Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 4 aprile 2004
Secondo alcune fonti, i fornai addetti alla preparazione dei pani della proposizione e i fabbricanti di profumi da ardere nel Tempio ricevevano ogni giorno un salario molto alto per i tempi: dapprima 12 mine, che poi diventarono 24 (rispettivamente un ottavo e un quarto di talento)
• Secondo alcune fonti, i fornai addetti alla preparazione dei pani della proposizione e i fabbricanti di profumi da ardere nel Tempio ricevevano ogni giorno un salario molto alto per i tempi: dapprima 12 mine, che poi diventarono 24 (rispettivamente un ottavo e un quarto di talento).
• Il termine ’ûmman, usato indistintamente per indicare l’artigiano, l’artista, il salassatore, il chirurgo, il bagnino e colui che praticava la circoncisione.
• Le fognature, alte fino a 2 metri e 36 e larghe poco meno di un metro, erano provviste di scolatoi per ricevere acqua dalle strade e bocche d’accesso per la pulizia.
• Gerusalemme era divisa in due parti: a ovest la città alta, a est quella bassa. Lungo le strade, le botteghe degli artigiani. Tutti coloro che svolgevano la stessa professione si raggruppavano nello stesso quartiere. I tessitori, per esempio, si trovavano nella parte meridionale della città bassa, presso quella ch’era detta Porta sterquilina. Si trattava di una zona malfamata, dal momento che i tessitori non godevano di molta stima fra i concittadini (la tessitura era un lavoro da donne).
• Nei dintorni della città si coltivavano viti, fichi, legumi, cereali e ulivi, che crescevano fitti nelle campagne circostanti. Per ottenere parte dell’olio necessario al Tempio, però, si acquistavano olive dalla Perea. Siccome la provincia era considerata territorio pagano, la lavorazione dei frutti avveniva nei frantoi di Gerusalemme.
• Secondo una leggenda del Talmud "i boschi di Gerusalemme erano di cinnamomi; quando venivano arsi diffondevano un gradevole profumo".
• I prezzi a Gerusalemme erano alti: per esempio con un asse si potevano comperare tre-quattro fichi. Per la stessa cifra in campagna se ne prendevano dieci, se non addirittura venti.
• Sposare una donna di Gerusalemme costava molto. Un giovane non residente nella città santa, per prendere in moglie una ragazza gerosolimitana, era obbligato a donare al padre di lei una quantità d’oro pari al peso della futura sposa. Allo stesso modo, una ragazza forestiera doveva portare allo sposo della città una dote in oro pari al peso di lui.
• L’educazione delle ragazze avveniva in famiglia, ma i loro compiti si limitavano ai lavori domestici (cucito e tessitura) e alla custodia dei fratelli più piccoli. Giunte all’età di dodici anni, le fanciulle venivano promesse in matrimonio, spesso a qualche parente che ne faceva richiesta. Il fidanzamento prevedeva la stesura di un contratto matrimoniale per stabilire la dote. Da quel momento la ragazza era considerata ”sposa”: poteva essere ripudiata, punita in caso di adulterio, restare vedova. Il passaggio definitivo dall’autorità paterna a quella del marito avveniva, però, con il matrimonio, celebrato un anno dopo il fidanzamento. Dopo, la coppia andava a vivere presso la famiglia dello sposo.
• Le donne ebree di alto rango quando uscivano di casa avevano il volto coperto dal velo. Stare a testa scoperta era considerato motivo sufficiente per essere ripudiate. Alcune erano così scrupolose da restare con il viso celato anche in casa. Solo il giorno del matrimonio la donna aveva il permesso di mostrarsi, purché fosse ancora vergine. Diversa la condizione della popolana, che aiutava spesso il marito nel lavoro o nella bottega. Così anche in campagna non era raro vedere donne non velate lavorare i campi, recarsi alla fontana, vendere olive di porta in porta, servire a tavola.
• Il marito aveva il dovere di assicurare vitto, alloggio e abiti alla moglie; aveva inoltre l’obbligo di pagare il riscatto nel caso fosse fatta prigioniera, procurarle farmaci nella malattia, darle sepoltura dopo la morte (anche gli uomini più poveri si procuravano due suonatori di flauto e una prefica per il rito funebre, ed eventualmente pronunciavano un discorso commemorativo).
• I doveri di una sposa: preparare i pasti, pulire la casa, fare il letto al marito, allattare i figli, lavorare la lana, lavare mani viso e piedi del consorte. Lo sposo poteva impadronirsi di ciò che sua moglie trovava e dei guadagni del suo lavoro. Era ammessa la poligamia. Pochi i casi in cui era la donna a poter chiedere il divorzio: se il marito svolgeva un’attività ripugnante, se la costringeva a comportamenti indecorosi, se era malato di lebbra.
