Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 20 maggio 2002
Il pasticcio dell’Istat e l’ipocrisia dei patti da rispettare
• Il pasticcio dell’Istat e l’ipocrisia dei patti da rispettare.
In Italia paghiamo molte tasse?
«Secondo uno studio della Kpmg che riguarda i 68 paesi più industrializzati, nel 2002 l’Italia è al primo posto in Europa e al terzo nel mondo per il peso delle aliquote fiscali sui redditi d’impresa, pari al 40,25 per cento, contro il 32,5 della Ue. A livello mondiale solo Giappone e Sri Lanka fanno pagare di più».
• La riforma fiscale è una delle priorità del governo Berlusconi. Cos’ha in mente il ministro Tremonti?
«Dal primo gennaio 2003 potrebbe esserci un nuovo sistema fiscale che, gradualmente, si baserà su due sole aliquote invece delle attuali cinque. Chi guadagna fino a centomila euro pagherà in base a un’aliquota del 23 per cento, chi guadagna di più avrà un’aliquota del 33 per cento».
• Pagheremo meno tasse?
«In base alla cosiddetta ”clausola di salvaguardia” nessun contribuente pagherà più di quanto paga oggi».
• Cos’è il ”concordato fiscale”?
«Concede ai lavoratori autonomi e alle imprese la possibilità di poter pianificare le tasse da pagare nei tre anni successivi. Il contribuente, in pratica, si mette d’accordo con gli uffici delle tasse sull’importo che verserà e, al termine dei tre anni, si fa il conguaglio in base ai reali introiti del soggetto e si stabilisce se deve versare di più o se ha un credito d’imposta».
• Secondo l’opposizione, la riforma Tremonti premierà i ricchi.
«Augusto Fantozzi, ministro delle Finanze nel governo Dini, dice che ”pagare le tasse è un obbligo, non un atto volontario. Con questo sistema è come se si trasformasse il modello unico in un canone d’affitto, contrattabile, cioè, periodicamente. Per questo si può parlare di una sorta di privatizzazione delle tasse: ma se si privatizza, finisce che chi ci guadagna è sempre il più forte, il meglio rappresentato e, in definitiva, il più ricco”».
• Cos’è la ”No tax area”?
«Si tratta di una franchigia di reddito sulla quale non si pagano tasse: dovrebbe essere compresa tra i 6.000 e i 9.000 euro. La detrazione diminuirebbe con l’aumentare del reddito fino a scomparire al raggiungimento dei 57.000 euro annui».
• Chi avrebbe più vantaggi?
«Il Centro di analisi delle politiche pubbliche dell’Università di Modena ha calcolato che chi guadagna fra i 6 e i 15 mila euro all’anno risparmierebbe in media 241 euro di imposte, cioè il 2,4 per cento, ma chi ne guadagna oltre 100.000 sarebbe sgravato di 27.137 euro, cioè il 14,1 per cento. Si tratta di dati medi che non rendono conto di tutte le situazioni individuali».
• E le tasse locali?
«Sono l’altro punto su cui si basa la critica del centrosinistra: la scorsa estate il governo ha deciso che d’ora in poi le Regioni dovranno colmare da sole il proprio disavanzo nel campo della Sanità, attraverso tasse locali, ticket e così via. Per coprire il deficit sanitario, stimato inizialmente in quattro miliardi di euro, alcune Regioni hanno deciso di introdurre un’addizionale Irpef. E poi ci sono anche i Comuni, che per far fronte alla riduzione dei trasferimenti dello Stato stanno aumentando le tasse. Secondo l’Anci, per il 2002 l’aumento dell’Irpef sarà applicato da circa 5.000 municipalità contro le 4.644 del 2001».
• Altri punti della riforma?
«Si parla di supersconti per chi ha persone a carico, per le spese destinate all’istruzione dei figli e per l’acquisto della prima casa. Se a Bruxelles sapessero....».
• Che c’entra Bruxelles?
«All’Unione Europea interessa soprattutto l’equilibrio dei conti pubblici. A regime i tagli previsti da Tremonti costeranno all’erario una bella cifra: il Tesoro dice 20-25 miliardi di euro, ma Victor Uckmar li calcola in 49 miliardi e l’Università di Bologna addirittura in 70. Cifre del tutto incompatibili con i vincoli di Eurolandia. Tremonti dice: intanto scatta un primo modulo della riforma, gli altri seguiranno. In che cosa consista questo passaggio ancora non lo sappiamo, ma i casi sono due: o è una tranche significativa, e allora rischiamo di non poterla applicare a parità di spesa, o è cosa simbolica, e allora l’intensità degli effetti sul livello dei consumi, nel caso che riguardi l’Irpef, e/o degli investimenti, se tocca Irpeg e Irap, risulterà marginale o addirittura nulla, con tanti saluti alla crescita economica. Perché tanto i consumi quanto il capitale di rischio rispondono a criteri psicologici e risentono molto del clima di fiducia generale. Dunque bisognerebbe optare per una coraggiosa terapia d’urto. Ma per far questo c’è una sola via: varare la riforma, strutturale e definitiva, delle pensioni».
