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 2002  febbraio 11 Lunedì calendario

Da mercoledì a sabato si è svolto a Rimini il XIV congresso della Cgil (5,4 milioni di iscritti, più della metà pensionati)

• Da mercoledì a sabato si è svolto a Rimini il XIV congresso della Cgil (5,4 milioni di iscritti, più della metà pensionati). «Palacongressi gremito in ogni ordine di posti come per una partita da scudetto, come per Roma-Juventus» . Banchi in legno grezzo su moquette rossa, spalti in blu, in platea 2.200 invitati e 1.173 delegati (445 uomini e 728 donne): «Venivano da mesi di lotta senza paragoni negli ultimi anni e nel resto d’Europa» (Rossana Rossanda) . Sergio Cofferati è entrato in scena «da perfetto melomane, dopo un’ouverture dei violinisti di Fiesole, mentre un video hi-tech colorato d’antico lancia la parola d’ordine di questo congresso, ”futuro alla libertà” [...] Tocca a una giovane sindacalista, chiamarlo sul palco come membro della presidenza. ”Cofferati Sergio” dice, con finta nonchalance. Lui sale lentamente i gradini, guarda la sala che ha tutti gli occhi puntati su di lui, e inciampa» . Minuti di battimani, «un’assemblea che quasi non lo lasciava cominciare per gli applausi crescenti» . Poi «settantacinque minuti di relazione interrotta da una quarantina di applausi. Standing ovation di cinque minuti in chiusuraª
• Piazze. La forza del ”Cinese” è nella capacità di portare in piazza centinaia di migliaia di lavoratori contro la politica economica di Berlusconi. Stefano Folli: «Se c’è uno che ha qualche titolo per dare lezione è proprio lui, dall’alto dei cinque milioni di iscritti alla Cgil. Nel deserto dell’Ulivo, il sindacato è ancora in grado di mobilitare le masse, specie se l’occasione è l’articolo 18. Comunque vadano le cose, la linea della Cgil sembra dunque destinata a condizionare il destino dei ds nei prossimi mesi. Anzi, a investire gli equilibri complessivi della sinistra. [...] Il rischio per la Quercia è di restare prigioniera di logiche divergenti. Da un lato il segmento della sinistra (certo non Rifondazione) che guarda a Cofferati come a un capo naturale. Dall’altro il dinamismo del governo di centrodestra: la convergenza che s’intravede tra Blair e Berlusconi, dopo il viaggio di Maroni a Londra, sui temi del mercato del lavoro e della flessibilità. Torna per la sinistra italiana il fantasma della ”terza via”, questa volta però gestita da Berlusconiª
• A una minaccia l’applauso più forte: «Siamo chiamati a definire insieme a Cisl e Uil un nuovo programma di mobilitazione, mettendo in campo e collegando tutta la capacità di movimento e di lotta del sindacato confederale. Sono convinto che in questo quadro articolato di iniziative debba trovare collocazione anche lo sciopero generale». Solo due giorni prima la stessa Cgil aveva firmato col governo l’accordo per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego: «’Un buon accordo”, dice lo stesso Cofferati. Ma il fatto è che il sindacato, per arrivare a questo risultato, ha dovuto ”costringere il governo a cambiare radicalmente posizione”, ottenendo aumenti adeguati per le retribuzioni pubbliche. E ”lo abbiamo costretto con l’iniziativa e la lotta, l’una e l’altra alla fine hanno pagato”. Su questa strada, quindi, bisogna continuare per vincere anche le altre partite, cioè per far sì che il governo ritiri le proposte di modifica all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (licenziamenti) e il taglio dei contributi sui nuovi assunti» .
