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 2002  aprile 22 Lunedì calendario

I grandi capi di Cosa Nostra sono pronti ad arrendersi per sempre?
«Pietro Aglieri, boss di nuova generazione ma già sepolto da un’infinità di ergastoli, il 28 marzo ha inviato una clamorosa lettera al procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna e al procuratore di Palermo Pietro Grasso: fattosi portavoce di tutta l’organizzazione, rinnega un passato di stragi, ammette per la prima volta l’esistenza della mafia, fa capire che in cambio di una resa onorevole i boss sarebbero disposti a sciogliersi definitivamente»

• I grandi capi di Cosa Nostra sono pronti ad arrendersi per sempre?
«Pietro Aglieri, boss di nuova generazione ma già sepolto da un’infinità di ergastoli, il 28 marzo ha inviato una clamorosa lettera al procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna e al procuratore di Palermo Pietro Grasso: fattosi portavoce di tutta l’organizzazione, rinnega un passato di stragi, ammette per la prima volta l’esistenza della mafia, fa capire che in cambio di una resa onorevole i boss sarebbero disposti a sciogliersi definitivamente».
• Perché Aglieri ha scritto direttamente a Grasso e Vigna? «Per evitare incomprensioni e strumentalizzazioni, sono parole sue, ”perché questa volta non si tratta di una semplice dissociazione” ma qualcosa di più. Chiede ”la possibilità di far incontrare tutti i capi” per discutere quella che definisce ”una svolta epocale”. Un grande summit nei ”bracci” delle carceri speciali, una sorta di ultima assemblea generale della Cupola prima di deporre le armi e sparire» .
• Insomma, questi boss, che vogliono? «Si vogliono riunire per poi dettare le proprie condizioni. Promettono di consegnarsi come mafiosi in cambio di ”indagini più giuste”».
• E che vuol dire? «Significa che si arrenderanno ammettendo le loro responsabilità, ma mai quelle di altri, in cambio di una revisione dei loro processi. Non è una dissociazione ”dolce” e non è un vero e proprio pentimento, è un tentativo di saltare definitivamente il fosso senza marchiare tutti i capi in galera come ”infami”» .
• C’è stata una trattativa segreta con i procuratori?
«Sì, almeno da 18 mesi: dentro le carceri, colloqui riservatissimi e sempre smentiti, incontri che hanno sollevato molte polemiche negli ambienti antimafia. Il primo passo l’hanno fatto alcuni superboss da qualche anno in galera: Carlo Greco, Giuseppe Madonia, Salvatore Buscemi, Filippo Graviano. Avevano manifestato, probabilmente sotto la regia di Aglieri, la loro disponibilità a ”dissociarsi” in cambio di sconti di pena e carcere meno duro. Ma la svolta è arrivata nei mesi scorsi. Prima con l’adesione dei Corleonesi duri e puri che hanno inviato come loro ”ambasciatore” pronto a dialogare Salvatore Biondino, un fedelissimo di Totò Riina. Poi l’improvvisa uscita di Pippò Calò a un processo, un vero e proprio messaggio a tutti gli altri boss detenuti: ” vero, sono un mafioso, ho fatto parte della Commissione dal 1979 al 1981, giudicatemi per questo ma non voglio essere accusato di stragi e di omicidi che non ho commesso... mi dissocio ma non mi pento, non farò nomi di altri”» .
• Violante dice che la dissociazione è una trappola che Provenzano orchestra da anni .
• «Nel giugno del 2000 ”L’Espresso” intervistò su quest’argomento Alfonso Sabella, braccio destro di Caselli che ha coordinato gli arresti di Aglieri, Greco, Brusca, Bagarella, Cuntrera: disse che il boss di Corleone stava utilizzando sistemi nuovi per tornare alla vecchia Cosa Nostra».
• Sarebbe a dire? «Quella che pensava agli affari e alla politica evitando contrapposizioni con lo Stato. Provenzano vuole convincere gli italiani che Cosa Nostra non esiste più. Mira a un abbassamento della tensione. Dando l’ok alla dissociazione dei suoi fedelissimi tenta di far ottenere loro condizioni carcerarie migliori e di dimostrare che esiste una via alternativa alla collaborazione».
• Fino ad ora mi ha raccontato la versione di ”Repubblica”. « vero. Quella di mercoledì scorso, per essere precisi. Poi anche loro hanno corretto il tiro. Grasso, intervistato dalla ”Stampa”, ha subito precisato: ”Non si tratta di una resa, e neppure di dissociazione, né tantomeno di una corsa alla collaborazione di massa degli uomini di Cosa Nostra”. La sua interpretazione è opposta: la lettera di Aglieri serve a chiarire che non v’è nessuna intenzione, da parte della mafia, di arrendersi, nessuna ansia di confessioni o di resa».
