Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 29 novembre 1999
Mercoledì 24 novembre, per la prima volta nella storia della Borsa, un titolo all’esordio non è riuscito a segnare il prezzo per eccesso di richieste
• Mercoledì 24 novembre, per la prima volta nella storia della Borsa, un titolo all’esordio non è riuscito a segnare il prezzo per eccesso di richieste. Finmatica (azienda bresciana di software) è stata sospesa per ”eccesso di domanda” prima ancora di entrare nella fase di negoziazione, chiudendo la giornata a un valore teorico sei volte superiore a quello di inizio mattinata. Tra i 930 mila risparmiatori che si erano prenotati per avere le azioni, ne sono stati sorteggiati 7.750 (uno su 120) ai quali sono stati assegnati lotti da 5 milioni di lire (la sera ne valevano 60).
• Giovedì Finmatica ha chiuso con un incremento del 700 per cento, ”record mondiale” di rialzo al primo giorno di contrattazione (Borsa Spa, la società che gestisce il mercato era stata costretta ad una procedura mai usata: l’allargamento del margine di oscillazione fino al 999 per cento).
• Come era prevedibile, venerdì il titolo è stato sospeso per eccesso di ribasso. A fine giornata aveva perso il 20,6 per cento con un guadagno del 525 per cento rispetto al prezzo del collocamento. Giuseppe Turani su ”Repubblica” di sabato 27 novembre spiega così le perdite dell’ultimo giorno (altri giornali hanno parlato di crollo del mercato e di titoli Internet in caduta libera): «Quando un titolo va su del 600 per cento in un giorno perché mai devo tenermelo ancora in portafoglio? A fare un guadagno del genere con i Bot avrei impiegato quasi un paio di secoli. E quindi incassare i miei soldi e andarmene rientra semplicemente nei comportamenti dell’uomo medio europeo, alfabetizzato e ragionante. Che cosa dovrei ancora stare lì a fare. Ad aspettare che raggiunga quota 1000 per cento? [...] Uscire in fretta da quel titolo è solo un’operazione di normale buon senso».
• Comprare azioni Finmatica è stato come vincere alla lotteria. Ugo Palmieri, dottore commercialista di Milano, tra i sorteggiati ammessi all’acquisto.
Quante azioni Finmatica ha ottenuto?
«Due lotti, uno intestato a me e uno a un familiare, dieci milioni in tutto»
Finmatica è una scelta casuale frutto della febbre da Internet?
«No, è stata una scelta ragionata e consapevole. Ho letto con attenzione le notizie sui giornali: mi ha colpito la presenza di ben 200 analisti ad un incontro con i vertici dell’azienda prima della quotazione» [...]
Poi è andato alla sua banca a prenotare?
«Sì alla Popolare di Milano, filiale di Porta Genova»
Poi c’è tornato per sapere dell’assegnazione.
«Il funzionario che conosco mi ha guardato da lontano alzando il pollice e l’indice per indicarmi che avevo ottenuto due lotti [...] Su trecento richieste presentate alla filiale solo due sono state esaudite. Porterò delle bottiglie per il lieto evento».
Venderà le azioni?
«Per quanto Finmatica mi piaccia, ne aprofitto per cambiare la mia vecchia auto».
• La paura di ”scottarsi le dita” con questi titoli di ”finanza immateriale” è molto forte. Periodo medio di permanenza dei titoli nel portafoglio di un piccolo investitore: 8 giorni per le società legate a Internet (Yahoo, Amazon, ecc...), 26 mesi per le società ”storiche” (in gergo le blue chips), 33 mesi General Electric.
• Fatturato della Finmatica prima della quotazione in borsa: 90 miliardi (il giorno dopo in Borsa ne valeva quasi 3.500). Nonostante tutti l’abbiano associata al commercio elettronico sulla rete, l’azienda non ha attualmente nessun ricavo riconducibile a Internet. Più dei margini di guadagno attuali (circa il 30% del fatturato) gli investitori sono attirati dal progetto (operativo forse l’anno prossimo) di collegare in network i direttori degli acquisti di circa 11.000 aziende: un business che nelle strategie della società dovrebbe portare utili per il 6% dei ricavi nel 2000 e passare al 15 per cento nel 2001. Provenienza dei ricavi nell’ultimo anno : vendita del software (60 per cento), consulenze (20 per cento), manutenzioni.
• Nella Borsa italiana di vere società Internet ce ne sono poche, forse nessuna. Il problema della Borsa italiana è di avere una domanda di titoli Internet in linea con i trend internazionali ma un’assoluta povertà di offerta. Paolo Panerai: «Chi compra titoli Internet in realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, investe in attività alle quali si affiancano solo marginalmente strategie e tecnologie legate alla rete».
