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 2002  aprile 04 Giovedì calendario

Emanuele Filiberto: Un gran guerriero

• Emanuele Filiberto: Un gran guerriero. Fece di Torino una capitale e perciò sta a cavallo in mezzo a piazza San Carlo. E’ il più grande dei Savoia e anche il più noto a livello internazionale. Combatté per Carlo V, e con molta sapienza: coraggio e tenacia gli valsero il soprannome di Testa di Ferro. Fece del Ducato di Savoia uno Stato e di Torino una capitale (prima era Chambéry). Introdusse in Piemonte il cioccolato, che aveva assaggiato alla corte di Carlo V, e ne favorì la diffusione in Svizzera, dove lo esportavano i cioccolatieri sabaudi. La fortunata industria dolciaria di quel paese nasce da lì. Altro dessert di cui favorì la fortuna, consumandone in quantità a corte: lo zabaione.
• Carlo Emanuele I: il Savoia dei Promessi Sposi. Multò il Tassoni perché aveva fatto pipì dove non doveva. Antipatico. Faceva guerre di continuo (perdendole più spesso di quanto non le vincesse) e inaugurò quella politica che per secoli rese i Savoia famosi: oggi sto con te e domani contro di te, faccio l’ago della bilancia tra le varie potenze e cerco di trarre il massimo profitto dalla mia debolezza. lui il duca di Savoia a cui alludono, ne I Promessi Sposi, i commensali di don Rodrigo (e padre Cristoforo li ascolta). Fece di Torino una città festaiola e allegra (e cortigiana). Amava artisti e letterati, ma multò di uno scudo il Tassoni che aveva fatto pipì in un luogo riservato alle guardie.
• Vittorio Amedeo I: Una morte misteriosa: malaria o avvelenamento? E all’improvviso ecco spuntare un testamento.... F iglio di Carlo Emanuele I e guerriero come lui. Morì di malaria durante una campagna militare. Ma sposò Maria Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII, e questo fa di lui un uomo da ricordare: la moglie, la celebre Madama Cristina, fu personaggio politico di prima grandezza e protagonista dei pettegolezzi del tempo. Le malelingue del Seicento insinuano che, spinta dal cardinale Richelieu, abbia avvelenato il marito. E forse è vero: quando Vittorio Amedeo I morì, i francesi esibirono un testamento, non si sa quanto autentico, che affidava a Cristina la reggenza del Ducato.
• Madama Cristina: Vita avventurosa e piena di nemici. Amori a volontà in giovinezza, tormenti e rimorsi in vecchiaia. Ifrancesi, che l’avevano messa in sella, dovettero pentirsi presto: in premio volevano annettersi il Piemonte e lei glielo impedì. Provò a spodestarla pure il cognato Tommaso di Carignano, ma invano. Cristina morì a 61 anni, nel 1663, dopo una vita molto movimentata, ancora padrona della situazione. Quanto agli amanti: beh, ne ebbe parecchi e i torinesi imbastirono milioni di chiacchiere sulla sua carrozza che, di giorno o di notte, attraversava la città raggiungendo le vigne fuori mano. Ma da vecchia fu presa dai rimorsi e visse in perenne crisi mistica, torturandosi per penitenza il corpo e l’anima.
• Carlo Emanuele II: Un figlio di mamma, uomo debole, scrittore mediocre. Costruì il Valentino e il Palazzo Reale. Restò sottomesso alla madre fino alla maggiore età: «Egli non sottoscriveva nessuna carta se non la vedeva prima contrassegnata con la cifra di Cristina» dice Francesco Cognasso ne I Savoia, (Corbaccio * 28,4). Anche se questa sottomissione dovette farlo soffrire: morta la madre, licenziò favoriti che l’avevano circondata, come Filippo d’Anglié. Scrisse, in un italiano pessimo, una sorta di autobiografia (Memoriali) e politicamente campò con la protezione francese. Costruì il Valentino, il Palazzo Reale, la Cappella della Sindone.
• Vittorio Amedeo II: il primo re, dopo una stirpe di duchi. Costruì Superga per ringraziare Iddio di una vittoria. Combatté i francesi, poi si mise con loro, poi li piantò per gli austriaci, eccetera eccetera. Un Savoia tipico, che alla fine ebbe in premio la Sicilia e diventò quindi re (la Sicilia era un regno). Scambiò poi, nel 1720, la Sicilia con la Sardegna e fece assumere al suo Stato la configurazione che conosciamo dai tempi di scuola, quella di Regno di Sardegna. Costruì Superga (ex voto per aver resistito a un assedio francese), sterminò i valdesi e si proclamò fortemente cattolico. Una professione di fede non banale: nella storia dei Savoia corre da sempre una sottile vena anticlericale.