• L’Italia che Sergio Cofferati ha raccontato è meno che mai un Paese normale. «Ha individuato in almeno due elementi (l’asse governo-Confindustria e il ripetuto uso delle deleghe da parte dell’esecutivo) altrettante profonde ”lesioni” inferte al funzionamento del nostro sistema democratico, due anomalie. [...] Elencando le quattro deleghe chieste dal governo (scuola, previdenza, lavoro e fisco), si è spinto ancora più in là. Ha messo in guardia forze politiche e istituzioni dallo svuotamento del ruolo del Parlamento che la pratica governativa comporta. E poi si è retoricamente chiesto se le ”lesioni” inferte per questa via alla ”democrazia sostanziale” non finiscano per incidere ”sulla democrazia formale”. Per il leader della Cgil la modernità del centro-destra è presunta, in realtà è un impasto di autoritarismo e liberismo, per di più incapace di promuovere lo sviluppo nelle condizioni che si sono create dopo l’11 settembre» (Dario Di Vico)
• Fuoco amico. Cofferati «ha puntigliosamente ricordato come una parte della maggioranza ai tempi del governo Prodi avesse ordito ”atti ostili verso la Cgil”, ha criticato la legge sul federalismo per quanto decentra alle Regioni in materia di lavoro e ha tirato le orecchie a quei riformisti che dimenticano come ”una società che ignora il lavoro si condanna a perdere peso”» (Dario Di Vico)
• Applausi. Politici che hanno applaudito in piedi il discorso di Cofferati: Berlinguer, Folena, Melandri, Vita. Che hanno applaudito seduti: D’Alema, Fassino, Violante, Angius
• Identità. Curzio Maltese: «Fra le diecimila parole del discorso di Cofferati, la più importante, la chiave di tutto, è l’ultima: Identità. ”Siamo qui perché ci muove una passione, per rappresentare anche chi si è sperso. Questa è la ragione primaria della nostra identità” [...] Passione, Identità. Parole d’ordine che non si sentivano da anni e suonano come un toccasana per una sinistra che si è ”spersa” alla rincorsa di molti modelli, smarrendo per strada l’antica passione, l’identità (e alcuni milioni di voti), senza trovarne di nuove [...] Cofferati è ora il vincente dei perdenti, l’unico rimasto in piedi nella bufera che ha spazzato il campo dell’Ulivo. Non soltanto perché, invece di una poltrona, ha appena portato a casa un buon contratto per gli statali. [...] Cofferati conserva un’identità. Non ha mai avuto bisogno di definirsi ”post” e ”neo” qualcosa, di civettare con il liberismo (in crisi dopo l’11 settembre), di inseguire questo o quel modello straniero, di cambiare nome, simbolo, padri, faccia e vestito per andarsi a cercare un’identità sul mercato della politica come fatto personale, dove il berlusconismo è destinato a vincere. [...] L’identità è come il coraggio, se uno non ce l’ha nessuno gliela può dare, nemmeno Tony Blairª
• Metamorfosi. Cofferati gira l’Italia e non ha bisogno di Moretti per sapere come la pensano ”i suoi”. «è cosciente che più del giustizialismo sono i temi dell’equità sociale, dell’etica del lavoro e della cosa pubblica i veri comuni denominatori di militanti ed elettori della Quercia. E a loro propone una sinistra che faccia la sinistra e sia anche un po’ no global. [...] Il sindacalista lascia via via il passo al politico e, per quanto abilmente guidata e dosata, questa metamorfosi è visibile a occhio nudo» (Dario Di Vico)
• Bussole. «Provate ad immaginare un bombardamento tipo quello di Coventry nella seconda guerra mondiale, in quella sera del 14 novembre 1940, quando della città inglese non rimase in piedi nulla e lo spettacolo di terrificante potenza della Luftwaffe stordì il mondo. Provate ad immaginare la sinistra italiana come una Coventry del terzo millennio, sulla quale si è abbattuta la devastazione berlusconiana. E che di quel cimitero di macerie sia rimasto in piedi uno scheletro di edificio. Con un solo pregio: in un orizzonte raso al suolo lo vedono tutti, per tutti diventa bussola e punto di riferimento. La relazione di Sergio Cofferati al Congresso della Cgil è quell’edificio» (Carlo Fusi)
• Rilanci. Maurizio Sacconi, sottosegretario al ministero del Lavoro e unico rappresentante del governo al congresso di Rimini: «Come si fa a parlare di sciopero generale dopo che si è fatto un accordo che riguarda quattro milioni di lavoratori?». Andrea Pininfarina, membro della giunta della Confindustria: «La novità da Cofferati, semmai, avrebbe potuto essere un ammorbidimento delle sue posizioni. L’ho conosciuto a giugno del 1999 nel corso della trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Mi sono convinto che sia un grande negoziatore:quando chiude una partita con un successo, è il momento in cui lui alza la posta. Come sta facendo dopo il contratto dei dipendenti pubblici, che lui ha chiuso bene e che noi invece riteniamo molto oneroso. Ora rilancia» .
