Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 15 aprile 2002
Le origini antiche dell’antisemitismo - Il trauma dello sradicamento - La memoria della Shoa
• Le origini antiche dell’antisemitismo - Il trauma dello sradicamento - La memoria della Shoa.
Si dice Israele e si pensa subito all’antisemitismo...
«Le origini dell’antisemitismo sono antichissime. Era già diffuso, lungo i paesi del Mediterraneo, nel quarto o terzo secolo avanti Cristo, quando ebbe luogo la prima emigrazione giudaica. Sugli ebrei circolavano leggende simili a quelle narrate dai cattolici sino alla fine del diciannovesimo secolo, e oggi ripetute dai musulmani. Persino Tacito, il più grande e severo tra gli storici, che non sapeva niente di Israele, raccontava che gli Ebrei – questa taeterrima gens, ”pervicacemente superstiziosa”, ”odiata dagli dei” – venerava una testa d’asino. Un altro storico, Apione, diceva che nel loro Tempio compivano sacrifici rituali di stranieri, ingrassati a forza come Pollicino. Solo la menzogna è immortale».
• Come spiegare le attenzioni riservate agli ebrei sin dall’antichità?
«Proprio perché gli Ebrei vivevano separati, attraevano le immaginazioni dei popoli antichi. Molti stranieri portavano offerte votive e ordinavano sacrifici ai sacerdoti dell’immenso Tempio scintillante d’oro, due volte costruito, due volte distrutto: la seconda volta per sempre. Quale era il vero Dio d’Israele? Cosa accadeva nel Tempio di Gerusalemme, dove i pagani non potevano penetrare? Qual era il nome segreto di Jahwe, ignoto persino al suo popolo? Quando sarebbe venuto il Messia, il Cristo? Forse non ci fu evento che colpì le fantasie antiche come ciò che accadde nel 63 a. C. Pompeo Magno entrò nel Tempio di Gerusalemme, penetrò sino al Santo dei Santi, la piccola stanza dove aleggiava lo spirito di Dio, e dove solo il Sommo Sacerdote poteva insinuarsi una volta l’anno. Non scorse nulla. La stanza era completamente vuota. Dunque il cuore della religione giudaica era un bugigattolo pieno di ragni? Certo, alcuni Greci e Romani compresero che il santo dei santi era vuoto perché solo il Vuoto può alludere all’essenza inafferrabile e incomprensibile di Dio».
• Poi arrivò il Messia dei cristiani...
«Nel primo secolo dopo Cristo, dall’ebraismo si distaccò un gracilissimo albero presto destinato a diventare una foresta rigogliosa, il Cristianesimo, questa eresia giudaica. Per gli Ebrei, Gesù era soltanto un falso Messia: un Messia eretico; qualcuno di loro lo trovava ”un uomo saggio”; qualche altro (non Pilato) lo fece uccidere. Una generazione più tardi, il sommo sacerdote sadduceo, Anano, ordinò di lapidare Giacomo, fratello di Gesù, capo della comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme. Molti Farisei, ancora vicini ai giudeo-cristiani, non approvarono questa uccisione».
• Smascherato il falso Messia, gli ebrei perdono di vista il regno di Dio in terra?
«Dopo la metà del secondo secolo dopo Cristo, Israele rinunciò (sebbene non completamente) a realizzare il regno di Dio in terra, qui ed ora: il più terribile dei desideri. Cominciarono i secoli oscuri, nei quali la diaspora si moltiplicò in ogni direzione, perché gli Ebrei erano destinati a diventare il sale della terra. Israele accettò di porre il collo ”sotto il gioco delle potenze terrene”, come aveva detto Geremia. Israele visse bene, o relativamente bene, sotto il dominio dei Califfi e dei signori islamici, immerso nei profumi dell’Islam. Gli Ebrei vissero male o malissimo sotto il dominio dei re, dei papi e dei sacerdoti cristiani, perseguitati per il deicidio che avevano commesso (e che avevano effettivamente commesso, senza saperlo): sfruttati, derubati, uccisi con la spada, sgozzati, bruciati, stuprati, costretti con la forza alla conversione. La causa principale di questa persecuzione sono i Vangeli, le Lettere di San Paolo, gli Atti degli Apostoli e soprattutto l’Apocalisse: testi fatalmente antisemiti, perché la nuova religione si liberava con violenza dalla antica Madre. La storia si ripeté quindici secoli dopo, tra luterani e cattolici».
• Tra una dominazione e l’altra Israele edifica la sua cultura...
«Israele visse in segreto dal III al XVIII secolo, leggendo la Bibbia, interpretandola secondo la lettera, i simboli e le speculazioni numeriche, cercando testi arabi, cristiani e greci, creando grandiosi miti cosmogonici e teologici, come nel sedicesimo secolo la cabala di Izchak Luria».
• Nell’Ottocento l’epoca delle persecuzioni sembra concludersi.