• Tra i mestieri disprezzati, quelli legati al trasporto di merci (asinaio, cammelliere, marinaio) perché potevano indurre al furto. Mal visti anche i pastori che conducevano speso le greggi a pascolare su proprietà altrui. I bottegai potevano truffare i clienti, i medici erano accusati di preferire i ricchi e trascurare quelli che potevano pagare poco (un detto del tempo: "Il migliore dei medici è buono per l’inferno"), i macellai potevano vendere carni provenienti da animali malati. Non disonorevoli ma ripugnanti erano considerate le attività di raccoglitore di escrementi di cane, fonditore di rame e conciatore (in questi casi le donne potevano chiedere il divorzio dai propri mariti). Sospettati di immoralità erano gli orefici, i venditori ambulanti, i tessitori e i sarti perché trattavano con donne. Considerati dei veri truffatori, e perciò privi di diritti civili e politici, erano i giocatori di dadi, gli usurai, gli organizzatori di giochi d’azzardo.
• Giornalieri, ovvero coloro che venivano assoldati da qualche riccone di Gerusalemme perché facesse da messo. I giornalieri guadagnavano circa un denaro al giorno più il vitto.
• A causa della grande richiesta di colombe per i sacrifici al Tempio, gli speculatori facevano salire il costo degli animali fino a cento volte il prezzo reale.
• I tesorieri del Tempio vendevano il sangue delle vittime sacrificali agli ortolani, che l’utilizzavano come fertilizzante nelle colture di legumi, ceci, uva, olive e fichi.
• Detriti e rifiuti erano scaricati nella valle dello Hinnon, un luogo disprezzato fin dall’antichità: legata al culto di Moloch, si diceva lì fosse la Gehenna (inferno). Ancora oggi vi si depositano materiali di sterro, carogne e scarichi di ogni sorta.
• Tutte le porte che si dovevano attraversare per entrare nel Tempio erano rivestite d’oro e d’argento. Nel sagrato delle donne erano d’oro i lampadari. D’oro anche molte coppe e gli utensili usati per i sacrifici. Alcune fonti indicano che la facciata del Tempio era rivestita di lastre auree. Punte d’oro svettavano sul tetto per allontanare gli uccelli, soprattutto corvi.
• La ricostruzione del Tempio iniziò nel 20 a.C. e non terminò prima del 62 d.C.. Alla chiusura del cantiere, 18 mila operai si trovarono senza lavoro. All’inizio erano stati assunti 10 mila carpentieri mentre 1.000 sacerdoti trasformati in artigiani.
• Il tessuto per fare la veste indossata da sommo sacerdote nel Giorno delle espiazioni arrivava dall’India, i dodici gioielli del suo pettorale erano i più preziosi al mondo. Il vino, l’olio e l’incenso per i rituali erano di prima qualità. Ogni giorno durante le feste di Pasqua erano sacrificati due tori, un ariete, sette agnelli e un capro. In circostanze particolari si offrivano ecatombe: per esempio quando il Tempio fu ultimato Erode fece uccidere 300 buoi.
• Durante le feste principali "tutti devono comparire davanti a Dio [nel Tempio], tranne il sordo, l’idiota, il minorenne, l’androgino, le donne, gli schiavi non affrancati, lo zoppo, il cieco, il malato, l’anziano e chiunque non riesce a salire a piedi sulla montagna del Tempio".
• Alcuni artigiani lavoravano stabilmente per il Tempio: primi fra tutti coloro che preparavano i profumi da ardere e i pani per il rito della proposizione. Occorreva inoltre aver cura delle cortine (i tendaggi che dividevano le stanze): ogni anno 82 ragazze ne preparavano due. Impiego fisso avevano orafi e barbieri. C’era poi un fontaniere capo che riforniva d’acqua il Tempio, e un medico per curare i sacerdoti che si ammalavano (capitava spesso, dal momento che erano obbligati a camminar scalzi anche d’inverno e si nutrivano quasi esclusivamente di carne).
• Per tutta la settimana che precedeva il Giorno delle espiazioni, il sommo sacerdote del Tempio aveva l’obbligo di trascorrere le notti in una stanza isolata, per evitare che si contaminasse. Si pensa che quest’usanza fosse stata decretata verso il 20 d.C., dopo che il sommo sacerdote Shimeon alla vigilia dei festeggiamenti fu colpito dallo sputo di un arabo, la qual cosa lo rese impuro, e quindi non idoneo a officiare le celebrazioni del giorno successivo.
• I più ricchi organizzavano sovente sontuosi banchetti. Quando s’invitava qualcuno, era buona creanza comunicargli il nome degli altri commensali e poi, il giorno stesso del pranzo, mandargli due messaggeri che avevano il compito di ripetere l’invito. Un telo sospeso all’esterno della casa indicava agli ospiti ch’erano ancora in tempo per entrare (veniva tolto dopo che era stata servita la terza portata).