Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 8 agosto 2001
Erano molti gli spettacoli ai quali gli abitanti di Roma potevano assistere nel primo secolo dopo Cristo
• Erano molti gli spettacoli ai quali gli abitanti di Roma potevano assistere nel primo secolo dopo Cristo. Tra questi - per quanto possa sembrare incredibile ai nostri occhi moderni - quelli più amati dalla folla erano i combattimenti dei gladiatori e non solo a Roma, ma in tutte le città romanizzate in cui si erano diffusi. Secondo un’espressione diventata celebre, per far contento il popolo romano bastava dargli ”pane e giochi nel circo” (panem et circenses). E questo era, appunto, quello che gli imperatori offrivano al popolo. Uno stratagemma per acquistare e mantenere la popolarità di cui avevano bisogno: come, del resto, avevano fatto per secoli i nobili repubblicani.
• Gli spettacoli di gladiatori, infatti, erano un intrattenimento antico. Introdotti forse dall’Etruria, forse da zona osco-sabina, essi venivano originariamente celebrati in occasione dei funerali, ed erano offerti dai parenti del defunto. Anche se la data della loro introduzione è incerta, essi erano certamente già in uso verso la metà del terzo secolo a.C., e con il tempo, mentre diventavano sempre più fastosi, divennero sempre più popolari. Nel II secolo a. C. - riferiscono le cronache - durante la seconda rappresentazione di una commedia di Terenzio la folla aveva disertato il teatro: in quello stesso giorno, infatti, veniva offerto uno spettacolo di gladiatori. A questo punto, non è difficile capire perché questi spettacoli erano diventati strumento di propaganda politica. Per i magistrati e per coloro che aspiravano a diventare tali non c’era modo migliore per acquistare popolarità. L’organizzazione dei giochi (ormai del tutto staccata dalle celebrazioni funebri) diventò così una macchina di acquisto del consenso, che costringeva gli offerenti a spese sempre più alte ed a programmazioni sempre più complesse.
• Ma chi erano questi gladiatori, da che classe sociale provenivano? In un primo momento erano dei prigionieri di guerra o dei condannati a morte, ai quali si offriva la possibilità di aver salva la vita in caso di vittoria. Ma, con il passare del tempo, la necessità di un numero sempre crescente di atleti determinò un cambiamento nella composizione sociologica della categoria, e nell’arena cominciarono a scendere anche persone di stato libero, di regola appartenenti agli strati più poveri della popolazione, attratte da guadagni che, in caso di successo, potevano essere non trascurabili. Infine, tra i gladiatori non mancavano alcuni appartenenti alle classi più alte, attratti dal gusto della trasgressione sociale e dall’alone di romanticismo che si era sparso intorno alle figure di alcuni celebri gladiatori. Nei primi decenni del primo secolo dopo Cristo, peraltro, l’imperatore Tiberio fece approvare un senatoconsulto volto ad evitare che gli appartenenti alle classi più alte scendessero nell’arena.
La gladiatura, insomma, era diventata così popolare da fare di alcuni gladiatori delle vere e proprie star, corteggiate dalle signore del bel mondo, che - dice Giovenale, nella quarta Satira - amavano, considerandoli l’emblema della virilità, quanto più erano deturpati dalle cicatrici e dalle mutilazioni. Attorno all’arte gladiatoria, inoltre, si era sviluppata una vera e propria industria, dalla quale traeva profitto un nuovo ceto professionale: quello dei ”lanisti”. Erano personaggi spesso di dubbia fama, che organizzano e gestivano le scuole, nelle quali i gladiatori venivano addestrati al combattimento, e quindi ”affittati” a coloro che organizzavano i giochi. In queste scuole (famosissima quella di Capua, donde proveniva Spartaco) i gladiatori apprendevano le diverse forme di combattimento nelle quali poi si sarebbero esibiti.
