con una corda dall’altra parte. Le sentinelle la presero e la portarono davanti a Deifobo. Deifobo la costrinse a sposarlo.
42 Infine Odisseo suggerì di chiamare Epeo, un focese di Parnasso, il più grande artigiano del mondo, e di fargli costruire un cavallo di legno, grande tanto da poter ospitare al suo interno almeno trenta guerrieri. Spiegò: fingeremo di andarcene e che questo cavallo sia un dono ad Atena, perché ci protegga sulla via del ritorno. Epeo adoperò legno di faggio e pose sulla pancia del cavallo, di lato, una piccola porta che non si poteva aprire dall’esterno. Vi entrarono poi trenta greci e tra questi Odisseo, Menelao, Diomede, Stenelo, Acamante, Toante, Neottolemo il figlio di Achille e lo stesso Epeo, che era un vigliacco e aveva paura, ma che era l’unico a saper manovrare la porta. La notte i greci diedero fuoco alle tende e presero il largo con le loro navi, nascondendosi però dietro l’isola di Tenedo. Sulla spiaggia rimase Sinone, col compito di far segnali per quando fosse il tempo di ritornare.
43 Al mattino i troiani videro che il campo dei greci era stato bruciato, le navi sparite e che sulla spiaggia stava questo enorme cavallo di legno. Sulla pancia del cavallo era scritto: ”Ad Atena, i tuoi figli di Grecia, per un felice ritorno in patria”. Venne anche Priamo a vedere. Erano pieni di dubbi: se si trattava di un monumento sacro, sarebbe stato bene portarlo in città e onorare la dea. Ma se fosse stato un trucco dei greci? Timete voleva che fosse condotto oltre le mura e portato sulla cittadella, dove gli avrebbero eretto un tempio. Capi gridò: ”No, è un trucco dei greci”. Priamo disse: ”Come possono osare un trucco, adoperando il nome di Atena?”. Così aprirono una breccia nelle mura e, posto il cavallo su rulli, lo trascinarono nella città. Ma qui una figlia di Priamo, Cassandra, che aveva il dono di vedere il futuro ma la condanna di non esser creduta (Apollo infatti, che le si era accostato quando Cassandra era giovane, al suo rifiuto le aveva sputato in bocca per punirla), si mise a gridare: ”Ci sono soldati là dentro! Attenti, troiani, la fine è vicina”. E Laocoonte, nuovo sacerdote del santuario di Apollo, per mostrare che Cassandra aveva ragione, scagliò una lancia contro la pancia del cavallo e fece sentire un rumore di vuoto.
44 I greci stavano dentro, e tremavano di paura. Epeo piangeva in silenzio. La lancia di Laocoonte penetrò nel legno proprio sopra la testa di Neottolemo, il figlio di Achille, che però restò impassibile. Intanto i troiani, di fuori, discutevano e non sapevano decidersi. Ma ecco apparire Sinone, lacero e sporco, con l’aria che l’avessero appena pestato. Egli disse ai troiani che i greci erano effettivamente partiti e che a lui era toccato di essere sacrificato alla dea per renderla favorevole. Ma, quando già era stato posto sull’altare, col collo girato verso l’accetta, s’era levato un bel vento e i greci erano corsi subito alle navi, lasciando il sacrificio a metà. Priamo domandò: ”Perché hanno costruito un cavallo tanto grande?”. Sinone rispose: ”Perché non volevano farvelo portar dentro. Secondo Calcante il cavallo di Atena vi avrebbe dato il possesso di tutta l’Asia”. Laocoonte gridò: ”Bugie! Sono tutte bugie!”. Ma in quel momento due serpenti usciti dal mare, chiamati Porcete e Curissia, mandati da Apollo, balzarono addosso a lui e ai suoi due figli e stringendoli forte dentro le spire li stritolarono a morte.
45 I troiani alla fine furono persuasi. La guerra era finita, i greci erano partiti, contro ogni profezia la città aveva vinto! Suonarono, banchettarono, finirono ebbri a dormire in ogni angolo delle strade. Ma, durante la festa, Elena - che aveva disgusto del suo nuovo marito - andò vicino al cavallo e ponendosi sotto la pancia, ad alta voce per essere udita, prese a imitare le voci delle mogli dei greci. La voce di Clitennestra, la voce di Penelope l’anatra, che aveva sposato Odisseo. Deifobo, che era con lei, rideva senza capire. I greci nella pancia pensavano di balzar fuori e Antielo stesso, sentendo la voce della propria moglie, era sul punto di rispondere quando Odisseo, per farlo star zitto, lo strangolò.
• 46 Venuta la notte, ed essendo Troia ubriaca caduta nel sonno, Epeo aprì la porticina e i greci, zitti zitti, scivolarono fuori. Sgozzarono le sentinelle, aprirono le porte della città. Sinone era andato sulla spiaggia ad accendere un falò. Silenziose, le navi sbucarono da dietro l’isola di Tenedo. Intanto in città cominciava la strage.
47 C’era la luna e Priamo ed Ecuba, che l’angoscia aveva tenuto svegli, videro dalle finestre i nemici che sciamavano per la città, sgozzando i troiani addormentati. Capirono che era finita e si rifugiarono sotto l’albero di alloro sacro a Zeus che stava in cortile. Qui Priamo vide un suo figlio, Polite, trafitto dai greci. E disperato tentò di scagliare una lancia. Ma era debole e vecchio e il colpo andò a vuoto. Neottolemo, il figlio di Achille, lo sgozzò sulla soglia del palazzo reale e poi ne trascinò il corpo sulla tomba del padre.
48 Odisseo e Menelao, giunti alla casa di Deifobo, trovarono Elena che aveva infilato un pugnale nella schiena del marito. Menelao aveva giurato che l’avrebbe ammazzata. Ma quando la vide, essa era a seno scoperto e piangente. Il re di Sparta gettò le armi e la condusse sulla sua nave.
49 Il Piccolo Aiace trovò Cassandra nel tempio e la violò e la voleva tenere per sé come schiava. Ma Agamennone disse: ”No, è mia”. Odisseo lo appoggiò: ”L’hai violentata nel tempio, sei un uomo sacrilego” disse ad Aiace ”Vedi che anche la statua del dio tiene per questo gli occhi rivolti a terra”. Cassandra, incatenata, si voltò verso Agamennone e fissandolo vide di colpo il suo destino. ”Infelice” mormorò. Ma non era creduta.
50 Polissena fu sacrificata sull’altare di Achille.
51 Infine, durante il massacro, Agamennone vide un giovane curvo, che portava un vecchio sulle sue spalle. Era Enea, il capo dei Dardani, che prima di salvare se stesso voleva mettere al sicuro suo padre. ”Lasciateli stare!” gridò il re dei greci. Le fiamme si levavano alte e annerivano i muri. La guerra di Troia era finita.
giorgio dell’arti