Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 23 gennaio 2002
Delitti
• Poco dopo le 23 del 17 aprile ’91 Pietro Maso, 19 anni, con gli amici Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano Burato, uccide padre e madre, rispettivamente con un tubo di ferro e un bloccasterzo, nella casa di famiglia a Montecchia di Crosara, Verona. Tempo impiegato: 52 minuti.
«A Montecchia di Crosara non c’è nemmeno una libreria, i giornalai vendono solo sigarette e carta bollata».
• «Nel mese di novembre 1990 mi è venuto in mente di condurre una vita brillante e quindi mi servivano molti soldi, al che per avere questo denaro l’unica soluzione possibile era quella di ottenere subito l’eredità che mi spettava dai genitori nel caso fossero morti, e mi sarebbe anche piaciuto di averla intera. Con questo intento ero costretto a uccidere anche le mie sorelle» (Pietro Maso).
• Oggetti usati da Pietro Maso nell’assassinio dei suoi genitori: tute da lavoro, tubo in ferro (cinquanta centimetri di lunghezza, cinque di diametro), due maschere di carnevale dotate di capelli finti (una raffigurante un vecchio con i capelli lunghi, l’altra un diavolo), antifurto meccanico in ferro per lo sterzo dell’auto. Al momento dell’omicidio, Maso non indossa la maschera: «Non ho mai portato la maschera di Carnevale, tanto facevo carnevale per un anno di seguito».
• Capo d’abbigliamento prediletto da Pietro Maso: giacca rossa doppiopetto di sua creazione, due file di bottoni, assai notata dalle ragazze. Sogni: possedere una BMW 2000 bianca, con gli interni bianchi, le rifiniture in radica (costo 47 milioni) e incontrare l’attore Don Johnson, «l’unico prima di me». Da quando aveva incominciato a uscire dalla cella Pietro Maso usava l’oria d’aria solo per prendere il sole.
• Il 12 novembre 1994, a Verona, in un boschetto nei pressi della località Castello, viene ritrovato il cadavere di Eleonora Pierfranceschi. Il corpo è supino, le gambe leggermente divaricate in direzione della strada, il viso, tumefatto, è coperto dal braccio sinistro. La donna indossa una camicetta fucsia, un maglioncino bordeaux e una gonna a quadri rosa, porta collant neri velati, smagliati in più punti. E’ senza scarpe. Spiacca sul collo della donna un anomalo segno circolare, determinato dalla rottura dei vasi sanguigni. Le indagini concludono che la donna è morta per asfissia acuta, dovuta a strangolamento. Vengono accusati dell’omicidio, la figlia della vittima Nadia Frigerio e il suo compagno Marco Rancani.
• L’omicido di Eleonora Pierfranceschi secondo Marco Rancani, il primo dei due complici a offrire un racconto dettagliato: «Una sera Nadia mi ha comunicato che voleva eliminare la madre. Mi comunicò che era sua intenzione mescolare nel caffè molte delle sostanze calmanti che la madre era solita prendere (Tavor, Valium e Lexotan) in modo da farle perdere i sensi e sopprimerla. Ricordo che era Venerdì e che la Pierfranceschi era seduta in poltrono e stava guardando la telenovela ”Perla Nera”. Appena la donna, dopo aver bevuto il caffè, si è addormentate, Nadia mi ha fatto entrare e mi ha mostrato la mdre che dormiva. Poi ha preso la prolunga del telefono, ha staccato un pezzo di filo, è andat alle spalle della madre, le ha messo il filo intorno al collo, e ha tirato con forza il filo appoggiandosi contro la spalliera della poltrona. Dopo un po’ che la stringeva al collo, ho vistola schiuma uscire dalla bocac della donna. Ha iniziato a battere i piedi sul pavimento finché ha ceduto ed è rimasta immobile».
• «Appare evidente in Rancani la difficoltà di organizzare pensieri, formulare critiche, esprimere idee complesse. E’ talvolta incredibile la sua scarsa intelligenza. Sono innumerevoli gli esempi della povertà mentale di Rancani, e anche il suo quoziente intellettivo, pari a settantotto, ne è un’espressione evidente» (Vittorino Andreoli).
