Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 16 febbraio 2002
Le origini di casa Savoia. Amedeo VI
• Sapaudia. Nome usato per la prima volta dallo storico romano Ammiano Marcellino intorno agli anni dal 370 al 380, per indicare la regione limitata a nord dal lago Lemano, a ovest dal Rodano, a est dalle Alpi e a sud dal Delfinato. Dal celtico ”paese o foresta di alberi”: "Paese d’alte montagne in cui si aprono le valli selvagge della Moriana, della Tarantasia e del Faucigny e le basse vallate, dai fertili clivi e dai laghi severi o ridenti, della Comba di Savoia, del Chiablese e del Ginevrino. Di questo territorio, poco omogeneo, abitato da popolazioni diverse per origine e genere di vita, soltanto la volontà perseverante di una dinastia riuscirà a fare uno Stato".
• Thionville. Nell’806 a Thionville Carlomagno prepara la spartizione successoria dei suoi stati e divide la Sapaudia in sette paesi per non lasciare la sovranità esclusiva dei valichi alpini a nessuno dei suoi figli: Moriana, Tarantasia, Faucigny, Chiablese, Ginevrino, Albanais e Saboia. Con questo atto per la prima volta appare il nome ”Saboia”, da non confondere con la Sapaudia, più vasta, di Ammiano Marcellino. Esso designa un antico Pagus, corrispondente a una regione a lungo chiamata Savoie propre, con centro naturale Chambéry, a cui, a partire dal X secolo, i conti di Savoia annetteranno altri possedimenti, fino a ricoprire il territorio dell’antica Sapaudia.
• Umberto. Umberto Biancamano, fondatore della Casa di Savoia, verosimilmente di famiglia gallo-romana, che in cambio del sostegno assicurato all’imperatore Corrado II il Salico, nel 1043 è infeudato della Moriana e poi del Chiablese. Con lui comincia l’accrescimento della Savoia, attraverso unioni matrimoniali e l’apporto di feudi ecclesiastici.
• Amé-Cauda. La fiera risposta di Amedeo I, figlio di Umberto I, all’imperatore Enrico III: "Un giorno che il piccolo barone savoiardo si presenta al palazzo dell’imperatore Enrico III, i gentiluomini di servizio gliene vietano l’accesso. L’impetuoso vassallo fa un gran baccano e attira l’attenzione del Cesare germanico che s’informa della causa di tutto quel rumore. La guardia risponde che era il conte di Maurienne che si traeva dietro una gran coda di servitori. ”Ebbene, fatelo entrare e lasciate fuori la coda”. Il conte, molto irritato, rispose: ”Se questa che chiamate la mia coda non entra con me, non entrerò neppure io!” ”Entri allora con la sua coda” disse l’Imperatore. Da ciò gli italiani lo chiamarono il conte Amé-Cauda" (Dufayard, Histoire de Savoie, 1929).
• Aimone. Aimone di Savoia, secondo figlio di Amedeo V e di Sibilla di Baugé, nato il 15 dicembre 1291 a Bourg-en-Bresse, destinato da giovane allo stato ecclesiastico, per questo prediligeva le soluzioni pacifiche a quelle belliche. Amedeo V, temendo proprio i conflitti che la sua morte avrebbe potuto suscitare, designò come successore lui, anziché il primogenito. Ebbe un matrimonio felice con Jolanda di Monferrato, bella e pia: "Il Conte era molto allegro e lieto, mai le impose il contrario di ciò che ella voleva fare, cosicché vivevano come due angeli innamorati, in pace e tranquillità". Morì il 22 giugno 1343, a 51 anni, per non aver sopportato la perdita della moglie, morta la notte di Natale dello stesso anno, partorendo il quinto figlio, Luigi, nato morto. Gli sopravvissero due figli: Amedeo e Bianca.
• Alleanze. Con il trattato di Parigi del 1355 Amedeo VI, figlio di Aimone il Pacifico, si allea col re francese Giovanni II il Buono: ottiene in moglie la figlia Bona di Borgogna (il matrimonio ebbe luogo a Parigi per procura), e rinuncia a ogni speranza di ampliamento dal lato della Francia, per poi volgersi all’Italia, dove entrerà in conflitto con i Visconti, i Monferrato, i Saluzzo.
• Amedeo VI. Chiamato il Conte Verde da quando vinse il torneo organizzato a Bourg-en-Bresse, nel maggio 1353, dove tutti i cavalieri erano vestiti di verde e anche le dame che li tenevano avvinti con cordoni di seta dello stesso colore. Da quel giorno si vestì di verde e adottò questo colore per i suoi appartamenti, per le sue tende durante le spedizioni militari, per i regali che offriva e per le vele delle navi che lo portarono in Oriente.
• Rinomanza. Introdotti in Europa dagli Arabi di Andalusía, i tornei cavallereschi, erano così violenti che nel 1279 papa Nicola III scomunicò i partecipanti e negò sepoltura cristiana a chi vi soccombeva. A ogni evento le prodezze dei cavalieri erano proclamate dai menestrelli e dagli araldi che ripetevano più volte il nome del vincitore, da cui la parola ”rinomanza”.
