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 2000  gennaio 10 Lunedì calendario

Il segretario sarà eletto giovedì sera, in apertura, rovesciando il tradizionale rito che vuole il capo acclamato a fine lavori

• Il segretario sarà eletto giovedì sera, in apertura, rovesciando il tradizionale rito che vuole il capo acclamato a fine lavori. Il nuovo statuto prevede inoltre l’automatica nomina a presidente del partito per il presidente del Consiglio in carica (ovviamente se si tratta di un diessino). Per quanto riguarda l’elezione del segretario non c’è gara: la mozione 2, quella anti-Veltroni (dovrebbe venire dalla sinistra del partito) non ha presentato candidature alternative. Fumagalli & C., forti del 20 per cento (due anni fa era al 27), daranno però battaglia su due temi fondamentali: la Commissione per Tangentopoli e il rapporto con Rifondazione. Tra gli ospiti il cantante Sting (ai tempi dei Police passava per conservatore) e il cabarettista e autore yiddish Moni Ovadia.
• «Più ancora che dare risposte, i ds al congresso debbono farsi domande! Ad esempio, che senso ha la crisi demografica italiana? Come si affronta l’immigrazione? Possibile che non ci si domandi più niente?» (Vittorio Foa).
• Curzio Maltese sulla ”Repubblica” del 6 gennaio: «’I care” (mi faccio carico). And you? ”I scare you” (io ti faccio paura). Si potrebbe continuare così, anzi si poteva organizzare il prossimo congresso (convention) della Quercia direttamente in inglese, in una chiesa di Atlanta, la città di Martin Luther King, Cnn e Coca Cola, con contorno di Gospel e ritratti Kennedy, invece di scomodare l’ex fabbrica del Lingotto che sa ancora troppo di classe operaia (working class), tanto per esser sicuri di non farsi capire, di parlar d’altro come sempre [...] In politica la scelta dei simboli e degli slogan pesa, deve pesare. E invece questa insostenibile leggerezza della sinistra, lo svolazzare allegro fra simboli, marchi e inni, alla ricerca di un’identità purchessia, fino ad arrendersi all’ecumenismo cattolico, non promette nulla di buono. L’ultimo congresso dell’ex Pci, che allora si chiamava ancora Pds, si svolse all’Eur e sembrava un convegno nazionale di commercialisti: un presagio del governo D’Alema [...] L’unico filo che lega D’Alema e Veltroni è evidentemente l’incapacità di dire ”qualcosa di sinistra”, senza citare per forza il pensiero cattolico o quello confindustriale, chiamando a testimoni tutti di non essere più ”comunisti”».
• Michele Serra sulla ”Repubblica” del 7 gennaio: «La rivoluzione formale che lo stato maggiore diessino sta disperatamente e a volte velleitariamente portando avanti ha molti difetti. Il primo dei quali è di essere, appunto, soprattutto formale. Ma è sincera. Perfettamente sincera, nel senso che riflette, quando è confusa, una storia confusa, divisa fino alla schizofrenia tra un ingombrantissimo passato ideologico e un volubile presente pragmatico, tendente al cinico. Il problema da risolvere era, più o meno, il seguente: trovare un paletto da ficcare al centro del campo, ”memento” di qualche idea o ideale o ideuzza senza la quale non solo si perde l’anima, ma addirittura le elezioni [...] Dati i termini del problema, ”I care” non è, obiettivamente, tra le soluzioni peggiori. Diciamo che sta a mezzo tra ”proletari di tutto il mondo unitevi” di Marx-Engels e ”Yabadabadooo” dei Flintstones. [...] Quanto all’inglese suvvia: non ci si emancipa dall’Internazionale Socialista per costernarsi all’Accademia della Crusca. Che almeno le dissociazioni, per coerenza, non arrivino per E-mail, ma consegnate a mano in busta sigillata con la ceralacca [...] Veltroni poi, non è neanche al governo. Ha già un piede all’opposizione, e quell’altro lo sta preparando. Un po’ di comprensione, insomma».
