Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 27 maggio 2002
Domani la Russia entra nella Nato?
«L’accordo raggiunto tra i 19 ministri degli Esteri dell’Alleanza e quello russo, che verrà siglato a Pratica di Mare, non è l’ingresso della Russia nella Nato, tanto è vero che Mosca resta fuori dall’applicazione dell’articolo 5 del trattato, quello che riguarda il dovere di reciproca difesa qualora uno degli alleati venga attaccato
• Domani la Russia entra nella Nato?
«L’accordo raggiunto tra i 19 ministri degli Esteri dell’Alleanza e quello russo, che verrà siglato a Pratica di Mare, non è l’ingresso della Russia nella Nato, tanto è vero che Mosca resta fuori dall’applicazione dell’articolo 5 del trattato, quello che riguarda il dovere di reciproca difesa qualora uno degli alleati venga attaccato. Ma la Russia siederà da pari in un nuovo organismo insieme con i 19 Paesi membri».
• è una riedizione del meccanismo ”Russia più Nato”?
«No, la creazione del ”Gruppo dei 20” sarà piuttosto una ”Russia insieme alla Nato”. Mosca avrà diritto di voce, ma non di veto, su una decina di dossier. Nessuna integrazione militare invece: ”Vogliamo discutere come affrontare le nuove minacce, non dove dislocare le truppe”, ha detto il ministro della Difesa russo Serghej Ivanov».
• Cosa comprende l’agenda iniziale?
«Azioni anti-terrorismo, capacità di gestire crisi, misure di non proliferazione, controllo degli armamenti, difesa missilistica, controllo e operazioni di salvataggio in mare, collaborazioni militari di vario tipo, pianificazione su come affrontare emergenze civili e nuove minacce. Ogni paese membro potrà porre il veto sui temi discussi all’interno del Consiglio, nel caso che la condivisione di informazioni con la Russia possa danneggiare i suoi interessi specifici».
• Venerdì Russia e Stati Uniti hanno firmato un accordo per il disarmo nucleare.
«Entro il 2012 scenderanno da 6.000 testate a 1.700-2.200. [3] Il testo, lungo appena due pagine e mezzo, sorprende per l’estrema genericità del contenuto, specialmente se lo si confronta con i precedenti trattati Start I e Start II, firmati nel 1991 e nel 1993, che consistevano in centinaia di pagine con allegati, appendici e codicilli in cui erano descritti nei minimi termini le procedure per l’applicazione delle clausole, i tempi della messa fuori servizio degli ordigni, i metodi per contare le testate. In questo non sono previste procedure specifiche per la riduzione, né verifiche, né ispezioni. Di più, mentre la Russia dovrà distruggere le testate in esubero, perché non ha i mezzi economici per metterle, per così dire, in magazzino, gli Stati Uniti hanno ottenuto di poter conservare le testate tolte dai siti in eccedenza ed eventualmente dispiegarle se e quando si manifesterà una nuova minaccia. ”Nella Guerra Fredda si discuteva dei dettagli - ha detto il portavoce della Casa Bianca -, oggi badiamo agli accordi”».
• Per i due presidenti è un successo?
«Putin può iniziare a depennare dal bilancio della difesa gli insostenibili costi di gestione dell’arsenale ereditato dalla Guerra Fredda. Bush riesce a centrare l’obiettivo del taglio delle testate, come aveva promesso in campagna elettorale, pur non avendo ceduto nulla a Mosca sul progetto di difesa antimissile».
• Mosca e Washington hanno intensificato la collaborazione dopo l’11 settembre?
«Neppure negli anni Quaranta, quando erano alleati contro il nazifascismo, Stati Uniti e Russia sono stati così in sintonia. E non soltanto ai piani alti dei palazzi del potere: anche fra agenti della Cia e dell’Fsb, l’erede del Kgb, che durante la guerra fredda si sono affrontati e combattuti in tutto il mondo senza esclusione di colpi. La nuova strategia dei servizi statunitensi e russi è stata messa a punto in tre incontri bilaterali ultrasegreti: maggio 2000 a Washington, ottobre 2000 nelle vicinanze di Mosca, febbraio 2001 a New York».
• La svolta è stata l’elezione di Putin, nel marzo 2000?
«Nonostante l’opposizione dell’apparato militare industriale e delle gerarchie dell’ex Armata rossa, è stato Nikolaj Patruscev, successore di Putin alla guida del Servizio federale di sicurezza russo, l’Fsb appunto, a porgere per primo la mano ai colleghi americani. Il presidente russo non ha mai nascosto la propria insoddisfazione per la figura fatta dall’esercito nella drammatica guerra in Cecenia. E si è sempre più convinto a diffidarne».
• Bin Laden è da tempo un nemico dei russi.
