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 1999  novembre 22 Lunedì calendario

L’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) è nata nel 1975 come Conferenza (Csce): stabiliva il principio della non interferenza negli affari interni dei singoli paesi e la rinuncia all’uso della forza per risolvere le controversie internazionali

• L’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) è nata nel 1975 come Conferenza (Csce): stabiliva il principio della non interferenza negli affari interni dei singoli paesi e la rinuncia all’uso della forza per risolvere le controversie internazionali. Nel 1994 si è trasformata in organizzazione per sottolineare il suo carattere permanente. Vi aderiscono 54 Stati (tutti i paesi europei, gli Usa e il Canada). Oltre a occuparsi di sicurezza e prevenzione dei conflitti, è attiva nel campo dei diritti umani e civili e della cooperazione economica, tecnologica e ambientale.
• Nel vertice dell’Osce, tenutosi a Istanbul la scorsa settimana, i capi di Stato e di governo dei paesi membri hanno adottato la nuova Carta per la sicurezza europea che delinea il ruolo dell’organizzazione nel XXI secolo (avrà maggiori poteri per affrontare le crisi regionali e monitorare il rispetto dei diritti umani) e firmato il trattato Cfe sulla riduzione delle forze armate convezionali in Europa. I leader occidentali hanno condizionano la ratifica del Cfe al suo rispetto da parte della Russia e quindi al ridimensionamento delle sue truppe in Cecenia.
• Nella dichiarazione finale approvata a Istanbul si è raggiunto un compromesso con Mosca sulla crisi cecena. Il testo tutela l’integrità territoriale della Russia, condanna il terrorismo, ma afferma la necessità di avviare, con la collaborazione dell’Osce, un ”dialogo politico” e di aiutare i civili ceceni con operazioni umanitarie.
• Stefano Silvestri, vice presidente dell’Istituto per gli Affari Internazionali: «L’idea che l’Osce abbia ”piegato” la Russia è un grave errore di valutazione. In realtà ad Istanbul è avvenuto, di fatto, uno scambio tra Mosca e l’Occidente: alla Russia interessava soprattutto la riscrittura del Trattato sulla riduzione delle forze convenzionali in Europa, ed è ciò che ha ottenuto. In cambio Mosca ha firmato la Carta della Sicurezza europea. Nel rapporto tra dare e avere non credo proprio che Eltsin ci abbia rimesso».
• L’Osce è un’organizzazione di grandi ambizioni e di scarso potere di azione. Boris Biancheri sulla ”Stampa” di sabato: «Dovrebbe tutelare la sicurezza dell’Europa, i diritti umani, l’identità delle minoranze, il diritto alla scelta democratica dei popoli ma non ha strumenti per far valere questi principi se non con la collaborazione di quegli stessi Stati che li violano. Il documento di ieri non segna da questo punto di vista nessun passo avanti [...] Il compromesso di ieri dà all’Occidente qualche soddisfazione nella forma e alla Russia, che più aveva da perdere, soddisfazione nella sostanza e mani di fatto libere in Cecenia. Salvo chiedere all’Osce, cioè a tutti, cioè a nessuno, di far da paciere in un prossimo futuro».
• La Russia non è la Jugoslavia e non intende sedere sul banco degli accusati. Sergio Romano: «Con il clamoroso gesto di Istanbul (dopo aver ribadito che la Cecenia è un problema interno russo, ha lasciato il vertice prima della conclusione, ndr) Eltsin ha detto al mondo che la Russia non è la Jugoslavia e non intende sedere sul banco degli accusati di fronte a un tribunale internazionale [...] Nella vicenda cecena le democrazie occidentali sono pressoché impotenti. Non possono ricorrere alle armi come in Jugoslavia. Non possono adottare misure (sanzioni, embargo, congelamento dei negoziati con il Fondo monetario internazionale) che farebbero della Russia un caso clinico, politicamente ed economicamente inguaribile. Non possono far nulla che danneggi il governo Putin e favorisca il partito comunista nelle elezioni politiche del prossimo dicembre. E auspicano (anche se nessun politico si esprimerà mai in questi termini) la sconfitta dell’islamismo radicale in quell’imbrogliato intreccio di etnie e di petrolio che si chiama Caucaso [...] L’Occidente parla perché non può agire e alza il tono della voce perché non ha altri mezzi a cui ricorrere. Eltsin non è stato al gioco e ha difeso a modo suo la dignità del suo Paese: anche se la conferenza si è conclusa con un compromesso, la frase con cui è uscito di scena (’torno a Mosca per occuparmi della Cecenia”) suggerisce che i russi non rinunciano ai loro obiettivi militari [...] L’Occidente ha sconfitto il comunismo e l’Urss, ma non ha sconfitto la Russia e non ha fiaccato l’orgoglio della sua classe dirigente».
• Il premier russo Vladimir Putin sostiene che in Cecenia non si sta facendo una guerra, ma un’operazione antiterroristica: «Sempre nuovi elementi dimostrano l’enorme portata, di livello internazionale, delle attività illegali che originano dal territorio ceceno. Traffico di droghe, contrabbando, incluso quello di armi, sequestri di persona, commercio di esseri umani, falsificazione di banconote e incursioni banditesche nei territori confinanti della Russia: la Cecenia è diventata, praticamente, un centro mondiale del crimine e del terrore internazionali organizzati».
