Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 20 aprile 2002
Basanos - ”Tortura”, in greco antico ”basanos” dal nome della pietra usata per verificare la purezza dell’oro, un tipo di ardesia scura e silicea che produceva una macchia particolare solo se sfregata con le leghe migliori
• Basanos. ”Tortura”, in greco antico ”basanos” dal nome della pietra usata per verificare la purezza dell’oro, un tipo di ardesia scura e silicea che produceva una macchia particolare solo se sfregata con le leghe migliori.
• Tori. Il ”Toro di bronzo di Perilao”, dal nome dell’inventore, scultura cava a grandezza naturale, capace di contenere nel ventre un uomo: sotto la pancia del toro si accendeva un fuoco, le grida della vittima, modulate da un sistema di canne, uscivano dalla bocca come un delicato muggito. Perilao mostrò orgoglioso la sua opera a Falaride, tiranno di Agrigento. Questi lo fece catturare e sperimentò il marchingegno su di lui (VI secolo a. C.).
• Elefanti. In India, nell’Ottocento, gli assassini venivano legati con una fune alla zampa posteriore destra di un elefante, che li trascinava fino al luogo dell’esecuzione (viaggio di un’ora circa). Giunto alla meta, il pachiderma, appositamente addestrato, faceva un passo indietro e stritolava la testa dell’omicida.
• Abbracci. In uso in Giappone, fino al 1800, il cosiddetto ”abbraccio del macigno”: il prigioniero, in ginocchio su un asse coperto di pietre affilate come lame, costretto a tenere in grembo enormi sassi.
• Fiori. Condannato alla gogna nel 1704 a Londra per aver scritto una satira contro il governo, Daniel Defoe fu rimpinzato di cibo e birra dal popolo, che per tutto il tempo gli lanciò fiori (i comuni delinquenti, invece, erano bersagliati con pietre, frutta marcia, uova putride, carogne di cani e topi).
• Miele. In Angola, nel XX secolo, si usava spalmare i prigionieri di miele per poi costringerli a star seduti, ore e ore, sopra un formicaio.
• Latte salato. Nel Settecento, in India, gli esattori d’imposta che non racimolavano abbastanza soldi erano costretti a bere latte di bufala salato finché non morivano di diarrea.
• Il punto. Punizione inflitta nell’Ottocento nella prigione californiana di Folsom, chiamata ”il punto”: il detenuto doveva restare in piedi immobile per quattro ore al giorno in un cerchio dipinto di grigio del diametro di 60 centimetri.
• Piccola quiete. Celle allestite nel Medioevo: nella Torre di Londra la ”Piccola quiete”, 1,2 metri quadrati di superficie; in Francia la sourcière (anche detta ”tana del topo”), 91 centimetri quadrati.
• 60 centimetri. Negli anni Quaranta, in Romania, il regime carcerario prevedeva celle di punizione con una superficie di 60 centimetri quadrati (FRAMMENTO ERRATO)
• Zhu Xiaodan. Durante la repressione di Tienanmen il dissidente Zhu Xiaodan fu detenuto più volte in una minuscola cella tutta buia con pareti nere: "Alle mie orecchie non giungeva alcun rumore, tranne quello di un fiume in piena... Mi sentivo sul punto di impazzire".
• Divertimenti. Trattamento subìto dagli internati nel braccio speciale del carcere di Dubai, ribattezzato ”casa del divertimento”: luci intermittenti e musica da discoteca a volume altissimo, ininterrottamente.
• Bisbetiche. Il ”morso dell’attacabrighe”, usato nell’Inghilterra del Sei-Settecento per zittire le signore bisbetiche o petulanti, era una museruola in ferro con piastra metallica da infilare nel palato. Piena di chiodi acuminati, al minimo movimento della lingua causava sofferenze atroci (la pena, spesso destinata alle quacchere che si ostinavano a predicare per strada).
• Gabbie. Fino al XVIII secolo in Europa alcuni condannati a morte erano lasciati oscillare per giorni, fino alla morte, in gabbie appese alle forche o alle mura di cinta. I cadaveri erano lasciati lì, per mesi, a imputridire.
• Corde. Meccanismo della ruota usata dall’Inquisizione portoghese nel Settecento: collo, braccia e gambe fissati con collare e anelli di ferro, la vittima era avvolta con corde sottili che erano strette in modo da penetrare lentamente nella carne fino a toccare le ossa.
• Schiacciapollici. Mezzo di tortura tascabile simile allo schiaccianoci, in uso in Italia nel Seicento. Anche chiamato ”Sibilla”, dal nome del personaggio mitico che stava a guardia dell’Oracolo di Delfi, e quindi a difesa della verità. Versioni più sofisticate consentivano di racchiudere, oltre ai pollici, diverse dita in contemporanea.
• Stivali di ferro. In Scozia, sotto gli Stuart, si faceva calzare al prigioniero il cashielaw , stivale di ferro scaldato in un forno bollente e poi stretto con una vite. La variante spagnola prevedeva il versamento di acqua bollente, olio e pece.
• Cassetti. Abitudine di alcuni commissari dello Sri Lanka di convincere l’interrogato a confessare chiudendogli i testicoli in un cassetto della scrivania.
• Schiacciamento. Era comminato in Inghilterra all’imputato che taceva in giudizio: riportato in prigione, era denudato e tirato per le braccia e le gambe con corde fissate a diversi punti della cella, per poi ricoprirlo di ferro, pietre e piombo, tutti i giorni, somministrandogli pane d’orzo e acqua di scolo, finché parlava o moriva. Margaret Cliterow, ”la Perla di York”, condannata nel 1571 allo schiacciamento perché non confessava di essere cattolica, subì un’agonia di soli quindici minuti: sotto un peso di quattrocento chili morì in fretta grazie alla pietra acuminata che i carnefici le avevano sistemato sotto la schiena per agevolare la rottura della spina dorsale e di altri organi vitali.
• Spazzini. I ”ceppi di Skeffington”, o ”figlia dello spazzino”, dal suo inventore, sir Leonard Skeffington, il cui nome, storpiato dal popolo, diventò ”scavenger” (in inglese ”spazzino”), luogotenente della Torre di Londra sotto Enrico VIII. Preferiti alla ruota perché le donne potevano subirli senza spogliarsi e perché più maneggevoli (ripiegati in due diventavano un mezzo di tortura portatile), anziché tendere il corpo, come la ruota, lo comprimevano: la vittima, ripiegata su se stessa e con le braccia legate dietro la schiena, era stretta in una morsa di ferro battuto, che schiacciava le gambe contro le cosce, facendole penetrare nel ventre. Il sangue cominciava a trasudare dalle punta di mani e piedi, poi si schiantava la cassa toracica e il sangue finiva di uscire da bocca e narici.