Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 3 giugno 2002
India e Pakistan combatteranno la prima guerra nucleare della storia?
«Si affrontano da decenni nella regione del Siachen, tra cime che superano i 7 mila metri con temperature fino a 45° sotto zero
• India e Pakistan combatteranno la prima guerra nucleare della storia?
«Si affrontano da decenni nella regione del Siachen, tra cime che superano i 7 mila metri con temperature fino a 45° sotto zero. Nel 1949, dopo la conclusione della prima guerra del Kashmir, concordarono una linea di cessate il fuoco che tagliava la regione verso nord e si arrestava in un punto ancora oggi conosciuto attraverso le sue coordinate cartografiche: NJ9842. Per decenni solo alpinisti e scalatori si sono avventurati fin là».
• Dicono che il conflitto è stato riacceso dai trekker.
«In genere raggiungevano il Siachen passando per il Pakistan, così sulle carte occidentali la regione cominciò a essere indicata come parte di quel Paese. A Nuova Delhi la videro come un’indebita appropriazione e nel 1984 spedirono l’esercito occupando gran parte del ghiacciaio e dei valichi lungo il confine occidentale. Il luogo era talmente sperduto che i pakistani lo seppero solo grazie ai racconti di alcuni alpinisti. A quel punto si affrettarono a spedire i propri soldati verso nord per impadronirsi delle vette rimaste vacanti. Da allora la ”sottile linea bianca” è rimasta immutata».
• E’ difficile combattere in quelle condizioni ambientali
«Si spara di rado, tutti sanno che, per quanto si calcoli il tiro, il colpo di mortaio viaggerà nell’aria privo d’ossigeno con la precisione di un palloncino bucato. è più facile morire andando in bagno durante una tormenta: la neve cade talmente veloce da riempire in pochi minuti la trincea ed esporre i soldati al fuoco nemico. Ma i colpi partono solo se ci si ricorda di mettere il mitra sopra la stufa a kerosene, e se si riesce a far fuoco prima che congeli di nuovo».
• Quanto costa questa guerra?
«Nuova Delhi e Islamabad spendono circa un miliardo di lire al giorno. Gli indiani hanno costruito una funivia per portare in quota i soldati. I pachistani mettono a dormire le loro truppe in igloo con le stanze per gli ufficiali foderate di moquette. La maggioranza dei soldati muore per malattie respiratorie legate all’altitudine e per assideramento».
• Com’è l’armamento convenzionale dei due Paesi?
«Prendiamo l’India, che è nettamente più forte dell’avversario: finanziati i progetti nucleari, restano ben pochi fondi. L’esercito è costretto a trascinarsi dietro vecchi, pesantissimi fucili modello anni Settanta: un handicap micidiale a quelle quote, dove ogni movimento è estremamente faticoso. Si parla di combattimenti condotti, in mancanza di meglio, a colpi di baionetta. Raja Menon, contrammiraglio in pensione e analista difensivo, dice che l’India ”deve cominciare a pagare il prezzo della difesa in termini di dollari e di sterline, non più di vite umane”. Con oltre un milione di soldati, l’80 per cento del bilancio difensivo se ne va in stipendi, spese d’addestramento, costi fissi».
• Il crollo dell’Urss ha influito?
«Il 70 per cento delle armi viene da Mosca. Quel che era valido negli anni Settanta e Ottanta, però, ora è obsoleto. Così è cominciata la crisi delle vocazioni: nel 1999 il 30 per cento dei posti d’ufficiale era vacante. Udai Bhaskar, direttore dell’Istituto per gli studi difensivi, dice che tutti sognano ”di lavorare con i computer e diventare come Bill Gates”».
• Perché il Kashmir è così importante?
«Situato sulla sommità del subcontinente indiano, costituisce una porta, o una barriera, non solo fra i due protagonisti del conflitto, ma anche fra questi, la Cina e l’Afghanistan. Vi scorrono i più importanti fiumi del Pakistan: l’Indo, lo Jhelum e il Chenab. E poi è una terra che esercita fascino: milioni di persone vivono nelle soffocanti pianure dell’India e del Pakistan e ne sognano le verdeggianti montagne, i fiumi, i laghi azzurri, i fertili terreni e il clima fresco e secco. Per questa gente equivale a quel che per noi sarebbero la Costa Smeralda, Cortina e Portofino. Fitte foreste di pini e abeti, campi di zafferano, terrazze coltivate a riso che costeggiano boschetti di gelsi e di frutteti ricchi di mele, pere, prugne e noci».
• Come nacque il conflitto?