• «Nadia, croce e delizia della classe, lavora bene.E’ una bambina che proviene dalle differenziali con diagnosi di ritardata. Per me è una bambina iperdotata non capita dai genitori e dalla scuola» (giudizio dell’insegnante di Nadia Frigerio, in quinta elementare).
• Il 7 gennaio del 1998, a Cadrezzate, in provincia si Varese, vengono ritrovati i copri di Enea Del Grande e Alida Frosio, uccisi a colpi di fucile. Il figlio Enrico, gravemente ferito all’addome, muore poco dopo, durante il trasporto in ospedale. L’altro figlio della coppia, Elia, viene fermato dalla polizia del Canton Ticino, mentre si avvia all’aeroporto di Lugano per prendere l’areo per Santo Domingo. Elia confesso subito di essere responsabile del pluriomicidio.
• Oggetti collezionati da Elia Del Grande: francobolli e coltelli. Di questi ultimi ne possiede trecento esemplari provenienti da tutto il mondo: «Ogni domenica, tracsorrevo la mattinata in soffitta per pulire con una pezza e l’alcol, a uno a uno, tutti i coltelli appesi alla parete».
• Dai dieci ai tredici anni Elia Del Grande prende l’abitudine di chiudere le porte di casa e gettare le chiavi in una vecchia cascina dove, a suo dire, non sarebbero mai state trovate. Quando aveva sedici anni, invece, assiem ad altri ragazzi del paese, demolì un casolare di campagna con una ruspa. A ventidue anni, Elia viene mandato dallo zio a Santo Domingo a gestire un locale di spogliarelliste. Lui si fidanza con una di loro, Raysa Margarita Alvarez, cocainomane.
Lettera di Raysa a Elia, tornato in Italia per questioni familiari: «Desidero venire in Italia però... non posso far niente se non mi mandi il denaro... grazie per il brillante e per i fiori, tu per me sei l’uomo migliore del mondo... il mio corpo è sacro solo per te... è chiuso ad ogni altro uomo, non esiste nessuno che abbia la chiave fuori di te, se la perdi tu, muoio intoccata».
• tre notti che mi appare Arianna, non so se sto diventando pazzo. Mi sveglia verso le tre della notte, mi dà un bacino e mi chide come sto, mi fa gli auguri per la festa del papà... è rimasta lì fino alle cinque del mattino, abbiamo parlato del più e del meno, mi ha detto che dove si trova sta bene e voleva sapere come stava la mamma. Io le ho ripsoto che è un pezzo che non la vedevo e ho detto anche che le ho scritto una lettera per sapere come sta. Io non so se sto diventando matto...» (Lettera di Alessandro Montanaro datata 28 marzo 2000, due mesi dopo aver ucciso la figlia Arianna di sette anni).
• Luigi Chiatti, classe ’68, autore dell’omicidio di Simone Allegretti nell’ottobre del ’92 e di Lorenzo Paolucci nell’agosto del ’93, coltivava il progetto di scappare di casa e rapire due bambini in tenerissiam età, per tenerli con lui almeno sette anni. Da tempo andava in giro per grandi magazzini comprando capi d’abbigliamentoi per bambini. Sul suo computer è stato ritrovato un file chiamato "Vestiti bam." e un altro file con un elenco di nomi che si riprometteva di assegnare ai bambini dopo il rapimento. Tutti questi file si trovavano su un unico dischetto con su scritto, in rosso, "Segreti".
• «Ritengo di avere tutte le capacità mentali e materiali per compiere tutte le operazioni necessarie a convivere con i bambini che avrei rapito. Credo, in altri termini, che avrei saputo provvedere alla loro alimentazione e alla loro pulizia, e anche alla loro educazione. L’unica cosa che non avrei potuto fare è punirli, perché ritengo che i bambini debbano solo giocare, ed essere educati attraverso il gioco» (Luigi Chiatti).
• Commento di Mario, diciasette anni, dopo aver ucciso a colpi di coltellino svizzero e mattarello la sua insegnante di inglese Santa Pagnucco: «Adesso mio padre non può più dire che non sono capace di fare nulla».