• Mercenari. La Guerra dei Cent’anni, il disastro di Poitiers nel 1356, gli sbarchi successivi di Edoardo III a Calais e quelli del Principe di Galles a Bordeaux, la prigionia di Giovanni il Buono, avevano gettato la Francia in uno stato di anarchia. Conseguenza il disfacimento degli eserciti: disertori, sbandati, predatori erano ex soldati inglesi e francesi licenziati nel 1360 inseguito al trattato di Brétigny. A poco a poco questi mercenari si erano riuniti in compagnie, comandate da capitani di ventura che si ponevano al soldo del maggior offerente. Per i principi la cosa più difficile era liberarsi delle Compagnie di ventura dopo essersene serviti. Tornata la pace, essi se le rimandavano l’un l’altro. Per esempio Amedeo VI di Savoia portò con sé gran parte di queste truppe sino a Costantinopoli in occasione della sua Crociata, ma la maggior parte dei tentativi per liberarsene fallirono, perché spesso, incapaci di adattarsi a paesi stranieri, si affrettavano a tornare in Francia. Amedeo VI, comunque, in parte perché non poteva permetterselo finanziariamente, in parte perché diffidava della loro slealtà, preferiva arruolarle in piccoli gruppi anziché in grandi masse, affidandone il comando a suoi ufficiali o loro capitani divenuti fedeli vassalli per benefici ricevuti.
• Barba. La volta in cui Amedeo VI era ospite dell’Imperatore nel Palazzo di Blacherne a Costantinopoli, un giovane cavaliere savoiardo mancò alle leggi dell’ospitalità seducendo la figlia di colui che lo aveva accolto nella sua casa. Secondo le cronache "il padre e la madre li trovarono coricati insieme, del che furono molto mal soddisfatti e andarono a lamentarsi di ciò al Conte, il quale fece incontanente prendere il cavaliere e lo inviò all’Imperatore affinché fosse fatta giustizia di lui come il caso voleva". Lusingato dall’onore reso dal Conte l’Imperatore risparmiò il colpevole, e poiché Amedeo VI si rimetteva agli usi del paese, gli rispose: "Il nostro costume è di tagliare pubblicamente la barba a chi commetta delitti di questo genere". Al che il Conte, rassicurato che fosse risparmiata la testa a quel cavaliere che lui amava tanto, rispose: "Tagliare la barba, per la morte di Dio, costui non ne avrà mai".
• Avvocati. Tra le novità dell’organizzazione dei suoi stati introdotte da Amedeo VI nel 1379, la carica di ”avvocato dei poveri”, adottata nei tribunali francesi solo cinque secoli più tardi.
• Modestia. I castelli della Savoia, più modesti e meno pretenziosi di quelli francesi, erano arredati sobriamente: gli artigiani locali, per la fabbricazione dei mobili, usavano legno di noce e di pero stagionato. L’arredamento era costituito da cassoni portatili che venivano trasportati per via di terra, fluviale o lacustre, da un castello all’altro dove i signori si trasferivano di volta in volta. I letti non erano provvisti di materassi di lana, bensì di sacchi ripieni di paglia, così come di paglia, durante l’inverno, erano ricoperti i pavimenti spesso costruiti con semplice terra battuta.
• Testamenti. Amedeo VI morì di peste nel corso di una campagna fallimentare, in cui era perito metà del suo esercito, nella notte tra il I° e il 2 marzo 1383, a 49 anni, a Santo Stefano, nei pressi di Castropignano, Campobasso. I pochi cavalieri ancora validi si assunsero il compito di portare in patria il suo corpo, dopo averlo imbalsamato con aromi e vino, e chiuso in una bara di legno di cipresso. Nel testamento redatto prima di morire assegnava alla moglie Bona di Borbona la reggenza degli stati di Savoia, raccomandando a lei di usare dolcezza e moderazione verso il figlio ventitreenne Amedeo VII, e a lui di essere sottomesso e obbediente alla madre.
• Contratti. Nel 1372 Amedeo VI aveva firmato un contratto con il duca Giovanni di Berry, che stabiliva il matrimonio tra i loro figli, rispettivamente, Amedeo VII, di anni 12, e Bona, di anni 5. Per stabilire la date del matrimonio Amedeo VI aveva consultato l’astrologo del re di Francia, Tommaso di Boulogne. Le nozze furono celebrate il 18 gennaio 1377 a Parigi, nel palazzo Saint-Pol, e dopo la cerimonia la giovane coppia andò in barca al Louvre, dove il duca di Berry offrì uno splendido festino. Dopodiché i due sposi, ancora bambini, si separarono. Solo nel marzo 1381 Amedeo VII andò a prendere la moglie per condurla con sé in Savoia, a Ripaille, in una dimora molto più modesta di quelle francesi a cui era stata abituata fino ad allora.