• Le armature e le armi dei gladiatori infatti erano molte, e a ciascuna di esse corrispondeva un tipo diverso di combattimento. In base alle armi e armature di cui si servivano, dunque, i gladiatori avevano nomi diversi, e a partire da Augusto vennero divisi in vere e proprie ”classi”: tra le categorie più importanti i traci, i retiarii, i murmillones, gli oplomachi e gli essediari. Ma i combattimenti fra gladiatori non erano l’unico spettacolo offerto a chi si recava al Colosseo, o nei tanti anfiteratri sparsi nell’Impero. Il giorno all’anifiteatro era lungo e variato, ricco di divertimenti di genere diverso. Tra i diversi giochi che vi si alternavano, particolarmemente amate e spettacolari erano le venationes (cacce), in cui i cacciatori combattevano contro bestie esotiche e spesso ferocissime, importate dai paesi piu lontani: pantere, orsi, rinoceronti, elefanti, cervi, scimmie, giraffe, struzzi...Il numero di animali sterminato durante le ”cacce” era enorme: Cesare, si dice, sacrificò quattrocento leoni in un solo spettacolo, e durante il principato di Augusto ben 3.500 bestie perirono, nel corso di 26 venationes. Ma chi assisteva a questi spettacoli? Chi andava al Colosseo? O, prima della costuzione di questo, al Circo Massimo, dove si svolgevano i giochi? La risposta è semplice: tutti. Al Colosseo si poteva veramente incontrare tutta Roma, dall’imperatore al più derelitto tra i derelitti della città. Naturalmente, in zone diverse dell’anfiteatro, accuratamente divise tra loro. Le prime diciassette file erano riservate ai dignitari di corte, ai senatori, ai sacerdoti, insomma a quelli che contavano. Alle Vestali (le sacerdotesse di Vesta, tenute da un voto trentennale di castità, che occupavano un posto molto alto nella scala sociale) era riservata una seduta d’onore, di fronte al palco dell’imperatore.
• Perché gli spettatori seduti in questo settore non venissero disturbati dal sole, si provvedeva a stendere dei tendoni, e perché non dovessero subire le esalazioni mefitiche del sangue umano e animale che provenivano dall’arena, su di essi venivano dirette le sparsiones, sottili getti di acqua profumata, che salivano da appositi condotti, situati sotto l’arena. Infine, sui gradini più alti, via via verso la sommità, nel secondo e nel terzo settore, prendevano posto gli altri, quelli meno importanti nella scala sociale. Ma tutti, indistintamente, partecipavano ai giochi con grandissimo entusiasmo. Il tifo iniziava nel momento in cui i combattenti entravano nell’arena, alzavano il braccio con la mano destra aperta nel saluto all’imperatore e gridavano la frase diventata celebre ave, Caesar, morituri te salutant (salve, Cesare, coloro che stanno per morire ti salutano). Quindi il combattimento aveva inizio e il pubblico incitava i suoi beniamini con urla ”da curva Sud”, esortandoli ad uccidere i loro avversari. Ma fortunatamente questo non sempre accadeva: quando uno dei combattenti era stato sconfitto, infatti, era consuetudine che chiedesse pietà, alzando un dito verso l’imperatore. A questo punto il pubblico, se lo voleva morto, abbassava il police verso il basso (pollice verso); se invece era favorevole alla sua salvezza, gridava missum (libero), agitando i sudaria (fazzoletti). E di regola, o quantomeno molto spesso, se lo sconfitto aveva combattuto valorosamente, la scelta era in suo favore. Dopo di ché aveva inizio un altro combattimento. Tra uno scontro e l’altro il personale addetto gettava sabbia fresca sull’arena (il cui nome deriva appunto da harena, che vuol dire sabbia).
• Per quanto possa apparire singolare, nell’arena non scendevano solo gli uomini, ma anche le donne, che a volte si esibivano, sia nei combattimenti gladiatorii sia nelle ”cacce”. Di una di queste combattenti, di nome Mevia, parla Giovenale: a seno nudo, scrive il poeta, Mevia inseguiva nell’arena un branco di cinghiali toscani. Un bassorilievo, conservato al British Museum, raffigura lo scontro tra due gladiatrici, armate di corazza e di scudi. E recentemente alcuni archeologi, scavando in una zona lungo la riva meridionale del Tamigi, hanno trovato una tomba, che hanno identificato con quella di una gladiatrice. L’interpretazione è ardita, e forse troppo fantasiosa ma, anche se non volessimo prestarvi fede, l’esistenza di donne gladiatrici è comunque provata. Oltre a meravigliare, questa constatazione ha suscitato non poche curiosità: l’esercizio della gladiatura, oltre all’allenamento, richiedeva coraggio. Chi potevano essere le donne gladiatrici? Da quale ceto provenivano? Quali erano le loro motivazioni? E come reagivano gli spettatori di fronte a donne combattenti? Per quanto riguarda le motivazioni, non è difficile immaginare che, a prescindere da qualche eccentrica nobildonna, le gladiatrici fossero ragazze di modesta origine, spinte dalla necessità economica. Per quanto riguarda il modo in cui la loro attività era percepita, a Roma, va rilevato che, per i romani, la donna virile era uno stereotipo letterario: gli scrittori, soprattutti satirici, amavano beffarsi delle donne che emulavano i comportamenti maschili. Per molti spettatori dunque, le donne gladiatrici erano probabilmente uno spettacolo comico, in modo diverso paragonabile a quello offerto dai combattimenti di gladiatori nani.