• In settimana Moody’s ha detto che in Italia le pensioni sono sotto controllo.
«Ha detto che i conti del sistema pensionistico non vengono considerati preoccupanti. Sarebbero altri Paesi europei, non l’Italia, a dover ”fronteggiare pagamenti per pensioni in forte aumento nei prossimi anni”. Però Franco Modigliani, premio Nobel per l’economia, ha detto che la formulazione di Moody’s è inesatta o quanto meno confusa perché l’andamento demografico in Italia è più preoccupante che altrove, nel senso che si prospetta una sensibile diminuzione della popolazione. è anche vero, sempre secondo Modigliani, che grazie alla riforma pensionistica ”innovativa e coraggiosa” che fu introdotta da Lamberto Dini il deficit delle pensioni non è più legato all’andamento demografico ma a quello del Pil».
• Cos’è Moody’s?
«è un’agenzia internazionale di rating, come Standard & Poor’s o Fitch. Ha come compito quello di valutare i titoli a reddito fisso, quindi i titoli di debito, emessi da aziende, per esempio Fiat o Ibm, istituzioni finanziarie internazionali, come la Banca mondiale o la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, oppure stati sovrani, come l’Italia. Ogni agenzia di rating ha un proprio sistema di ”votazione”, stabilito in base a parametri che vanno dall’affidabilità finanziaria di chi ha emesso i titoli alla qualità dei suoi bilanci, alle previsioni di spese o incassi futuri».
• Come vengono attribuiti i voti?
«Hanno un sistema di lettere e numeri. Il giudizio più alto è ”Aaa”, seguito da ”Aa1”, ”Aa2”, ”Aa3” e così via. Noi siamo passati da Aa3 ad Aa2, e la principale motivazione è il calo del rapporto tra debito pubblico e Pil, che dal 123,2 per cento registrato nel 1995 è sceso nel 2001 al 107,5 per cento».
• Tradotto in euro quanto fa e perché?
«In un anno risparmieremo interessi su Bot e Btp fino a 270 milioni di euro su un costo totale di 75 miliardi. [6] Il fatto è che i giudizi emessi dalle agenzie di rating non hanno solo un valore ”morale”. Anzi, il loro effetto è eminentemente pratico. Poiché si tratta di enti indipendenti, il loro giudizio è accettato da tutta la comunità finanziaria. E, visto che valutano il grado di affidabilità di chi emette titoli, stabiliscono di conseguenza quanto può essere ”rischioso” l’investimento in quei titoli. Quindi il giudizio di Moody’s o di Standard & Poor’s stabilisce il ”costo” di ogni titolo per chi lo emette».
• Il Pil invece cresce poco, o no?
«Mercoledì l’Istat ha diffuso il comunicato sulla crescita del prodotto interno lordo prevista allo 0,1 per cento nel primo trimestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2001, precisando che era il dato peggiore da cinque anni a questa parte. Tre ore più tardi è arrivata sempre dall’Istat una singolare precisazione: tenendo conto che nei tre mesi in esame c’era stato un giorno lavorativo in meno, 63 invece di 64, la crescita del Pil poteva ritenersi corretta verso l’alto, a dati omogenei, dello 0,3/0,4 per cento. Un dato che è, effettivamente, tutta un’altra storia. Non si sa che cosa sia accaduto in quelle tre ore. Fatto sta che mentre veniva diffuso il secondo comunicato, Tremonti in Parlamento invitava a leggere meglio i dati e parlava della crescita economica in termini addirittura entusiastici. L’Istat sostiene che è il frutto di una semplice incomprensione delle agenzie di stampa, visto che il comunicato originale riportava correttamente la circostanza della giornata lavorativa in meno. Senza specificare, però, l’impatto ”numerico” di questa non proprio marginale differenza sul dato omogeneo. L’incidente ha fatto riaffiorare le vecchie polemiche sul rapporto fra il governo e l’Istat. E anche i fantasmi che hanno preceduto, e seguito, la nomina alla presidenza dell’Istat di Luigi Biggeri, decisa dal precedente governo di Giuliano Amato poco prima delle elezioni politiche del maggio 2001».
• Allora la ripresa c’è?