«Due secoli or sono, i ghetti si aprirono. Gli ebrei vennero alla luce, ebbero un cognome, entrarono all’Università, scrissero, composero musica, studiarono la scienza e il diritto, insegnarono, diressero Banche, industrie e giornali. Fu l’esplosione più grandiosa della storia europea: una immensa vitalità e intelligenza percorsero all’improvviso le vene dei nostri paesi... La letteratura, la scienza e la psicologia del diciannovesimo e specialmente del ventesimo secolo sono, per metà, dovute ad ebrei, o a mezzi ebrei, nei quali la goccia del sangue giudeo dava nuovo vigore a quello cristiano».
• a questo punto che l’ebraismo diventa sinonimo di cosmopolitismo?
«Venuti dalla Russia, dalla Spagna, dalla Polonia, dal Medio Oriente, gli ebrei diventarono francesi, tedeschi, italiani, inglesi meglio dei francesi, dei tedeschi, degli italiani e degli inglesi. Con la loro straordinaria qualità di metamorfosi, diventarono come noi. Ricordo, per esempio, la famiglia di Simone Weil, completamente ebraica, dove c’era lo stesso profumo che nella casa di Proust: ma più antico e profondo, perché la famiglia della madre di Simone veniva dalla Galizia. C’era lo stesso sapore di Francia borghese: la buona cultura, l’agio nascosto, i bei modi eleganti, la finezza psicologica, la musica, l’arte della conversazione, la discrezione, la gaiezza sapientemente velata con la malinconia – come se soltanto il sangue ebraico potesse portare il genio della Francia borghese alla sua espressione più pura».
• Ci fu un prezzo da pagare?
«In questa entusiastica aderenza alla civiltà occidentale, gli Ebrei guadagnarono e persero molto. Qualcuno di loro, come Simone Weil, odiò (senza conoscerla) la propria eredità biblica. Qualcuno la ignorò completamente. Avevo un amico carissimo, Giorgio Bassani, che era vissuto a Ferrara, borghese ebreo tra borghesi cattolici, con appena un lieve ricordo di cucina giudaica e di candelabro dalle sette braccia. Molti anni fa, gli feci leggere un mio saggio su Nachman di Breslav, un narratore chassidico del diciottesimo secolo. Mi guardò coi suoi dolcissimi e durissimi occhi azzurri e mi disse: ”Pietro, che cose strane hai raccontato!”. Quasi soltanto Kafka comprese che qualsiasi sradicamento dalla tradizione si paga. Con ogni probabilità, anche noi, cristiani, lo pagheremo. Ma gli Ebrei lo pagarono troppo».
• Tra i miti fondanti dell’ebraismo, ancora oggi, c’è quello dei Luoghi Santi, anzitutto Gerusalemme.
«Nessuno sa dire per quale motivo Gerusalemme sorga proprio in quel luogo. [...] Si pensa che Gerusalemme sia stata fondata circa quattromila anni fa dai cacaniti come città dedicata alle adorazioni rituali, opinione rafforzata dalla citazione della Bibbia secondo cui re Melchisedec di Salem, sacerdote di El Elyon, ci era stato. Quando il re David conquistò Gerusalemme e vi fondò la propria capitale, forse lo fece perché essa non aveva una storia di culto tra gli israeliti e poteva venire usata per fondarvi un nuovo luogo sacro. Contrariamente a Hebron e Beth-El, inoltre, essa non apparteneva al territorio di alcuna tribù israeliana e pertanto poteva servire da base comune a tutte. Il re Salomone costruì il tempio a Gerusalemme e concentrò lì tutte le adorazioni rituali, ponendo così Gerusalemme al centro della coscienza nazionale e religiosa del popolo ebraico per tutte le generazioni a venire. La scomoda verità riguardo alla presenza di re David e re Salomone a Gerusalemme, comunque, è che sebbene Gerusalemme sia la città con più scavi al mondo, in essa non esiste ancora una chiara traccia archeologica di questi due illustri re».
• A chi appartengono i Luoghi Santi?
«I Luoghi Santi non appartengono agli israeliani e ai palestinesi, e neanche ai giordani e ai sauditi, bensì ai musulmani e agli ebrei e ai cristiani di tutto il mondo. Il loro significato universale fa sì che la loro ubicazione geografica, etnica e politica sia solo secondaria rispetto ai valori religiosi e spirituali che in quei luoghi hanno assunto in passato, assumono oggi ed assumeranno in futuro».
• I sionisti non sembrano d’accordo.
«Il movimento nazionale del popolo ebraico manifestò fin dall’inizio un atteggiamento profondamente ambivalente nei confronti di Gerusalemme. Da una parte il nome del movimento deriva dalla parola ”Sion”, che era originariamente il nome di una fortezza (e di una catena di colline) di Gerusalemme. Da qui esso divenne un nome alternativo dell’intera Gerusalemme e addirittura dell’intera terra d’Israele. Il sionismo inoltre prese dalla geografia sacra ebraica il concetto che Gerusalemme è il più alto di tutti i luoghi. Pertanto l’immigrazione in Israele è aliyyah (letteralmente, ascesa), mentre l’emigrazione da esso è yerida (letteralmente, discesa). Il movimento tradusse in azione politica lo struggimento di generazioni di ebrei per Gerusalemme espresso nelle preghiere e nelle pratiche di lamentazione per la distruzione di questa città».