«La lotta al terrorismo internazionale era divenuta una scelta prioritaria già durante il primo incontro tra i due paesi, il 25 maggio 2000. E il primo obiettivo per entrambi era proprio Osama Bin Laden che guidava dall’Afghanistan azioni terroristiche antiamericane in tutto il mondo e che colpiva la Russia con il traffico di droga, i rifornimenti al terrorismo ceceno e la continua tensione alla frontiera tagiko-afghana. Tanto che Mosca, per ben due volte, aveva minacciato di intervenire militarmente contro i talebani, se non avessero smesso di inviare in Cecenia combattenti addestrati nei campi afghani».
• Insomma, i servizi segreti americani e russi si scambiano informazioni.
«Il 10 febbraio del 2001 Patruscev presentò un progetto che prevedeva la trasmissione immediata a Cia e Fbi di tutte le informazioni ottenute dagli agenti russi che operano in territorio afghano. Pensava che in quel modo gli Usa non avrebbero faticato molto a catturare Bin Laden o a eliminarlo sul posto. Non è stato così, ma il lavoro dei tre incontri segreti non è stato inutile: stanno nascendo organismi specializzati, capaci di agire in perfetta sintonia. Mosca ha una rete di agenti in Iraq, Yemen, Corea del Nord, Sudan, Somalia, Siria e Balcani: proprio quello che mancava a Washington».
• Contro i ceceni i servizi segreti sono stati più importanti delle forze armate?
«Le operazioni di spionaggio magistralmente condotte dall’Fsb hanno avuto molto più successo dei bombardamenti a tappeto. Ne sa qualcosa Shamil Basayev, il leader di quelli che Mosca definisce ”terroristi ceceni”: nella battaglia finale per la riconquista di Grozny, due anni fa, insieme ad altri comandanti vittoriosi nella prima guerra contro Mosca, era circondato dalle truppe russe. Un agente dell’Fsb finse di farsi comprare per centomila dollari e consegnò ai ceceni le mappe con i campi minati approntati dalle truppe federali per impedire la fuga dei ribelli. Si trattava, naturalmente, di mappe false. Risultato: Basayev perse una gamba, altri comandanti morirono sulle mine».
• Non tutti i russi sono contenti di questa alleanza.
«Per tranquillizzare tutti, Putin ha riunito i leader dell’ex Urss con l’idea di dar vita a un nuovo organismo di sicurezza collettiva, una sorta di mini Patto di Varsavia. Ma potrebbe non essere sufficiente: tre quarti della popolazione non approvano la sua politica internazionale. Sospetti e risentimenti emergono da ogni lato della società, nei riguardi degli europei e soprattutto degli americani».
• Putin non si farà condizionare?
«Il presidente russo sa che l’idea della parità strategica tra Stati Uniti e Russia va messa definitivamente da parte. Mosca accetta il ruolo di potenza media destinata a coordinarsi con la superpotenza americana. vero, il ruolo comporta la sopportazione di qualche gesto d’arroganza, ma si tratta di quel che altre potenze medie, la Francia, la Germania, e da qualche tempo persino l’Inghilterra, subiscono ogni tanto da parte degli Usa. Quel che importa a Putin, oggi, è portare sulla scena un’altra Russia. Un partner non inutile, e perciò rispettato, del mondo occidentale, al posto della poltiglia di mafie e bancarotte, dirigenti ubriachi e masse di mendicanti, cortei con i ritratti di Lenin, legioni di prostitute e sommergibili atomici affondati, che fu la Russia della transizione [...] Un paese dove i capitali europei e americani, incoraggiati con le garanzie dei rispettivi governi, possano affluire senza paure, profittando d’un mercato enorme. Questo soprattutto sembra il senso della scelta: lo sviluppo dell’economia russa. La possibilità di raggiungere in un paio di decenni non la ricchezza americana, non quella tedesca o giapponese, ma più modestamente, è lo stesso Putin ad aver fatto il calcolo, il relativo benessere del Portogallo».
• Sistemata la Russia, c’è una lunga fila di paesi che aspettano di entrare nella Nato.
«Nel vertice di novembre a Praga potrebbero essere ammessi Slovenia, Lituania, Estonia, Lettonia, Slovacchia e, forse, Romania e Bulgaria, su cui insiste in particolare l’Italia. Albania, Macedonia e Croazia aspetteranno ancora un po’».
• C’è chi teme che questo allargamento ridurrà l’efficacia dell’Alleanza.
«Soprattutto negli Usa: dicono che diventerà un forum politico-diplomatico, una versione armata dell’Osce, il cui principale compito consiste nel monitorare elezioni. I più ottimisti sostengono invece che i vantaggi politici supereranno gli svantaggi operativi: ”La decisione di agire è presa dai 19, ma i 19 non sono obbligati ad agire” ha detto un funzionario del Dipartimento di Stato americano».
• Gli americani sono critici anche con i paesi europei già membri della Nato.
«Powell è preoccupato dal crescente fossato in fatto di capacità militari che si è aperto fra Washington e gli alleati: ”Gli Stati Uniti hanno aumentato la spesa per la difesa e i nostri alleati devono fare come noi”, ha detto. L’extra budget militare di 48 miliardi di dollari che Bush vuole aggiungere ai 331 miliardi già stanziati dal Congresso è, da solo, superiore a quanto Francia e Gran Bretagna spendono ogni anno per la difesa».