• Secondo Zbigniew Brzezinski, Segretario di Stato Usa con il presidente Carter e membro del Centro per gli Studi strategici e internazionali di Washington, l’obiettivo finale della strategia russa in Cecenia è il genocidio: «Un chiaro successo militare stimolerà ulteriormente le aspirazioni neo imperialistiche di Mosca, accrescendo il prestigio dei peggiori elementi della dirigenza russa. La politica di questo Paese farebbe un passo indietro».
• La Cecenia non è il Kosovo. Stefano Silvestri considera improprio qualsiasi accostamento tra la crisi cecena e le vicende kosovare: «In Caucaso non stiamo assistendo ad un’operazione pianificata di pulizia etnica [...] Semmai il parallelo potrebbe essere fatto con il Kurdistan turco o iracheno. Ma non mi pare che in quel caso l’Occidente abbia dimostrato grande efficienza, rapidità e determinazione nell’agire».
• Cento pesi e cento misure. Lucio Caracciolo, direttore di ”Limes”: « dannoso creare un principio dogmatico d’ingerenza, la cui ipocrisia, o nella migliore delle ipotesi inapplicabilità, trova conferme nella maggior parte dei conflitti in atto nel mondo [...] Sarebbe meglio dire cento pesi e cento misure. Così si ristabilirebbe un sano principio di responsabilità politica, in base alla quale si sceglie volta per volta».
• A Istanbul l’Occidente doveva scegliere fra i diritti di un popolo antipatico e la ragion di Stato della fragile democrazia russa. Ugo Tramballi: «I ceceni non sono simpatici, probabilmente non sono nemmeno europei. Hanno preteso la loro indipendenza forse per garantire più i loro traffici che per patriottismo o Islam; molti di loro rubano e rapiscono per avere riscatti. Qualcuno è anche terrorista: anche se nessun giudice russo ha ancora dato una sola prova concreta della loro responsabilità negli attentati di Mosca. Ma bombardare un Paese, case, ospedali, civili inermi sarebbe inaccettabile anche se i magistrati trovassero prove e nomi dei colpevoli. A Istanbul l’Occidente doveva scegliere fra i diritti di un popolo antipatico e la ragion di Stato della fragile democrazia russa. Hanno scelto la Russia. La preferenza non è stata dichiarata così palesemente [...] ma la sostanza è che ieri sera il leader russo era già tornato a casa sapendo di poter continuare la sua guerra [...] Se il presidente russo non vincesse in Cecenia perderebbe le elezioni parlamentari di dicembre e quelle presidenziali della prossima estate [...] La fortuna di Eltsin è di non avere alternative, la nostra sfortuna e quella dei russi è di avere solo Eltsin».
• Principio di responsabilità. «La guerra del Caucaso [...] è il secondo atto di un conflitto che iniziò nel 1994 e venne temporaneamente sospeso nel 1996. l’inizio della reconquista. La Russia intende affermare la sua sovranità sulla Cecenia e, in una più larga prospettiva, ricordare che il Caucaso appartiene alla sua sfera d’influenza. La guerra terminerà verosimilmente soltanto quando i russi avranno raggiunto il loro obiettivo o saranno stati costretti a lasciare la presa [...] Le ragioni della sostanziale passività con cui l’Occidente assiste alla campagna russa nel Caucaso sono perfettamente comprensibili. Il problema in discussione, nella guerra cecena, è l’integrità dello Stato russo. Potremmo deplorare gli avvenimenti con maggiore vigore e minacciare qualche rappresaglia economica. Ma le nostre parole verrebbero interpretate dai ceceni come una sorta di benedizione e incoraggerebbero altri popoli della regione a chiedere autonomia o indipendenza. Crederemmo di predicare pace e diverremmo, involontariamente, i paladini di tutti coloro che cercano di uscire dallo Stato russo [...] Esiste nella politica internazionale un principio morale assai più forte dei generici principi umanitari con cui qualcuno vorrebbe risolvere i problemi del mondo. il principio di responsabilità. Gli Stati debbono astenersi dal prendere iniziative che non rispondono ai loro specifici interessi e di cui nessuno può calcolare le conseguenze [...]» (Sergio Romano).
• A Istanbul i presidenti di Azerbaigian, Georgia e Turchia, e, in qualità di testimone, Bill Clinton hanno firmato l’accordo per la realizzazione dell’oleodotto che trasporterà il petrolio dal Mar Caspio al Mediterraneo, senza passare per la Russia e l’Iran. L’oleodotto, fortemente voluto dall’America per favorire la Turchia, suo alleato strategico, e rendere le ex repubbliche sovietiche più indipendenti dall’influenza di Mosca, collegherà Baku a Ceyhan, porto turco sul Mediterraneo. Sarà lungo 1.730 km. I lavori cominceranno nel 2001, per essere completati nel 2004. «Oggi i vincitori sono gli americani e i turchi, che al controllo dell’acqua del Tigri e dell’Eufrate tramite il poderoso progetto Gap aggiungono quello della nuova via del petrolio, moderna via della seta, per gli scambi tra Oriente e Occidente [...] La nuova grande potenza regionale è la Turchia, se solo riuscirà a liberarsi dai vincoli ”ottomani” che ne frenano sviluppo e crescita civile [...]» (Marco Guidi).