• Fu il successo politico di una piccola parte di ebrei?
«Sì. Bisogna ricordare che all’inizio di questo secolo, il sionismo fu abbracciato e sostenuto da una piccolissima minoranza degli ebrei, che in genere lo consideravano con scetticismo se non con ostilità. assai probabile che senza le determinazioni e le iniziative pionieristiche di quella minoranza, dopo l’Olocausto gli ebrei si sarebbero trovati senza alcuna possibilità di recupero, fisico e morale».
• L’Olocausto è ancora oggi la ragion d’essere d’Israele?
«Israele è diverso dalla maggior parte degli altri paesi del mondo perché ha la necessità di giustificare, agli occhi altrui e ai propri, il diritto all’esistenza. E ha questa necessità perché quasi tutti i paesi arabi circostanti non lo riconoscono e perché un gran numero di ebrei sparsi nel mondo preferisce non vivere in Israele. Finché questi fattori rimarranno immutati, il sionismo resterà sulla difensiva. L’Olocausto, come giustificazione dell’esistenza dello Stato di Israele, ha un valore paragonabile soltanto alla promessa divina contenuta nella Bibbia: è la conferma definitiva della validità della tesi sionista secondo cui gli ebrei possono vivere nella sicurezza e godere pienamente dei diritti dei quali usufruiscono gli alteri popoli soltanto in uno Stato autonomo e sovrano, capace di difendersi. Eppure, di guerra in guerra, si è visto chiaramente che al mondo ci sono molti altri luoghi in cui gli ebrei sono più al sicuro che in Israele. Non solo: l’Olocausto è stato un’innegabile sconfitta per il movimento sionista, che non è riuscito a convincere la gran parte degli ebrei del mondo a stabilirsi in Palestina quand’era ancora possibile. Benché sia indubbiamente vero che i dirigenti dello yishuv avrebbero potuto dimostrare maggiore compassione ed empatia per gli ebrei d’Europa, è anche vero che non avrebbero potuto fare di più per salvarli. Lo yishuv era inerme di fronte al piano di sterminio nazista».
• Quale fu la prima percezione della Shoa in Terra d’Israele?
Alla fine di novembre del 1942 l’Agenzia ebraica rilasciò il primo comunicato sul progetto nazista di sterminare gli ebrei d’Europa: ”Sono stati uccisi senza pietà moltissimi bambini fino ai dodici anni e anche i vecchi sono stati eliminati. Masse di ebrei vengono deportate verso destinazioni ignote e spariscono nel nulla” (il comunicato non accennava alle camere a gas, di cui l’Agenzia era già al corrente ma preferì non parlare forse dubitando dell’esattezza dell’informazione).
• E le reazioni?
Tra le prime reazioni al comunicato dell’Agenzia ebraica vi fu la formazione di un gruppo d’intellettuali, promossa dal filosofo Martin Buber e dal romanziere Shemuel Josef Agnon, con lo scopo di diffondere la consapevolezza dell’Olocausto e sollecitare la solidarietà dei colleghi stranieri. Risposta di George Bernard Shaw: «Non posso far niente per aiutare gli ebrei d’Ungheria. Mi credete l’imperatore d’Europa? Ovviamente sto dalla parte degli ebrei, ma legare il mio nome alla loro causa susciterebbe un’ostilità pregiudiziale forte almeno quanto la simpatia».
• A oltre mezzo secolo dall’Olocausto, come va letto oggi il rapporto Diaspora-Israele?
«Gli Ebrei della Diaspora vedono oggi di fronte a sé un Israele forte, sicuramente insediato in confini che si aprono verso mondi vicini e lontani, e non più costretto a chiedere agli ebrei della Diaspora appoggio finanziario e politico in cambio di un orgoglio ebraico guadagnato sul campo delle audaci imprese militari. Anche in questo caso non si potrà attizzare un nuovo fuoco dalle braci delle relazioni esistenti in passato; si dovrà invece cercare di mettere a punto nuovi sistemi di collaborazione a progetti sociali e internazionali, in cui la Diaspora non rappresenterà più il personaggio del fratello più ricco che dà aiuto al fratello più povero che combatte in prima linea. Adesso i rapporti dovranno essere basati su una base di uguaglianza - su qualcosa di simile a una comune missione che sia la Diaspora che Israele devono compiere verso il mondo - e soprattutto verso il terzo Mondo. La creazione di una Armata di Studio ebraico-israeliana, che invii gratis insegnanti in tutti i rami dello scibile - dall’insegnamento dell’uso dei computer fino a quello delle lingue e della musica - nelle scuole dei paesi sottosviluppati, potrà innalzare in modo notevole il livello tecnologico e scientifico di quei Paesi. In fondo, tutto questo non è altro che una delle vecchie ideologie sionistiche, che volevano che la Stato ebraico fosse non solo un luogo di rifugio per ebrei perseguitati, ma anche un centro spirituale nel quale l’energia e l’intelletto del popolo ebraico vengano usati per farne, secondo l’antica frase, ”una luce per i popoli”».