• Carlo Emanuele III: Imprigionò suo padre ed ebbe due grandi ministri. Bacchettone, ma moderno in economia. «Di statura mediocre, corpo piccolo, labbro inferiore sporgente, esili le gambe». Cioè brutto, almeno stando alla descrizione del diplomatico veneziano Marco Foscarini. Diventò re grazie alle dimissioni spontanee di suo padre Vittorio Amedeo II. Il quale poi si pentì e volle riprendersi il trono: il figlio lo buttò senz’altro in prigione. Ebbe due grandi ministri (l’Ormea e il Bogino) e praticò la solita politica dei voltafaccia. Bacchettone, trovò sconvenienti gli Idilli di Teocrito e ne proibì la pubblicazione. Però incoraggiò la nascente industria.
• Vittorio Amedeo III:Contrastò con Vittorio Alfieri e mise le divise azzurre addosso ai suoi soldati. Battuto da Napoleone. il sovrano che tormentò Vittorio Alfieri, a cui non voleva concedere il passaporto. Cedette alla fine: «Felice lui di perdermi, ed io di trovarmi», come commentò poi il grande scrittore. Inventò l’azzurro delle divise militari, lo stesso che conosciamo come ”azzurro Savoia” (è il colore delle maglie dei nostri nazionali sportivi). Fu sonoramente battuto da Napoleone a cui dovette cedere una quantità di territori. E pensare che all’inizio si proclamava amico dei francesi: ma la Rivoluzione del 1789 gli fece subito cambiare idea.
• Carlo Emanuele IV: Devoto, abdicò e si fece gesuita. Moglie quasi santa. Napoleone lo costrinse all’esilio in Sardegna. Devoto e incapace: Napoleone lo costrinse all’esilio in Sardegna, con tutta la famiglia. Sposò l’altrettanto devota Maria Clotilde, il cui processo di beatificazione fu riavviato negli anni Settanta. I due non ebbero figli e la colpa venne stupidamente attribuita al fatto che la principessa fosse un po’ troppo abbondante. Più attratto dalle gioie del cielo che da quelle terrene, nel 1802 abdicò in favore del fratello Vittorio Emanuele I. Morta la moglie, si ritirò a pregare nel noviziato dei Gesuiti a Sant’Andrea del Quirinale dove morì cieco nel 1819.
• Vittorio Emanuele I: Riportò a Torino la monarchia esiliata da Napoleone. Fondò l’arma dei carabinieri. Re in esilio e poi tornato in patria, alla caduta di Napoleone. Massimo d’Azeglio descrisse magistralmente il suo arrivo a Genova e lo sgomento provato dal popolo che gli vide il codino, un’acconciatura che non si usava da vent’anni e che Vittorio Emanuele I ostentava in polemica con Napoleone e l’89. Cercò infatti di riportare indietro il Paese a prima della Rivoluzione. E si coprì un pochino di ridicolo. Ma era una pasta d’uomo: perdonò quasi tutti i piemontesi che s’erano compromessi con Bonaparte. Fondò l’arma dei carabinieri.
• Carlo Felice: L’ultimo Savoia autentico, re dell’immobilismo assoluto, pesante, noioso, sospettoso. Pesante, noioso, immobile,
sospettoso (se qualche nobile mancava alle prime del Regio lo mandava a cercare con i carabinieri). Ma non stupido: aveva perfettamente valutato
il carattere dell’odiato nipote Carlo Alberto a cui cedette il trono, morendo, molto malvolentieri. Brigò con gli austriaci per farlo fuori, ma invano. Fece l’omonimo teatro a Genova, qualche abbellimento stradale e qualche arginamento. E nient’altro. Fu lui l’ultimo vero Savoia. Dopo subentrò il ramo cadetto dei Carignano.
• -Carlo Alberto: Con questo sovrano prima rivoluzionario e poi reazionario comincia il ramo Carignano. Figlio di una giacobina e malvisto perciò dagli zii Savoia. S’atteggiò da rivoluzionario in gioventù e poi si spaventò della propria audacia. Gli austriaci lo detestavano, ma continuarono a disprezzarlo anche quando divenne re e mostrò tutta la sua natura autenticamente reazionaria. Nel 1847, a Genova, i rivoluzionari cantarono ”Fratelli d’Italia” contro di lui. Nel 1848 fu costretto a concedere Statuto e Parlamento. Perse la I guerra di Indipendenza con gli austriaci. Andò in esilio a Oporto. Spilungone, malinconico, si sottoponeva a diete tremende e soffriva di terribili mal di stomaco.