«Il 15 agosto 1947, quando la Gran Bretagna si ritirò, in India rimanevano due problemi da risolvere: due stati che non avevano aderito all’Unione e che intendevano decidere il loro destino in un secondo momento. Il primo era il regno di Hyderabad, popolato in maggioranza da Hindu e il cui sovrano era musulmano. Il secondo era il Kashmir, maggioranza della popolazione musulmana ma re di religione induista, il maharaja Hari Singh. Il Kashmir aveva tre possibilità: adesione all’Unione, adesione al Pakistan, indipendenza. In ogni caso la scelta doveva essere confermata da un referendum popolare. Poche settimane dopo l’indipendenza, cominciarono a infiltrarsi gruppi guerriglieri islamici ”consigliati” e inquadrati da ufficiali dell’esercito pakistano. Vennero accolti bene dalla popolazione musulmana, subito iniziò la pulizia etnica: le popolazioni induiste e cristiane vennero costrette alla fuga. Visto il successo dell’operazione, nei primissimi giorni del 1948 Islamabad decise l’invasione».
• E il maharaja Hari Singh chiese aiuto all’India.
«Che però non poteva intervenire in quanto il Kashmir non era parte del suo territorio. Così il sovrano di Srinagar, dimenticando l’obbligo di promuovere un referendum, decise di firmare l’Instrument of accession, un protocollo con cui il Kashmir entrava nell’Unione indiana. Era il 26 ottobre 1948: iniziava la prima guerra indo-pachistana. Il conflitto andò avanti per più di un anno. Alla fine il Pakistan conquisto più di un terzo del territorio kashmiro. La linea di cessate il fuoco venne riconosciuta dalle Nazioni Unite. Nel 1965 ci fu una nuova guerra: dopo 22 giorni di combattimenti l’Onu impose il cessate il fuoco. Nel 1971 la guerra per il Pakistan orientale, poi Bangladesh, finì con la resa di novantamila soldati di Islamabad. A partire dalla fine degli anni Settanta il Pakistan pilotò i movimenti di liberazione del Kashmir».
• La rivolta islamica scoppiò nel 1987.
«I brogli elettorali indiani portarono all’elezione di un capo di governo di loro gradimento, provocando un vasto risentimento. Nell’89 il dissenso esplose, dando vita a un vero e proprio movimento separatista: molti giovani musulmani del Kashmir abbandonarono la loro tradizionale moderazione e imbracciarono le armi».
• Gli ultimi attacchi contro l’India potrebbero essere stati compiuti dagli uomini di Bin Laden?
«Se scoppiasse il conflitto, gli Stati Uniti dovrebbero ritirare le loro truppe dal Pakistan, allentando la pressione sugli uomini di Osama. Per questo l’intelligence americana ritiene che Al Qaeda stia fomentando le incursioni dei militanti islamici in Kashmir, e gli attentati nel territorio controllato da Islamabad: lo scopo è favorire una guerra che metterebbe in difficoltà il nemico Musharraf e ostacolerebbe i piani americani».
• India e Pakistan hanno la bomba atomica.
«Hanno bombe a fissione, tipo quelle che furono sganciate su Hiroshima e Nagasaki, e bombe all’idrogeno. L’India, il cui genio nucleare è paradossalmente un musulmano, Abel Kalam, possiede almeno ottanta ordigni prodotti da tre potenti reattori da 40 e 100 MW a Bombay, e uno da 40 a Kalpakkam, uno di arricchimento a Mysore e una miniera d’uranio a Jadugoda, tecnologia francese, canadese, russa. Il Pakistan possiede invece un solo reattore da 40/70 MW a Khushab, aperto nel 1988, ma in grado di produrre 5-6 ordigni l’anno oltre ai 40 già in suo possesso. Un laboratorio di riprocessamento si trova a Rawalpindi, uno di arricchimento a Kahura e una miniera d’uranio a Dera Ghazi Khan. La tecnologia è cinese».
• Avere la Bomba non serve se non si hanno i mezzi per portarla sull’obiettivo.
«L’India dispone di una batteria di missili a corto raggio, Prithvi, a medio, Agni, per sottomarini, Sagarika. Il Pakistan ha il medio raggio Ghauri e il lungo raggio Ghaznavi».
• I due popoli sono molto orgogliosi della Bomba.
«L’11 maggio del 1998 il governo indiano condusse diversi esperimenti nucleari in una località situata nei pressi della cittadina medievale di Pokharan, ai margini del deserto Thar, nello Stato occidentale del Rajastan. I test diedero luogo a manifestazioni di gioia tra i membri e i sostenitori del Bharatiya Janata, il partito popolare indiano del quale fa parte il presidente Atal Bihari Vajpayee, che era salito al potere due mesi prima. Per le strade vennero distribuite caramelle, si parlò addirittura di spedire in giro per tutto il Paese la sabbia raccolta sul sito dell’esperimento, così che l’intera nazione potesse godere, di riflesso, dello splendore sprigionato dalle esplosioni nucleari. Il 28 maggio dello stesso anno anche il Pakistan testò i suoi ordigni nucleari. [10] All’inizio gli indiani volevano mandare un messaggio soprattutto ai cinesi, cui mossero guerra nel 1962 per il controllo del Bengala prendendo un sacco di legnate, che però lasciarono le cose come stavano e stanno ancora: Cina e India si odiano».
