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 2002  gennaio 01 Martedì calendario

Bisogna mettersi in testa questo: che di Marte sappiamo meno di quanto vogliono farci credere i giornali

• Bisogna mettersi in testa questo: che di Marte sappiamo meno di quanto vogliono farci credere i giornali. Potremmo (forse) giurare che la vita non c’è adesso. Ma in passato? In passato non si sa: se si dimostrasse che miliardi di anni fa su Marte c’era l’acqua, allora potremmo ipotizzare che ci fosse anche la vita. Almeno, la vita come noi la conosciamo. Da tanti segni, la presenza di acqua su Marte (miliardi di anni fa) sembrerebbe plausibile. Ma giurarci non si può. E a proposito: tutte le notizie uscite negli ultimi anni su batteri marziani più o meno ritrovati in presunti sassi marziani sono o destituite di fondamento o molto, molto dubbie.
• Si deve infatti ricordare che nessun essere umano ha mai avuto sotto mano un campione di terra marziana prelevata da Marte da una delle nostre navicelle e trasportato fin qui. Noi abbiamo studiato sempre il suolo marziano attraverso sassi caduti sulla Terra dopo aver attraversato lo spazio. La provenienza marziana di questi oggetti non è mai sicurissima. E non si può neanche giurare che nel viaggio il meteorite non si sia infettato con elementi extra-marziani. Noi stessi, qui sulla Terra, potremmo aver inquinato l’oggetto: quello che ci sembra marziano, potrebbe benissimo essere volgarmente terrestre.

• Mars Odyssey, la sonda che è partita il 7 aprile scorso, in questo momento sta girando intorno a Marte senza inviare alcun dato a Terra. Dal 7 gennaio comincerà a farci sapere quello che vede e che sente. Andrà avanti così per 917 giorni. Poi sparirà nello spazio e si disintegrerà. Non scenderà su Marte e quindi non avremo neanche stavolta a disposizione un campione di roccia sicuramente marziana e sicuramente pura. La Nasa dovrebbe mandare una sonda capace di raccogliere e analizzare campioni di suolo nel 2003. Ma la prima navicella che riporterà sulla Terra un pezzo di Marte non partirà prima del 2010. Quanto allo sbarco dell’uomo: Ed Weiler, vicecomandante della Nasa, dice che metteremo piede sul pianeta rosso intorno al 2025. Daniel Goldin, direttore generale della Nasa, qualche mese fa aveva parlato di 2020. In realtà, progetti così a lungo termine non sono quasi mai tanto precisi.
• Marte ci interessa, naturalmente, perché è il pianeta, dal punto di vista paesaggistico, più simile alla Terra. Perché è l’unico realisticamente raggiungibile. Perché è l’unico sul quale potrebbe esserci una qualche traccia di vita. Eppure le differenze con la Terra restano enormi: ha un diametro che è circa la metà di quello terrestre, una rivoluzione intorno al Sole (il nostro anno) di 23 mesi, un giorno lungo quasi quanto il nostro, una gravità che è un terzo di quella terrestre. Poiché è così piccolo, si è raffreddato prima della Terra e dunque ha un’attività geologica modesta: niente terremoti, niente eruzioni vulcaniche. L’atmosfera è composta soprattutto di anidride carbonica, praticamente senza ossigeno libero: dunque per noi è irrespirabile. Lassù non piove e non c’è quindi ciclo dell’acqua. Le calotte polari sono ghiacciate, ma si tratta anche lì di anidride carbonica, con un modesto e irrilevante apporto di acqua. La speranza di trovare una qualche pianta, un qualche filo d’erba è stata spazzata via dalle ultime immagini ad alta risoluzione arrivateci dallo spazio. Quel pianeta è un deserto freddo e arido.
• L’elemento dominante lassù è piuttosto un vento fortissimo, che solleva immense tempeste di polvere. Queste tempeste durano mesi e possono coinvolgere un intero emisfero. Proprio adesso se ne sta osservando una – di proporzioni straordinarie, quale non si vedeva da vent’anni - cominciata lo scorso giugno.
• Mars Odyssey osserverà tutto questo dall’alto della sua orbita. La sonda ha forma irregolare, è lunga due metri e 20 centimetri, alta un metro e 70, larga due metri e 60. Al momento del lancio pesava 725 chili, distribuiti così: 331,8 di struttura e meccanismi di controllo, 348,7 di carburante e 44,5 di strumenti scientifici.
• Mars Odyssey analizzerà Marte con tre ”spettrometri”. Uno spettrometro è uno strumento in grado di riconoscere gli atomi o le molecole attraverso la radiazione. Come fa a ottenere questo? Divide la luce che emana da ogni cosa e studia il suo spettro (come avviene quando un raggio attraversa un prisma e ne esce suddiviso nei sette colori). Ogni cosa ha uno spettro particolare e, anzi, analizzando lo spettro di qualcosa se ne possono perfino scoprire le caratteristiche.
• Il primo di questi spettrometri si chiama Themis, il nome della dea greca della Giustizia. Stavolta è una sigla: Thermal Emission Imaging System. Ha nove occhi che sanno guardare nella parte visibile dello spettro e in quella invisibile che viene dopo il rosso (l’’infrarosso”). La parola ”thermal”, che fa pensare al calore, è giustificata dal fatto che le emissioni di raggi infrarossi aumentano con l’aumentare della temperatura. Il Themis ha il compito di identificare i minerali che si trovano su Marte e in particolare i minerali che si formano solo in presenza di acqua.
• Il secondo di questi spettrometri è il Grs. Si tratta di un sensore piazzato all’estremità di un lungo braccio estensibile di sei metri che potrà essere aperto solo in gennaio, quando l’orbita sarà assestata. Al Grs, infatti, dànno fastidio le interferenze prodotte dal corpo principale della sonda. Che cosa deve fare questo secondo spettrometro? Deve dare la caccia ai raggi gamma e ai neutroni prodotti dalla collisione dei raggi cosmici con gli atomi presenti fino a un metro di profondità sulla superficie marziana. Gli elementi della tavola periodica che il Grs sa riconoscere sono 20. Fra questi il carbonio, mattoncino indispensabile per la formazione di composti organici, quello cioè che potrebbe accreditare o smentire per sempre la possibilità di esistenza della vita su Marte (almeno della vita come noi la conosciamo). Altro elemento a cui il Grs presterà la massima attenzione: l’idrogeno, senza il quale non ci può essere acqua.