• Alessandro Natta sulla ”Repubblica” di sabato: «Non credo si possa chiamare congresso una cosa in cui nelle sezioni, dicendo cose diverse, si è votata la stessa mozione, e il segretario è già stato eletto. Sarà solo una kermesse, a Torino. Se gli va bene, sarà buona per la propaganda: se non va bene, nemmeno a quello...». Natta, lei è molto duro. «Che vuole, mi piacerebbe dire che non capisco. Invece capisco, capisco eccome. Ma proprio non mi piace: preferirei non parlarne, di questi cretini...». Cretini? «E anche ignoranti, che non conoscono la storia del loro paese, del partito in cui sono cresciuti. Ma come si fa a espungere Togliatti dalla vicenda italiana? Ho sentito Agnelli dire in tv cose molto più sensate e vere, sul ruolo di Togliatti, del segretario di un partito che esiste anche e soprattutto per merito suo». Ce l’ha con Veltroni? «Non solo con lui [...]».
• Parola d’ordine: cambiare. Achille Occhetto sul ”Corriere della Sera” del 5 gennaio: «Al Lingotto la parola d’ordine deve essere: cambiare linea finché si è in tempo. Per non perdere tutto. Spero che Veltroni lo faccia».
• Veltroniani (Folena, Mussi, Melandri, Berlinguer, Fassino), Dalemiani (Minniti, Turco, Burlando, Bersani, Vacca), Veltroniani di sinistra (Crucianelli), Ulivisti (’Associazione libertà uguale”: Petruccioli, Morando, Barbera, Turci, Salvati), Post Dalemiani (Salvi, Angius, Visco), Sinistra (Fumagalli, Mele, Buffo, Grandi, Tortorella), Sindaci (Bassolino, Dominici, Vitali), Istituzionali (Violante), Cosa2 (Spini, Carniti, Ruffolo, Bogi), Svoltisti (Occhetto).
• Veltroni vs D’Alema. «La pensano in maniera diversa, se non opposta, su telecomunicazioni, giustizia, pensioni, partiti, rapporti con l’opposizione e alleanze, riforme istituzionali» (Curzio Maltese). Achille Occhetto: «Se al congresso di Torino prevale la preoccupazione dell’unità formale tra D’Alema e Veltroni è la fine. L’unità del partito sarebbe una finzione, una foglia di fico per nascondere una verità inconfessabile, e cioè che l’obiettivo è uno solo, il governo. Il potere per il potere. Ma se il congresso finisce con un’unità di facciata, senza un dibattito vero e senza un chiarimento, si chiude. Perché tra un anno perderemmo il governo, l’onore e la sinistra».
• Gerhard Schröder, Tony Blair e Lionel Jospin non saranno presenti al Lingotto ma manderanno un messaggio registrato. Venerdì i messaggi non erano ancora arrivati, tanto che a Botteghe Oscure cominciavano a preoccuparsi soprattutto per quello di Blair: Nicola Zingaretti (dirigente emergente e neosegretario della Federazione romana) è stato perciò spedito a Londra per assicurarsi che il messaggio sia registrato in tempo. Smentita con fastidio la voce che fosse stato invitato Al Gore. Pietro Folena: «Nessuno ha mai pensato di invitare il vicepresidente dgli Usa, che è non poco impegnato nel suo ruolo istituzionale».
• Paolo Salvaterra, giornalista e teologo valdese, sull’’Unità” del 6 gennaio: «Come credente, come uomo di sinistra, non lo nascondo, chiedo molto ai giorni di Torino. Si è persa una percezione drammatica dell’esistenza, si fa fatica ad appassionarsi o indignarsi per qualcosa, la politica appare sospesa tra un non più e un non ancora. Non mi fido dei partiti ”dell’anno zero”, senza storia e senza testimonianza, rotondi spot sul presente, dal futuro improbabile. La politica deve restituirsi l’umiltà di capire. Non mi spiacerebbe se il Congresso cominciasse con le scuse ai cittadini, non per averne violate le tasche, ma per essersi troppo allontanati dai loro linguaggi, dalla loro sensibilità. Chiedono scusa le chiese, perché non può farlo la poltica?».
• C’è ormai un vocabolario tradizionalmente cattolico, a sinistra. Vittorio Foa: « bene che sia così. Ma spero che su un punto il congresso della Quercia assuma un attegiamento davvero laico. La nostra speranza in un mondo migliore non può basarsi sull’attesa di qualcosa che arriverà dall’alto».

• Michele Salvati, economista dei ds, lunedì 16, a commento della conclusione del congresso, vorrebbe leggere sui giornali italiani uno dei seguenti titoli: ”A Torino il primo congresso del chiarimento”, oppure ”Arrivederci al congresso ds del 20001”.