• Vittorio Emanuele II: Il Savoia di cui dobbiamo andare più orgogliosi: semplice, simpatico, fece l’Italia insieme con Cavour. Sanguigno, cacciatore, seduttore. E fascinoso, nonostante la proverbiale rozzezza e i baffi lunghi un metro (che Cavour e d’Azeglio gli fecero tagliare): la regina Vittoria ne rimase ipnotizzata. Fece l’Italia con Cavour, nonostante detestasse il gran ministro che non voleva fargli sposare la Rosina. Cattolico e terrorizzato dalla politica anticlericale dei liberali. Stava male a corte e in tutti i consessi di nobili e ministri: si trovava bene solo all’aperto, in campagna, con i pari suoi. D’Azeglio coniò per lui
lo slogan di ”Re Galantuomo”, ma sarebbe stato più appropriato quello di ”Re Contadino”.
• Umberto I: Lo chiamavano ”Re Buono”, ma buono non era. Sposò Margherita, da cui la famosa pizza. Lunghi baffoni scuri, lieve difetto alla voce, sposò la cugina Margherita, a cui fu dedicata la famosa pizza e che potrebbe essere stata amante di Carducci. Colonialista e ultraconservatore: nel ’98 appese una medaglia al petto del generale Bava Beccaris che aveva preso a cannonate gli operai di Milano ammazzando cento persone. Nonostante questo, la stampa dell’epoca lo aveva soprannominato il ”Re Buono”, perché colpita da una certa sua propensione alla beneficenza. L’anarchico Gaetano Bresci lo uccise a Monza proprio per vendicare i morti di Milano.
• Vittorio Emanuele III: il sovrano del fascismo che l’8 settembre pose le premesse per la fine della monarchia. Basso, bruttino (la regina Margherita non riusciva ad ammogliarlo) collezionista appassionato di monete, per nulla innamorato della carica che visse come una croce. il Savoia del fascismo, che consentì a Mussolini di prendere il potere e si lasciò, senza resistere, mettere progressivamente da parte. Eppure, fino alla fine della Grande Guerra, non s’era comportato male e aveva creato un luogotenente per seguire il conflitto in prima persona dalle retrovie. Dopo l’8 settembre, invece, fuggì, lasciando il Paese in balìa del nemico e creando le premesse politiche per la fine della monarchia.
• 1946 - Umberto II: Il suo regno durò solo 27 giorni: scontò infatti le colpe del padre. E gli italiani scelsero Repubblica. Detto ”Re di maggio”, perché restò sul trono per 27 giorni, durante il maggio del ’46. Il referendum del 2 giugno costrinse lui e i suoi discendenti a quell’esilio che ora sta per finire. Andato in esilio a Cascais col titolo di conte di Sarre, scomparve dalle cronache politiche e portò con grande dignità il nome, la storia e il peso di colpe non sue. Bella anche la figura della sovrana Maria José, figlia del re del Belgio, una signora elegante che fece la fronda al fascismo e visse ruolo e titolo con scetticismo e disincanto. I figli della gran coppia riempirono le cronache rosa e talvolta nere del Paese.
• Il signor Savoia n. 1: Che sarebbe, se fosse re, Vittorio Emanuele IV. Un uomo d’affari svizzero, famoso per le sue gaffes. Vittorio Emanuele Savoia tornerà e non seguirà l’esempio di Otto d’Asburgo, il discendente di Francesco Giuseppe che si è abbassato a fare il deputato. E come potrebbe? I sondaggi dicono che gli italiani sono favorevoli al rientro, ma contrari a qualunque ”scesa in campo”. Il Nostro ostenta amor di patria e ha fatto sentire ai cronisti la suoneria del cellulare che suona ”Fratelli d’Italia”. Ma in passato ha detto che «le leggi razziali non erano poi così terribili». Per non parlare della sparatoria all’isola di Cavallo, in cui restò ucciso un uomo.
• Il signor Savoia n. 2: Che sarebbe, se fosse re, Emanuele Filiberto II. Tifa Juventus, fa l’amore con le modelle e va in tv. Dai rotocalchi rosa alle trasmissioni televisive, con occhio languido e fare dinoccolato. 30 anni a giugno, Emanuele Filiberto ama la luce dei riflettori. stato più volte ospite alla trasmissione televisiva ”Quelli che il calcio” dove ha simpaticamente interpretato la parte del tifoso juventino. Non ha mai tenuto nascosti i suoi flirt. Come quello, ormai esaurito, per Natasha Andress, nipote della più bella Ursula. Al Carnevale di Rio si è fatto avvolgere nel tricolore e ha intonato a squarciagola ”Funiculì, Funiculà”. Lavora in banca e parla quattro lingue.