• Conte Rosso. Vestito di nero per il lutto del padre, dapprima Amedeo VII era stato soprannominato il ”Conte Nero dal chiaro viso”. Dopo la campagna di Fiandra Carlo VI, re di Francia, si rivolse al duca di Berry per far abbandonare il lutto al cugino Amedeo VII: "Bello zio, io voglio che vostro genero, il quale da che porta il lutto di suo padre viene chiamato il Conte Nero, sia da ora in poi conosciuto col nome di Conte Rosso. Durante tutta la guerra un nobile fuoco ha esaltato il suo coraggio. Sia dunque il colore del fuoco il suo colore". Quindi ordinò al suo tesoriere di acquistare in gran quantità fini stoffe scarlatte e panni di gran prezzo, affinché, per la festa organizzata in suo onore, tutti, compreso Amedeo, si vestissero di rosso. Da allora il soprannome ”Conte Rosso”.
• Nizza. Nel 1386 Amedeo VII negoziò il matrimonio di suo figlio Amedeo, allora di tre anni, con Maria, figlia del duca di Borgogna, di tre mesi. Con questo legame Amedeo VII si guadagnò il sostegno delle armi di quella casa nelle spedizioni per conquistare i territori da Sion fino a Nizza. Nel 1388, conquistata la città di Nizza e la sua contea, Amedeo VII prometteva ai nizzardi di proteggerli come la géline (la gallina) difende dall’uhan (il gufo), riparandoli soubz ses elles (ali), sé petits et tendres poussins.
• Calvizie. Siccome soffriva di una calvizie precoce, Amedeo VII si fece raggirare da un Grandville, sedicente figlio di un gentiluomo boemo, medico diplomato nelle università di Montpellier e di Padova Costui gli rasò i pochi capelli rimasti, gli prescrisse un lavaggio con acqua quasi bollente mescolata a varie sostanze, costringendolo a casa con la testa fasciata per quattro giorni, e per ravvivare il suo colorito gli somministrò delle pillole amare, provenienti da Cipro. Risultato: il Conte fu preso presto da un’estrema debolezza, non poté schiudere i denti, gli si gonfiò la lingua e lo prese una gran mal di testa. Il ventre gli si gonfiò a tal punto che due persone dovevano comprimerlo per paura che scoppiasse. Chiamato in fretta, il Grandville cercò di fargli aprire la bocca incitandolo a sternutire, ma il Conte gli rispose: "Farei più facilmente qualsiasi altro rumore. Possiate trovarvi al mio posto, voi che mi avete ridotto in questo stato". Su consiglio dei medici Omobono, Besuchi e Pasquali, fu tentato l’estremo rimedio di immergere il Conte in un bagno di sangue di volpe, ma invano. La preparazione prevedeva di mettere sul fuoco una caldaia piena d’acqua, di vino e d’olio, nella quale si buttavano e si facevano bollire le volpi vive. Il liquido era poi versato in una tinozza per il bagno (in quell’occasione le volpi furono catturate morte). Il Conte Rosso morì a 31 anni, la notte tra il I° e il 2 novembre 1391. Le esequie si svolsero il 2 aprile. Per far fronte alle spese Bona di Borbone vendette a Ginevra parecchi oggetti d’oreficeria e persino una collana ornata col motto del defunto.
• Condanne. Per la morte del Conte Rosso fu condannato il farmacista Pietro di Lompnès, accusato dal Grandville, a sua volta incarcerato e torturato dal duca di Berry. Squartato e poi decapitato sulla piazza di Chambéry nel mese di luglio del 1393, il patibolo era stato circondato di soldati che facevano un gran baccano con le armi per coprire la voce del suppliziato. Il corpo fu tagliato a pezzi, salato e messo in barili, poi inviato nelle città di Moudon, Avigliana e Ivrea in Piemonte. La testa fu portata a Bourg-en-Bresse, e attaccata a una delle porte della città.
• Riabilitazioni. Il 3 aprile 1395, a Bourg-en-Bresse, l’imputazione del Lompnès fu dichiarata nulla. Il farmacista era dichiarato innocente e si pregavano le città che avevano ricevuto i brani del suo corpo di seppellirli religiosamente. Intanto Il Grandville, rilasciato dal duca di Berry, aveva ammesso che la sua accusa era stata estorta sotto tortura: sospeso in aria per mezzo di corde e con i piedi trattenuti da grosse pietre era rimasto in questa posizione per un’intera giornata.
• Grandson. Anche il cavaliere del Vaud, Ottone di Grandson, fu accusato di aver avvelenato il Conte Rosso da Gerardo d’Estavayer, suo acerrimo nemico, che lo sfidò a duello nel 1396. Accettata la sfida il Grandson si era poi rivolto ad Amedeo III: "Ho considerato il tempo presente, come ciò che riguarda la vostra persona che siete il mio sovrano signore, e ho visto la vostra tenera età e come il vostro paese abbia bisogno di pace e che se noi, che siamo i vostri sudditi, fossimo più circospetti, dovremmo essere come una sola persona per aiutarvi a trascorrere il tempo fino all’età dell’uomo...". Nel duello fu abbattuto dal nemico, che gli alzò la visiera e gli forò gli occhi dicendo: "arrenditi e ritrattati". Ma invece di ritrattare il Grandson continuò a dire finché non morì: "Mi arrendo a Dio e a Madama di sant’Anna".