• Il terzo spettrometro si chiama Marie e servirà soprattutto ai primi uomini che, tra un quarto di secolo, sbarcheranno su Marte. Che cosa fa Marie? Misura l’intensità dei raggi cosmici. Lo ha già fatto durante il viaggio della Odyssey fino all’orbita e continuerà a farlo nell’atmosfera del pianeta. I raggi cosmici sono prodotti dal Sole, dalle stelle e dalle galassie lontane. La maggior parte viene bloccata dalla magnetosfera e non arriva sulla Terra. Un uomo esposto ai raggi cosmici ha un’alta probabilità di ammalarsi di cancro. Perciò, prima di spedire uomini su Marte, bisogna conoscerne il livello e prendere le necessarie precauzioni.
• Le missioni su Marte hanno una cadenza di 26 mesi: bisogna aspettare, infatti, il momento in cui le orbite di Terra e Marte portano i due pianeti alla minor distanza. Così si arriva prima e si consuma meno carburante. Il primo viaggio venne fatto 25 anni fa, a luglio (la Nasa quest’estate ha festeggiato): la Viking 1 si posò con successo su una regione chiamata la Pianura della Crisi. Un mese dopo la Viking 2 atterrò nella Pianura dell’Utopia. Da allora, le missioni si sono succedute senza sosta. In questo momento ci sono il Mars Global Surveyor (un satellite che ruota intorno a Marte da cinque anni) e una navicella giapponese, la Nozomi, partita nell’ottobre del ’99 e parcheggiata adesso nello spazio per problemi tecnici. Gli europei da parte loro manderanno il 1° giugno del 2003 la missione Mars Express.
• La questione dell’acqua su Marte – di cui parlavamo all’inizio – sta in questi termini. Già i dati della Viking avevano entusiasmato alcuni studiosi: secondo loro, la struttura geologica di Marte mostrerebbe segni certi di un ricco flusso di acqua liquida in un lontano passato. Molte vallate marziane assomigliano effettivamente alle valli che sulla Terra riconosciamo immediatamente come scavate da un corso d’acqua. Nell’emisfero Nord, in particolare, appaiono immensi canaloni, la cui forma richiama quella del letto di un fiume scavato e allargato da alluvioni di proporzioni gigantesche. Molte di queste strutture sembrano contemporanee tra loro e suggeriscono l’idea che le inondazioni avessero coinvolto simultaneamente enormi regioni del pianeta. Non possiamo sapere con esattezza se su Marte tali alluvioni fossero la norma o eventi eccezionali che rimodellarono completamente l’aspetto del pianeta. Se questi flussi d’acqua ci sono stati, dovrebbero aver alimentato degli oceani. E le informazioni raccolte negli ultimi anni dal Mars Global Surveyor confermerebbero questa eventualità: i ricercatori della Brown University, che hanno lavorato sui dati altimetrici del suolo marziano, hanno riconosciuto due distinti tracciati naturali, molto somiglianti alle linee costiere terrestri. L’interpretazione di queste scoperte non è stata tuttavia condivisa da tutti gli studiosi. in corso un acceso dibattito sulla reale natura di queste formazioni.
• La faccenda della vita su Marte è naturalmente ancora più complicata. Non può esserci vita senza acqua, ma la presenza dell’acqua – anche se provata – non significherebbe necessariamente l’esistenza della vita. Alcuni studiosi, perciò, hanno preso il problema di petto e si sono messi ad analizzare i frammenti di roccia provenienti da Marte per individuare al loro interno segnali di vita, presente o remota. Qui si inserisce la questione dei campioni di suolo marziano, su cui – come dicevamo più sopra – non si può mai giurare. Qualche campione credibile (o piuttosto credibile) tuttavia c’è: sono frammenti probabilmente scalzati da Marte dopo un impatto meteorico e giunti quindi fino a noi. I casi degni di essere presi in esame non sono più di una dozzina. Tra questi, ce ne sono alcuni venuti alla luce dopo essere stati a lungo intrappolati nei ghiacci dell’Antartide. Su questi frammenti alcuni scienziati hanno gridato al miracolo: mostrerebbero, a sentir loro, resti fossili di microorganismi nativi. Senonché, distinguere tracce fossili di creature unicellulari molto primitive è davvero difficile: c’è sempre il rischio di fare confusione con strutture cristalline naturali presenti nella roccia (e non organiche) o con batteri terrestri che l’abbiano contaminata in seguito. In conclusione, come dicevamo, su Marte si sa effettivamente ancora troppo poco. Non è un male, alla fine: essendo questo lo stato delle nostre conoscenze, possiamo ancora immaginare i marziani come omini verdi con le orecchie a sventola...