• Arma-fine-di-mondo. «V2? Troppo poco. Il supercannone? Peggio. Un missile? Di più. L’arma-fine-di-mondo, ecco cos’è lo sciopero generale, nel manuale del perfetto sindacalista. Un colpo definitivo, la bomba atomica che disarma gli avversari e magari butta giù un governo. [...] è ancora così? è ancora carica, la spoletta di questa bomba tattica che ha segnato la storia del movimento sindacale, facendo saltare governi e alleanze? E soprattutto, è ancora una mossa vincente?» (Sebastiano Messina)
• Secchie rapite. Il ministro per l’Attuazione del programma di governo Giuseppe Pisanu: «Quella dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è una questione di grande valore simbolico, ma di modesta rilevanza politica. Quindi va trattata con la massima cautela per evitare il rischio di far scoppiare una guerra per una secchia rapita. La nostra proposta non fa altro che raccogliere le critiche mosse a quella norma anacronistica dalla stessa sinistra [...] A sinistra è stata più volte adombrata la possibilità di rivedere l’articolo 18 scambiando maggiore flessibilità con maggiore sicurezza del lavoro. La discussione era già questaª
• Eccezioni. Roberto Maroni, ministro del Lavoro, mostrando una legge dello Stato ai giornalisti nel Transatlantico: «Guardate qui, 11 marzo 1990: per i sindacati e i partiti non si applica l’articolo 18. Interessante, no?»
• Annibale. «Se mercoledì Sergio Cofferati aveva tolto la sicura al pulsante di lancio, annunciando uno sciopero generale contro la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, i segretari di Cisl e Uil sono venuti a dire al congresso della Cgil che è meglio non usarla, quell’arma. ”è inopportuno” ha detto chiaro e tondo Savino Pezzotta, aggiungendo perfidamente: ”Noi ci battiamo per cambiare il merito delle questioni, non per cambiare il governo, compito che spetta agli elettori o ad altri”. E poi, ha spiegato alla platea Luigi Angeletti, non è detto che sia la mossa vincente. ”C’è un amico che ogni volta che mi incontra mi chiede: ma allora, quando lo facciamo questo sciopero generale? Allora io gli racconto di Annibale. Contro di lui Roma aveva mandato, a capo dell’esercito, il console Quinto Fabio Massimo. Il quale cominciò una tattica di scaramucce, di logoramento dell’avversario. Ma dopo un po’ il senato romano, frettoloso di liberarsi dall’incubo cartaginese, decise di cambiare console e di andare a uno scontro frontale col nemico. Incassando, pur avendo Roma un esercito due volte più numeroso di quello di Annibale, una batosta clamorosa. E dovette aspettare molti anni, prima di ottenere la rivincita”» (Sebastiano Messina)
• Tensioni. «Cofferati e Pezzotta sembrano Kennedy e Khruscev alle prese con la Crisi di Cuba del 1962: ogni mossa del rivale suscita sospetto, e un’immediata contromossa che alza ulteriormente il livello della tensione» (Roberto Giovannini)
• Mai il Pci o i Ds eredi del Pci hanno ritenuto di dover scegliere il proprio capo fuori dai ranghi del partito. «Dopo la morte di Enrico Berlinguer preferirono la funesta ”transizione” di Alessandro Natta al carisma (discusso ma indubbio) di Luciano Lama. E anche successivamente, pur non avendo scelto sempre - diciamo la verità - segretari della statura di Togliatti o Berlinguer, l’idea di un leader ”chiamato da fuori” non ha mai fatto troppa strada. Che sia l’ultima (una delle ultime) eredità comuniste, col partito prima e sopra di ogni altra cosa, è difficile dire. Che sia un fatto, c’è lì la storia a dimostrarloª
