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 2002  marzo 25 Lunedì calendario

Da vent’anni in Italia vengono ammazzati dal terrorismo ”comunista combattente” quelli che sanno come si fa a cambiare le cose e si prendono la responsabilità di provarci

• Da vent’anni in Italia vengono ammazzati dal terrorismo ”comunista combattente” quelli che sanno come si fa a cambiare le cose e si prendono la responsabilità di provarci. «Niente è odioso per un fanatico ”idealista” come i ragionamenti e l’elaborazione di dati che smentiscono la sua fede irrazionale, quel pasticcio andato a male che è l’ideologia del riscatto, della redenzione e della salvezza politica dell’umanità contro il fantasma senza volto dell’oppressione e dello sfruttamento. Il sonno della ragione genera mostri, si sa. Partorisce commandos pronti a freddare quieti professori cinquantenni che costruiscono modelli econometrici, studiano statistiche demografiche, scartabellano tra le norme del diritto per trovare soluzioni pratiche a problemi pratici. L’ultimo della serie, il professor Marco Biagi, se ne tornava a casa in bicicletta, senza quella maledetta scorta che un’improvvida gestione dell’ordine pubblico gli aveva tolto da qualche settimana, e sono bastati un motorino, una rivoltella e due ragazzi pieni d’odio per toglierlo di mezzo» (Giuliano Ferrara).
• Il clima opprimente degli anni Settanta. «Non sono passati tanti anni, non siamo progrediti come Paese, non abbiamo vinto la nostra battaglia di civiltà, se c’è ancora qualcuno che pensa di risolvere i conflitti sociali troncando la vita di un apprezzato economista come Marco Biagi, che ha sostenuto, coraggiosamente, la necessità inderogabile, nel nostro Paese, di cambiare le regole del mercato del lavoro. Di fare le riforme, non sanguinose repressioni. Di cambiare, in senso moderno ed europeo, qualche legge, non di sgretolare con un colpo di maglio un ordinamento consolidato di diritti. Per pensare a moltiplicare i posti di lavoro, non i licenziamenti» (Ferruccio De Bortoli).
• Parole. «Per spiegare il movente del loro delitto, gli anonimi estensori dell’ ”e-volantino” usano 15.396 parole. Quasi un terzo più di quelle (10.668) bastate a Karl Marx e Friedrich Engels per stendere (compresa la prefazione) il celebre Manifesto del partito comunista destinato a dare uno scossone, con tutti i disastri che ne sarebbero venuti, alla storia dell’ultimo secolo. [...] Tema: quali sono oggi i grandi problemi dell’Italia? La crisi economica, occupazionale e culturale del Mezzogiorno? Bene: nel documento Br non è citata una sola volta la parola ”mezzogiorno”, non una ”meridione”, non una ”sud” se non in due fuggevoli citazioni sul ”sud del mondo”» (Gian Antonio Stella).
• Le Br elogiano l’attacco dell’11 settembre. «I loro idoli sono la galleria degli orrori contemporanea: il terrorista Osama bin Laden, che ”contrasta la strategia imperialista”; il dittatore serbo Slobodan Milosevic, che s’è opposto alla ”ristrutturazione del mercato in Bosnia”; il sanguinario Saddam Hussein, ”che da dieci anni non s’è mai arreso”. Al mondo del terrorismo internazionale, da Al Qaeda all’Iraq, le Br sembrano chiedere protezione, finanziamenti e appoggio: certo offrono solidarietà. Chi può, nell’Italia del 2002, bere una simile pozione velenosa, da antro delle streghe di Macbeth? Davvero qualcuno può trovare appetibile la sacra alleanza di boia, despoti e dinamitardi?» (Gianni Riotta).
• La mano che scrive le prime cinque pagine è diversa. «Appare nuova, più ”moderna”, addirittura pragmatica sullo sfondo del delirio ideologico. Tableaux meno paranoico dello ”scontro di classe”, capacità di cogliere le differenze (’Bankitalia e in parte la Cisl...”), dimenticato l’uso ossessivo delle maiuscole, inedito l’uso dei punti di sospensione. un inedito l’analisi non grossolana. Per l’opinione pubblica il ”Patto di Natale” del 1999, votato dal Parlamento, è uno dei momenti più efficaci, se non il frutto più maturo, della concertazione. Soltanto un raffinato osservatore, se non un addetto, è capace di comprendere che con il ”Patto di Natale” ebbe inizio la crisi della concertazione. ”Chi lo ha scritto - osserva Tiziano Treu, già ministro del Lavoro ed esperto di relazioni industriali - sa che cosa dice, è uno che se ne intende perché è vero...”» (Giuseppe D’Avanzo).