• Le donne gladiatrici era soggette dal punto di vista contrattuale alle stesse regole degli uomini. Sul piano strettamente giuridico non vi era alcuna differenza legata al sesso. Il padrone o il lanista concedevano i gladiatori (o le gladiatrici) a coloro che organizzavano uno spettacolo a queste condizioni: «Ti consegno X gladiatori (o gladiatrici) e tu mi darai 10 per quelli di loro che usciranno integri dal combattimento, e mille per quelli che ne usciranno uccisi o ridotti in condizioni di non poter più combattere». Di che tipo di contratto si trattava? Secondo alcuni di locazione (affitto), secondo altri di vendita. Le opinioni sono discordi. Il giurista Gaio ci riferisce la seguente soluzione: il contratto concluso con riferimento a coloro che uscivano indenni era una locazione, quello relativo a coloro che erano stati uccisi o seriamente feriti era una vendita.
• Durante l’epoca repubblicana i gladiatori indossavano armature simili a quelle dei soldati. In seguito alla riforma di Augusto essi vennero divisi in varie classi in base al tipo di armatura e alla modalità di combattimento.
La classe più antica di gladiatore era quella Sannita. Il suo armamento era costituito da un elmo piumato, un grosso scudo (scutum) rotondo o rettangolare, da gambali di cuoio, una spada corta con lama dritta e acuminata (gladio) o una lancia. In epoca augustea il gladiatore Sannita scompare e viene sostituito dal secutor e dall’hoplomacus, o, secondo altri studiosi, dal secutor e dal murmillo. L’hoplomachus era armato di spada e di scudo rotondo e portava gambali alti fino a mezza coscia.
I suoi avversari appartenevano alla classe dei traci o dei murmilloni. Il gladiatore thraex portava un piccolo scudo quadrato (parmula); aveva una protezione al braccio destro (manica) e due alti gambali (ocrae). La sua arma più caratteristica era una spada corta e ricurva chiamata sica. Anche il suo elmo era particolare poiché decorato con una protome di grifo. Le armi del retiarius erano una rete e un tridente. La sua tecnica di combattimento si ispirava a quella del pescatore. Il secutor era armato di spada, di un lungo scudo rettangolare e di un gambale. Il suo elmo - completamente chiuso sul davanti, con piccoli fori per gli occhi - era privo di sporgenze per non concedere appigli all’arma del suo avversario, la rete. La tattica di lotta del secutor era quella di avvicinarsi al suo avversario, proteggendosi con lo scudo.
• Il gladiatore retiarius, invece, cercava sempre di evitare un combattimento ravvicinato in quanto le sue armi, rete e tridente, avevano effetto solo se manovrate a distanza. Da parte sua il gladiatore secutor aveva interesse a concludere la manovra d’assalto il più velocemente possibile, poiché la sua armatura pesante e la ridotta disponibilità di aria del suo elmo lo avrebbero stancato ben prima del suo avversario. Come gli altri gladiatori il murmillo combatteva a torso nudo e con un corto perizoma (subligaculum); il braccio destro era protetto dalla manica; una sorta di imbottitura copriva il piededestro; sulla gamba sinistra portava un corto gambale. Il murmillo aveva un elmo con cresta angolare ed una spada medio corta. Era anche dotato di un scudo rettangolare di legno coperto da cuoio, che pesava da sei a otto chilogrammi.
• Privati o magistrati, se autorizzati, potevano indire un combattimento gladiatorio per commemorare un membro defunto della famiglia, per celebrare l’inaugurazione di un monumento pubblico, in occasione di una vittoria militare, in onore dell’imperatore e della sua famiglia o per attirarsi il favore del popolo. I magistrati locali, poi, erano tenuti ad offrire spettacoli o a realizzare opere pubbliche nel loro anno di carica. Per organizzare lo spettacolo il finanziatore dello spettacolo (editor) doveva ricorrere al lanista, un impresario professionista. Il lanista acquistava, vendeva e affittava i suoi gladiatori a chiunque volesse organizzare uno spettacolo. Il gran numero di gladiatori impegnati nei combattimenti imponeva un notevole sforzo di reclutamento. Dunque il lanista era sempre alla ricerca di nuovi talenti, che rimpiazzassero i gladiatori uccisi o quelli congedati. La sua attività di reclutamento si svolgeva spesso nel Foro, ove era possibile comprare schiavi o incontrare giovani avventurieri disposti a tutto per guadagnare.