• Chi può premere il ”bottone nucleare”?
«Chris Smith, del Centro studi difesa del King’s college di Londra, dice che in India la decisione di usare l’arma nucleare è per il 95 per cento politica e per il 5 per cento dipende da fattori di sicurezza. In Pakistan, invece, il 100 per cento della decisione dipenderebbe dall’atteggiamento dell’opinione pubblica. [5] Secondo ”The Economist” in Pakistan c’è una rigida catena decisionale militare che sembra bypassare il governo, mentre in India solo il primo ministro può decidere l’attacco nucleare. Ma la cosa più grave, spiega George Perkovich del Carnegie Endowment for International Peace, è che nessuna delle due parti conosce il limite oltre il quale la reazione nucleare dell’altro sarà inevitabile. Secondo Michael Krepon dello Stimson Centre i due governi non hanno canali di comunicazione di fiducia né piani per il controllo dell’escalation».
• Quanti morti farebbe una guerra atomica
«Secondo la Cia fra 6 e 12 milioni».
• Possiamo sperare nella deterrenza?
«Nel 1998 lo scrittore Amitav Ghosh raccontò sul ”New Yorker” che Subrahmanyam, il più eminente fautore delle politiche nucleari in India, sosteneva che ”le armi nucleari non sono armi militari” perché ”la loro logica è quella della politica internazionale, la logica di un ordine nucleare globale”. Per spiegarsi, raccontava un aneddoto legato a un film interpretato da Gregory Peck, The Million Pound Note, tratto dal racconto di Mark Twain: il protagonista si serve di un pezzo di carta senza valore, stampato in modo da apparire come una banconota da un milione di sterline, per indurre alcuni mercanti a fargli credito. ”Un’arma nucleare - diceva - agisce un po’ come quella banconota: all’apparenza non serve a nulla, non puoi usarla per fermare le piccole guerre. Però ti serve a comprare il tuo credito: e questo ti dà il potere di intimidire”».
• Quale potrebbe essere l’escalation nucleare?
«L’India ha promesso che non lancerà la bomba atomica per prima. Il Pakistan no, perché sa che l’opzione nucleare è l’unica che lo può portare al pareggio. Nuova Delhi vorrebbe infliggere a Islamabad una dura sconfitta locale, in modo da rendere costoso l’appoggio ai terroristi. [7] Il piano d’intervento per smantellare i campi muhjaeddin in Kashmir è pronto, si chiama ”Operazione fetta di salame”, partirebbe in caso di un nuovo grave attacco terroristico contro gli interessi indiani in Kashmir o altrove. [11] L’operazione potrebbe causare morti tra i civili pakistani che vivono nella zona, costringendo Islamabad al contrattacco. A questo punto Nuova Delhi, di fronte al rischio di mancare gli obiettivi dell’offensiva, allargherebbe lo scontro lungo i confini internazionali, dove avrebbe certamente la meglio. Al Pakistan non resterebbe che muovere contro uno Stato chiave indiano, ad esempio il Punjab, e sperare che la comunità internazionale intervenga per fermare il conflitto. Se ciò non accadesse, Islamabad potrebbe passare al nucleare».
• E’ plausibile che il Pakistan si trasformi nel più grande kamikaze della storia?
«Musharraf non ha la stoffa del martire. Ma se stesse perdendo una guerra convenzionale, se la stragrande superiorità numerica dell’India in cielo in terra e in mare avesse la meglio, la razionalità verrebbe forse messa da parte. Se la furia del Pakistan di fronte ad una sconfitta militare sfociasse nel rovesciamento di Musharraf da parte degli integralisti islamici, questa è l’ipotesi peggiore, le testate nucleari potrebbero cadere in mano a individui che considerano il martirio un obiettivo più nobile della pace, gente per cui la morte vale più della vita».
• Un conflitto limitato appare l’orizzonte più realistico.
«Entrambi i contendenti sanno di avere troppo da perdere in una guerra in grande stile. Ma già questo potrebbe far cadere Musharraf, e la sua successione, in un momento così delicato nella regione, potrebbe portare a una spirale di ulteriori tensioni in Kashmir, Pakistan e India. Tutto potrebbe facilmente diventare una guerra a ”bassa intensità” crescente, in questi vasti e popolatissimi territori, una cosa cento volte peggiore del conflitto in Israele».