• E a Bruxelles che dicono?
«’L’alternativa alla modernizzazione è la marginalizzazione”, ha ammonito il segretario generale George Robertson. ”La Nato deve cambiare drasticamente se vuole sopravvivere nel nuovo ambiente della sicurezza e affrontare le sfide del nuovo secolo”. Ma i paesi europei spendono già molti soldi per gli eserciti: hanno due milioni di soldati. Il problema è che seguono ancora il modello dei tempi della Guerra Fredda: militari di leva, carri armati, mezzi corazzati. Erano attrezzati per la difesa del territorio. Cambieranno, ma non dal giorno alla notte».
• Cos’ha insegnato la guerra dell’Afghanistan?
«Ha posto i parametri della guerra del XXI secolo. E il successo di quel modello, basato sull’integrazione tecnologica e tattica fra piccoli nuclei di forze altamente specializzate e una preponderante forza aerea significa che non si tornerà indietro. Ma questa strada la stanno percorrendo, finora, solo gli Usa: se i paesi europei della Nato non faranno altrettanto, rischiano di rimanere tagliati fuori dalle decisioni strategiche e tattiche grandi e piccole e, di fatto, dalle operazioni militari, delegando ai soli Stati Uniti la guerra al terrorismo. Non è un fatto politico, ma tecnico, spiegano al Pentagono: ”I modi di combattere nostro e degli eserciti alleati, che prima erano uguali, ora non lo sono più e, fra un po’, sia i singoli reparti, sia i quartier generali non saranno più capaci di intendersi”».
• Gli americani hanno sempre speso di più degli europei per il bilancio militare
«Giusto, ma la differenza, che prima era solo di quantità, ora è anche di qualità. Andrew Krepinevich, del Csba, un centro indipendente di studi militari, spiega che con l’11 settembre l’America ha deciso un salto di generazione nella tecnologia militare. Quello che gli americani chiedono agli europei è di dotarsi di forze ”capaci di arrivare rapidamente dove sono richieste e di sostenere lì uno sforzo operativo prolungato”. Ma, dietro il concetto generale, c’è una lista di armi e sistemi, estrapolata dall’esperienza afgana, di cui gli europei dovrebbero dotarsi, presumibilmente con grande soddisfazione delle industrie militari americane».
• Cosa occorre agli eserciti europei?
«Aerei e navi in grado di trasportare velocemente anche migliaia di uomini in pochi giorni. Inoltre l’Afghanistan ha confermato che i paesi europei dispongono di forze speciali addestrate al meglio, ma alla Nato stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di creare un comando unificato di questi reparti scelti. E poi servono bombe a guida laser o satellitare: nella guerra del Golfo erano solo il 10 per cento del totale, in Afghanistan sono state il 90 per cento, ma negli arsenali europei sono ancora una rarità. Gli americani, che devono riempire i magazzini svuotati su Kabul e Kandahar, vorrebbero che gli europei contribuissero. Ancora: l’asse del modello afgano sono stati i piccoli reparti a terra che puntavano direttamente, via laser, le bombe che piovevano dal cielo o fornivano le coordinate ai sistemi di guida satellitare. Perché i soldati europei possano fare altrettanto [...] devono disporre delle stesse attrezzature e delle stesse procedure operative. In Afghanistan gli americani hanno ridotto a 10 minuti il tempo che trascorre dall’individuazione di un obiettivo al momento in cui l’aereo lancia la bomba sul bersaglio. Questo richiede tempi rapidissimi di triangolazione fra ricognitore, quartier generale e aereo d’attacco, con la predisposizione di apparecchiature e software, quanto meno, compatibili. Ma, più la tecnologia americana migliora, meno diventa compatibile. Per la prima volta, in Afghanistan, aerei senza pilota, come i Predator, sono stati usati per lanciare missili su bersagli militari. Gli americani sono convinti che questo è solo l’inizio della guerra-robot e si aspettano grandi sviluppi in questo campo, in cui gli europei sono assenti».
• Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni, la Cina nella Nato?
«Interrogato da ”Limes” nell’agosto del 1999, un alto funzionario di Pechino disse: ”Se il Kazakistan o un’altra Repubblica del centro Asia chiedesse di entrare nella Nato, che problema ci sarebbe? Lo chiederemmo anche noi”. La svolta, paradossalmente, avvenne il 7 maggio di quell’anno con il bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado, che suscitò enormi reazioni popolari nel paese e mise gli strateghi cinesi di fronte alla realtà: gli americani sostenevano che si era trattato di un errore, loro ripetevano che non era possibile, ma anche se lo avessero fatto apposta come avrebbero potuto reagire? Mai gli Usa avrebbero osato rischiare un errore con l’Urss, invece avevano potuto rischiare con la Cina. Pechino non può permettersi un confronto con gli Usa, da un punto di vista militare non c’è confronto. E allora, se non ci fosse di mezzo Taiwan...».