• I lanisti dovevano anche trattare con le autorità cittadine per concordare l’uso dell’anfiteatro, ed i diritti da versare al fisco per gli spettacoli. Infine avevano rapporti con gli uffici giudiziari ed il carcere, da cui prelevavano i condannati a morte da esibire negli spettacoli. Questa intensa attività poteva renderli ricchi, ma restava agli occhi dell’opinione pubblica un lavoro infamante, posto sullo stesso piano del lenone, il mezzano tenutario di bordelli. Il lanista teneva la sua troupe di gladiatori in scuole apposite (ludi). Qui i gladiatori erano sottoposti ad un’intensa disciplina: si allenavano quotidianamente, seguivano una dieta mirata a potenziare la loro muscolatura ed erano soggetti a controlli medici per essere in piena forma in combattimento. D’altronde il valore di mercato di un gladiatore dipendeva dal suo successo nell’arena, ed i lanisti affittavano a prezzi talmente alti i combattenti migliori che sotto l’imperatore Marco Aurelio fu necessario stabilire un tetto massimo di spesa.
• Lance, giavellotti, spade, pugnali, tridenti, corazze, elmi, scudi, reti per catturare le belve. Queste erano le principali armi dei gladiatori. Ma poco si sa di come se le procurassero. probabile che se erano prigionieri di guerra combattessero con le loro stesse armi, altrimenti ne venivano riforniti dagli organizzatori degli spettacoli gladiatori che, come gli attuali produttori di spettacoli, traevano guadagni dall’organizzazione dei giochi del circo: pane gratuito e circo costituivano infatti un aspetto dominante della plebe di Roma e delle altre città dell’Impero. Poco si sa tuttavia della produzione e dei costi di queste armi. A Roma la guerra era un’antica festa crudele. Ogni anno vi era almeno una stagione di guerra. Prima di Augusto le porte del tempio di Giano, che venivano chiuse solo quando non era in atto una guerra, vennero rinserrate solo due volte. Tuttavia questo impegno bellico veniva spesso rifornito solo da liberi artigiani di armi. Già nella Grecia classica le fabbriche di armi erano di proprietà privata: il padre dell’oratore Lisia ne possedeva una che impiegava decine di schiavi. Ma ancora con l’impero romano vediamo che i soldati stanziati in Egitto si fanno arrivare le vesti da lontane officine dell’Asia Minore.
• Anche il mercato delle armi era libero e questo preoccupava l’autorità politica, che faticò a porlo sotto controllo per motivi di ordine pubblico. Col tempo si nota, però, un’evoluzione. Nella Roma più antica potevano andare in guerra solo i più ricchi, perché la guerra era un onore e non un onere. E questi aristocratici si presentavano alla leva con le proprie armi. Successivamente officine artigiane seguivano le legioni, di cui fabbricavano e riparavano gli armamenti. Solo verso la fine dell’impero romano lo Stato cominciò ad organizzare fabbriche pubbliche di armi per equipaggiare le centinaia di migliaia di soldati stanziati entro i confini dell’Impero. Malgrado questo dominio della guerra poco si sa del costo degli armamenti. Nel 209 avanti Cristo l’equipaggiamento in divise militari di diecimila soldati era costato quattrocentocinquantacinque kg. di oro.
• Qualche dato più di dettaglio ci fornisce un papiro egiziano: una corazza di ottone (quindi da parata), intrecciata nel modo più sottile e di peso leggero, costava trecentosessanta dracme (cioè circa altrettanti dollari). Era comunque costoso organizzare dei giochi gladiatori. Ma era un costo che gli aristocratici si sobbarcavano volentieri pur di mostrare il proprio potere e la propria generosità alle folle. Nel 65 avanti Cristo Giulio Cesare assoldò 320 paia di gladiatori per ostentarli nei combattimenti e nella lotta contro le bestie feroci. Ad un altro livello, in un piccolo municipio spagnolo, i magistrati politici sono tenuti per legge a finanziare quattro giorni di spettacoli gladiatori con una spesa di almeno seimila sesterzi (uguali a circa seimila dollari attuali). Cosa non si faceva per non sciupare lo spettacolo: l’imperatore Caligola, poiché mancavano carcerati per combattere contro le belve, fece scendere nell’arena alcuni del pubblico, dopo aver fatto loro tagliare la lingua... perché non urlassero.