• L’organizzazione terroristica segue una utopia insurrezionale. «Essa mira anzitutto a impedire che si stabiliscano tra opposizione e governo accordi di qualsiasi tipo [...] In secondo luogo mira a spingere il governo in carica a una repressione isterica, sentita dai cittadini come antidemocratica, insostenibilmente dittatoriale, e quindi a fare scattare l’insurrezione di una vasta area preesistente di ”proletari o sottoproletari disperati”, che non attendevano che un’ultima provocazione per iniziare un’azione rivoluzionaria. [...] Perché il progetto abbia un esito occorre che quest’area ”disperata” e potenzialmente violenta esista, voglio dire come realtà sociale. Il fallimento non solo delle Brigate Rosse in Italia ma di molti movimenti in America Latina è stato di costruire tutti i loro progetti sulla presupposizione che l’area disperata e violenta ci fosse, e fosse calcolabile non in decine o centinaia di persone, ma in milioni» (Umberto Eco).
• Dal giugno 1996 nel sottosuolo del terrorismo si muovono personaggi oscuri. «Risale a quel periodo un documento segretissimo interno: una specie di dibattito per riuscire a ricomporre la vecchia organizzazione decimata degli arresti. Chi dirigeva e chi dirige ora le fila? Gli inquirenti hanno svolto analisi e seguito inchieste. ”In campo sono ridiscesi alcuni protagonisti delle vecchie Brigate rosse, alcuni ancora in carcere, altri in libertà, altri ancora che hanno imboccato la strada della clandestinità, soprattutto all’estero” spiega un esperto. Uno di costoro, Nicola Bortone, nome di battaglia Claudio, 45 anni, è stato arrestato lo scorso 11 marzo a Zurigo. Era ricercato da dieci anni e si sospetta che possa aver avuto collegamenti con gli esecutori dell’omicidio del professor D’Antona» (Marcella Andreoli). I brigatisti reclusi sono 150 e più della metà, esattamente 81, sono irriducibili. Settanta godono dei benefici della legge penitenziaria e tra questi non pochi sono brigatisti incalliti: 46 sono i terroristi latitanti (29 in Francia).
• Le Br potrebbero aver concluso la ritirata strategica. Il giudice Rosario Priore: «Queste operazioni vengono preparate, loro si predispongono e agiscono nel momento più opportuno. Hanno una sensibilità politica altissima, sanno come inserirsi negli scontri politici, sociali ed economici. La loro ambizione massima, d’altronde, è proprio essere soggetti politici, a pari titolo con partiti e sindacati. O magari essere avanguardie. Agire in pochi a nome dei tanti che poi, loro sperano, verranno dietro. [...] Si tratta di un nucleo di cinquantenni, al quale sicuramente se ne sono aggregati altri, delle nuove generazioni. Ma la struttura direzionale è la stessa, non ha mai cessato di esistere nella clandestinità più totale».
• Il nuovo terrorismo italiano cerca una saldatura tra gruppi che operano in diverse realtà. Frattini: «Il mondo del lavoro viene visto come il terreno utile per far rinascere la saldatura storica tra alcuni elementi che operavano dentro le fabbriche e le brigate rosse che operavano fuori. Abbiamo motivo di ritenere che il tentativo dei nuovi terroristi di infiltrarsi nelle fabbriche sia molto limitato. Ma i volantini che poco prima delle ultime elezioni politiche furono trovati in alcuni stabilimenti del Nord con il simbolo delle Br rappresentano un segnale concreto di questo tentativo di aggancio del mondo del lavoro. Tentativo che, a quanto ci risulta, finora non ha avuto seguito».