• Nella tradizione della Cgil si trova un sindacato che fa politica, «che vuole farla perché ritiene che qualsiasi azione sindacale dev’essere accompagnata da un’azione politica, perché l’obiettivo di fondo, e Cofferati lo ha ripetutamente sottolineato, è il sistema politico e oggi anche lo stato della democrazia [...] Appoggiando in maniera eccessiva alcune posizioni politiche interne ai Ds, Cofferati può guadagnare un po’ di potere negativo: impedire che si facciano determinate scelte nel partito e nella politica fiscale e delle relazioni industriali, ma rende difficile allargare il campo d’azione del sindacato. è probabile che Pezzotta ritenga questa strategia inadeguata anche in questa fase del governo Berlusconi e ne tema le conseguenze per i lavoratori. Difendere i sindacalizzati, che per la Cgil sono in maggioranza pensionati o tutt’altro che lavoratori precari, appare riduttivo [...] Se si è ristretto l’ambito del lavoro tradizionale, bisogna che il sindacato cerchi di raccogliere e organizzare il consenso dei nuovi lavoratori, che sono quelli meno protetti dalla legislazione vigente, e di allargare, grazie alla flessibilità di una migliore legislazione, il numero dei lavoratori» (Gianfranco Pasquino)
• Vox media. Mario Deaglio: «La sinistra, dopo aver ben inteso le trasformazioni produttive e i riflessi sociali di quello che chiamava il ”neocapitalismo”, non colse l’essenza di quello che si può indicare come ”neoliberismo”; riuscì a entrare efficacemente in Europa, non riesce a trarre una ricetta politica dalla globalizzazione [...] Aveva capito le esigenze del mondo delle catene di montaggio, rischia di perdere le iniziali simpatie del mondo di Internet, non capisce né gli yuppies né gli squatters. [...] Posta di fronte alla nuova, grande trasformazione del mercato globale, l’ha accettato acriticamente oppure avversato in pieno; ha frequentato le business schools oppure ha rispolverato gli slogan e la satira. Ha applaudito o respinto, osannato o condannato, non ha dedicato molto tempo a capire, a interpretare; le è mancata la vox media, e forse anche l’umiltà di un confronto senza preconcetti con una realtà che nessuno conosce beneª
• L’era della conoscenza. «Che senso ha, e questo vale per tutti, farsi una guerra di religione simbolica sull’articolo 18, quando tutti sanno che riguarda una piccola fetta di lavoro? Sono le piccole e piccolissime imprese a realizzare la crescita dei posti. Più dell’80 per cento delle aziende che assumono stanno già sotto la linea del Piave dei quindici dipendenti e non usufruiranno mai della modifica dello Statuto. Non crescono non per nanismo, o per l’articolo 18, ma per scelta e per genetica imprenditoriale: preferiscono così. [...] Se la ”sicurezza” e il ”welfare” erano i titoli di scambio della società industriale, nella società delle opportunità il loro posto viene preso dalla formazione. Sarà il nuovo baricentro dei diritti. Apprendere continuamente, per avere occasioni, per crescere socialmente sulla giostra. I saperi non saranno ”capitalizzabili” senza una ”manutenzione continua”. Quello passato ”era il secolo del lavoro”. Quella prossima sarà l’’era della conoscenza” (Walter Passerini) .