• Agli inizi del secolo, per le società era di rigore usare il temine motors nella ragione sociale, adesso il must è diventato ”com”. La società di abbigliamento casual ”Basic-net” è cresciuta del 12 per cento dopo aver aggiunto la parola ”net” nella ragione sociale (l’azienda non ha nessuna strategia per entrare nel commercio elettronico). Paolo Panerai: «Forse la Consob dovrà imporre di non associare al nome delle società da quotare termini come web, net, click, se dietro il nome non c’è nulla. Un rigore come quello di Bankitalia che proibisce, a chi non ha licenza, di comporre la ragione sociale con termini come banca o banco».
• Internet ci cambierà la vita ma non è affato sicuro che sia anche un buon affare per i risparmiatori. Warren Buffet della Berkshire Hataway (nominato nei giorni scorsi ”investitore del secolo”) avverte che non sempre i settori in espansione sono anche i più redditizi per gli investitori. In un articolo pubblicato su ”Fortune” (ripreso da ”Il Sole-24 Ore” del 27 novembre), Buffet cita il caso dell’automobile e dell’aereo: due scoperte tecnologiche (e successivamente due prodotti industriali) che hanno avuto un grande impatto sull’economia e sugli standard di vita: «Siamo ai primi del ’900, l’auto si sta affermando come industria del futuro, produttori grandi e piccoli spuntano come funghi: ai tempi d’oro siamo arrivati ad averne 2 mila tra automobili e camion. Chiunque avrebbe detto ”Questa è la via alla ricchezza!”. E quali sono i risultati? I produttori adesso sono tre, e nessuno di questi ha garantito agli investitori rendimenti da lotteria». Anche il settore aeronautico non ha dato grandi soddisfazioni agli investitori: negli ultimi vent’anni (a seguito dell’avvio della deregulation), sono fallite 129 compagnie aeree e fino al 1992 (da allora le cose sono un po’ migliorate) il totale degli utili prodotti dalle linee aeree Usa dall’inizio della storia dell’aviazione era zero. «Se fossi stato presente al primo volo dei fratelli Wright, per il bene degli investitori avrei abbattuto l’aereo».
• La malafede dei banchieri che gestiscono il collocamento beneficia gli speculatori e sottrae utili alle società quotate? Per Nicholas Negroponte, direttore del Media laboratories al Mit 99 di Boston, gli eccessi di rialzo segnati all’esordio dai titoli telematici sono dovuti alla malafede dei banchieri che curano il collocamento in borsa: di fronte a società con grandi prospettive stabiliscono livelli di emissione più bassi favorendo una ristretta cerchia di conoscenti che acquistano al prezzo del collocamento. Pierluigi Crudele, presidente di Finmatica, ha risposto in un’intervista al ”Corriere della Sera”: «Il prezzo del collocamento l’ho deciso io, i collocatori suggerivano un prezzo più alto. Io ho detto no...».
• In Italia, Internet è un mercato ancora vergine dove nessun analista economico è in grado di esprimere un’idea precisa quando si tratta di stimare un’azienda del settore. Mario Spreafico, gestore Royal&Sun Alliance, dice che per calcolare il giusto prezzo dei titoli Internet non si può ragionare in termini di utili previsti ma di utili sperati: più rischio in cambio di un ritorno più alto (finora le società venivano valutate secondo la redditività prevista e il potenziale spazio di crescita nel mercato di appartenenza). «L’opinione prevalente è che nel campo dell’hi-tech e di Internet i margini potenziali di crescita siano eccezionali ma io ne dubito considerando che i campi di applicazione sono 4 (trading on line, e-commerce, costruzione di siti e portali, interconnessione tra telefonia mobile e applicazioni web) non vedo quali possano essere questi eccezionali spazi di crescita di cui tutti parlano. Il potenziale cliente del trading on line, qui in Italia almeno, si riduce a due categorie di persone: il giovane professionista con il pallino delle nuove tecnologie e i cosiddetti pensionati di lusso (ex dirigenti o piccoli imprenditori in pensione da pochi anni). L’italiano in genere vuole vedere ciò che compra, con ogni probabilità acquisterà sul web solo quei beni riconducibili alla non tangibilità, come viaggi e libri».
• Chi avrà successo su Internet? Andreina Mandelli, coordinatrice dell’Osservatorio Internet della Bocconi, dice che avrà successo chi riesce a creare un nuovo mercato e chi porta al consumatore i propri prodotti tradizionali in modo nuovo: «Tutti i settori dove ci sono ampi spazi per l’offerta di servizi sono potenziale fonte di utili: Internet è fatto per chi vende beni intangibili come i servizi. Tanto più la componente intangibile, di servizio, di un business è forte, tanto più alta è la possibilità di successo».
• Jeff Bezos di Amazon ai suoi dipendenti: «Siamo ancora in tempo per diventare una nota a piè di pagina nella futura storia dell’e-commerce».