• I terroristi che cominciano uccidendo continuano uccidendo. Franco Frattini, ministro per la Funzione pubblica con delega sui servizi d’informazione: «Le nuove Brigate rosse hanno cominciato dal livello più alto. Le vecche Br all’inizio si erano accontentate di ferire e di intimidire alcuni esponenti del mondo del lavoro. Stavolta hanno cominciato con l’omicidio». [9] Secondo Giovanni Pellegrino, ex senatore ed ex presidente della commissione stragi, questa è la prova che tra loro ci sono elementi che già in passato avevano ucciso (Ezio Tarantelli, Massimo D’Antona): «Manca la tipica escalation preventiva, rapimento-gambizzazione, di un gruppo terroristico ai primi passi».
• Il 20 maggio 1999, a Roma, le Br uccisero Massimo D’Antona, consulente dell’allora ministro del Lavoro Antonio Bassolino. Il pm romano Franco Ionta, del pool antiterrorismo: «Malgrado il silenzio di questi tre anni l’organizzazione non ha certo dato segnali di ritirata. Nei loro documenti avevano sempre indicato il doppio binario di intervento: interno e internazionale. Dopo D’Antona ci aspettavamo che agissero approfittando dell’intervento militare della Nato in Kosovo, ma la guerra è durata troppo poco. Poi è arrivato l’11 settembre, ma accodarsi a Bin laden sarebbe stato troppo azzardato. Così sono tornati ad obiettivi interni».
• Due anni e dieci mesi di indagini. «Ma l’impegno di magistrati e investigatori non ha portato ad alcun risultato concreto: il commando di brigatisti rossi che ha ”colpito” D’Antona non è stato ancora individuato. Né tantomeno, allo stato, il ”pool” antiterrorismo della Procura sembra avere in mano elementi in grado di poter portare in tempi brevi alla cattura dei componenti del nucleo di 20-30 persone che ha nuovamente proiettato l’Italia nel clima degli anni di piombo» (Flavio Haver).
• L’abbandono del progetto militarista. Ferdinando Pomarici, procuratore aggiunto che a Milano guida il pool dei pm impegnati nelle indagini sul terrorismo: «Oggi l’obiettivo non è più ”colpire al cuore dello Stato” individuando come bersaglio carabinieri, magistrati, imprenditori o giornalisti. Adesso lo scontro è stato riportato nell’alveo originale della lotta sui temi del lavoro e tutta l’ultima ondata di attentati ha avuto questa caratterizzazione».
• La presenza ossessiva del tema del lavoro «nella prolissa produzione documentale delle sigle che oggi compongono la holding che si è stretta intorno alle Br-Pcc (i Nuclei proletari rivoluzionari di Milano, i Nuclei di Iniziativa proletaria di Roma, i Nuclei Territoriali Antimperialisti del Nord-Est) non è accidentale. Gli analisti dell’Antiterrorismo vi leggono non solo un’indicazione dell’estrazione politica degli autori, ma anche una inequivoca traccia del loro bacino di reclutamento. Se è vero infatti che sono almeno cinquecento gli indirizzi di posta elettronica raggiunti dalla rivendicazione, è altrettanto vero che pressoché ”unica” è la qualità politica dei destinatari. Rappresentanze sindacali di base, il comparto metalmeccanico della Cgil, sedi territoriali di Rifondazione Comunista. Gli assassini di Biagi parlano di quel che conoscono. Parlano a chi conoscono» (Carlo Bonini).
• Le indagini oggi sono molto più difficili. Guido Salvini, titolare dell’ultima inchiesta sulle ”vecchie” Br-Pcc e oggi nuovamente impegnato sul fronte dell’eversione: «I nuovi gruppi terroristici non sembrano collegati a movimenti di massa che in un certo qual modo danno a tali gruppi una certa visibilità ma per noi anche una traccia da seguire. I brigatisti si sono inoltre impadroniti di alcuni strumenti che rendono difficili le tradizionali tecniche investigative, come i pedinamenti: oggi sia le rivendicazioni che i contatti corrono via Internet. Infine, è impensabile in questa fase avere dei pentiti perché questi si collocano storicamente non all’inizio ma alla chiusura di un ciclo, quando esistono le condizioni per la fine di un progetto già minato politicamente dall’interno».
• Cosa direbbe Montanelli. «Non direbbe niente. Spalancherebbe gli occhi celesti come faceva sempre davanti alla stupidità umana, e penserebbe che l’Italia, come certi bambini, ha la capacità di non imparare» (Beppe Severgnini)