«Che ci sia nessun esperto lo mette in dubbio. Il problema è quanto sia vigorosa. I dati dell’Istat sul prodotto lordo del primo trimestre sono leggermente inferiori alle attese. Anche con la prevista accelerazione nei prossimi mesi, secondo quasi tutti i tecnici sarà impossibile raggiungere il 2,3 per cento di crescita media annua nel 2002. Tremonti ha espresso l’attesa di una ”crescita intorno al 2 per cento” come effetto di una accelerazione marcata nei prossimi trimestri. La Commissione europea ha espresso però un parere assai divergente da quello del governo italiano: il portavoce del commissario agli Affari Economici Pedro Solbes ha detto che dopo il dato sulla crescita del prodotto lordo italiano nel primo trimestre, più basso di quanto la Commissione aveva previsto, non si può essere ottimisti sulla crescita nell’intero 2002 che nelle previsioni di primavera avevano indicato all’1,4 per cento. La stessa Confindustria, pur ottimista sulla ripresa, crede che l’obiettivo del 2,3 per cento sarà mancato».
• Che dobbiamo concludere?
«Che il prodotto nazionale lordo crescesse nel primo trimestre del 2002 dello 0,1 per cento, o dello 0,3 per cento calcolando il differente calendario rispetto al 2001, era largamente prevedibile. Bastava volgere lo sguardo al rallentamento delle economie del Vecchio Continente e scontare il mancato traino della ripresa d’Oltreoceano. Non va dimenticato, poi, l’effetto Fiat: non sono più gli anni 70 quando Torino era un pezzo assai significativo del Prodotto interno lordo italiano, ma le difficoltà del maggiore gruppo industriale hanno sicuramente condizionato il rendiconto macroeconomico. Non c’è, dunque, da procedere ad alcun harakiri anche perché tutti gli istituti di ricerca sostengono che il peggio dovrebbe essere passato e che nella restante parte dell’anno l’economia è destinata ad accelerare. [8] Nessuno però si illude che il cambio di marcia possa avvenire a ritmi americani e si prevede, infatti, una crescita del Pil 2002 contenuta tra l’1,4 e l’1,5 per cento per cento. Il governo per ora resta fermo sull’indicazione del 2,3 per cento, ma lo stesso fatto che consideri queste cifre come obiettivi, e non stime, la dice lunga. Si tratterà di vedere se in sede di stesura del Dpef l’esecutivo vorrà correggere quel numero. Di sicuro, comunque, una crescita del Pil attorno all’1,5 per cento avrebbe la conseguenza di mettere in sofferenza gli obiettivi di finanza pubblica. Anche in questo caso, però, conviene restar calmi. L’Europa di queste settimane assomiglia a una pentola in ebollizione. E la temperatura potrebbe salire nei prossimi mesi in prossimità delle elezioni politiche in due Paesi-chiave come Francia e Germania. C’è poi da fare i conti con l’inatteso rafforzamento delle correnti politiche di stampo populista un po’ dovunque. è facile pensare quindi che il dibattito sul Patto di Stabilità previsto dal trattato di Maastricht si allarghi e che altri Paesi a rischio bocciatura - Portogallo, Francia e Germania - spingano per una revisione. E comunque se il centrosinistra fosse uscito vincitore dalle elezioni del 13 maggio avrebbe dovuto, grosso modo, fare i conti con gli stessi problemi».
• In cosa consiste il Patto di Stabilità?
«Introdotto nel 1999, impone che il rapporto tra deficit pubblico e Prodotto interno lordo dei Paesi che aderiscono all’euro debba progressivamente tendere a zero per poi passare in attivo. In ogni caso il rapporto non può superare il 3 per cento: per i Paesi che superano il tetto sono previste sanzioni. All’ultimo Consiglio europeo di Barcellona i capi di Stato e di governo di Eurolandia si sono impegnati a portare i bilanci pubblici in pareggio o in attivo entro il 2003-2004».
• Molti sostengono che il Patto andrebbe cambiato, se non abolito.
«Giorgio La Malfa, presidente della Commissione Finanze della Camera, dice che dovrebbe tener conto dell’andamento del ciclo. Allentarlo quando è negativo, rafforzarlo quando è positivo. Non basta: bisognerebbe distinguere le spese correnti dalle spese di investimento. Queste ultime possono essere fatte col debito che si ripaga con la produttività ricavata. La terza modifica riguarda i compiti della Banca centrale che, insieme ai ministri dell’Economia, non dovrebbe lottare solo contro l’inflazione ma anche per lo sviluppo e l’occupazione, come fa la Fed americana».
• La sinistra cosa ne pensa?
«L’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco è radicalmente contrario allo slogan ”rivedere il patto di stabilità”, perché, dice, ha un significato univoco e pericoloso: lassismo finanziario».
• Come finirà?
«La Malfa dice che ”i patti sono i patti e vincerà la linea che bisogna rispettarli con l’ipocrisia, però, di consentire ai paesi grossi come la Germania di violarli. E, quando mai qualcuno li volesse cambiare, insorgerà la sinistra sostenendo di aver pagato in termini elettorali le restrizioni del patto e che quindi ora tocca alla destra subirne le conseguenze politiche. Ma così l’Europa si ammazza”».