• Puntano alla revisione dei processi? «Aglieri è consapevole delle difficoltà che incontrebbe la proposta di applicare la dissociazione ai mafiosi e perciò si avventura in un ragionamento che, come fine, si propone la richiesta di ”processi equi”, che sfuggano alla ”logica della guerra e dell’emergenza” e, dunque, delle ”condanne sommarie basate esclusivamente sulle verità di parte dei pentiti”, e il ritorno alla giustizia ordinaria. Una simile proposizione ha fatto pensare che Cosa Nostra puntasse alla revisione dei processi».
• Come? «Magari facendo ricorso ad una legge che mettesse in discussione tutta l’attività giudiziaria sulla scorta di un presunto scarto costituzionale tra quanti vengono giudicati adesso e quanti sono stati condannati prima dell’introduzione della riforma del giusto processo. Esiste già in Parlamento una proposta di questo tipo».
• Grasso è stato molto duro in proposito. «Ha detto: ”Il tema della lotta alla mafia è attraversato da molti fermenti e credo che instaurare un clima di falso dialogo potrebbe creare le premesse per un certo sconvolgimento delle regole. Prendiamo per esempio il problema della revisione dei processi. in discussione una legge che consente a persone condannate di rivolgersi alla Corte di Giustizia di Strasburgo per chiedere di pronunciarsi sulla legittimità della condanna loro inflitta con le regole antecedenti all’entrata in vigore della riforma cosiddetta del giusto processo. Tale proposta di legge ha già ricevuto il parere favorevole della Commissione giustizia della camera. Non voglio fare esercitazioni da malpensante, ma non pensate che un clima di vogliamoci bene, al di là delle intenzioni del legislatore, agevolerebbe il percorso delle legge?”».
• Lei che ne pensa? «Secondo me la lettera di Aglieri batte piste più realistiche. Quali? Per esempio il ripristino della legge Gozzini, attualmente negata ai mafiosi. ovvio che una simile eventualità sottende la sostanziale abolizione dell’ergastolo, o quantomeno la possibilità che anche i condannati al carcere a vita non perdano la speranza di poter accedere ai benefici della legge, sedici anni invece dell’ergastolo. E cosa conterrebbe l’altro piatto della bilancia su cui poggia la proposta? Una disponibilità ad avviare dall’interno della mafia una certa opera di revisione, in direzione della negazione di tutto ciò che ha rappresentato finora il substrato ”ideologico-culturale” di Cosa Nostra. Una resa senza altre ”vittime”. Secondo questa logica, gli stessi leader mafiosi dovrebbero assumersi il compito del ”recupero” del popolo mafioso. Operazione che, secondo Aglieri, nessun funzionario statale potrebbe portare a buon fine perché sarebbe vista, in carcere ma anche nel territorio, in chiave esclusivamente repressiva. Ma per poter svolgere tale funzione, i detenuti fautori della proposta dovrebbero aver la possibilità di consultarsi agevolmente».
• Il perno della lettera, quindi, è l’eliminazione del 41 bis? «Aglieri scrive: ”Non è demonizzando l’avversario, sempre se fosse tale, o umiliando la sua dignità solo per uno spirito di rivalsa... che si riuscirà a risolvere queste complesse questioni”. Attenzione ad un inciso, quel ”sempre se fosse tale”, quasi dando per scontato che mafia e Stato non siano avversari» .
• Quindi per ora la resa non c’è? «Si potrà cominciare a parlare di resa della mafia quando i cittadini vedranno il cambiamento delle condizioni ambientali. Quando i commercianti non dovranno più essere salassati dal racket delle estorsioni, gli imprenditori potranno partecipare alle gare d’appalto senza subire le prevaricazioni di imprese più forti perchè protette dalla mafia, quando si consegneranno tutti i latitanti e verrano aperti gli arsenali pieni di esplosivi, quando scompariranno il contrabbando e le attività illegali come il totoscommesse e il traffico della droga che è ancora una piaga per le famiglie» .
• Questo è quel che ha detto Grasso. «Il fatto è che la Mafia ha una nuova ”filosofia fiscale”, sintetizzabile nello slogan ”Pagare meno, pagare tutti”. Nessuno più chiede le centinaia di milioni alle vittime, e non solo perché non c’è più la lira: bastano duecentocinquanta euro al mese, in cambio della protezione. Una tassa, appunto, che gli imprenditori hanno quasi metabolizzato come spese di gestione. incredibile come questa strategia possa essere vincente per le cosche. Pensi che l’unico processo istruito di recente contro il racket si è concluso con le condanne per i commercianti taglieggiati i quali, piuttosto che denunciare, hanno preferito il trattamento da delinquenti».
• Insomma, il segnale più che quelli in galera lo devono dare quelli fuori. «Il guaio è che non sono tutti d’accordo: dietro il boss che scrive ai procuratori c’è il gruppo dei mafiosi ”politici” che ha dovuto subire le stragi del 1992 volute dai Corleonesi, una dozzina di capimafia di Palermo e di Caltanissetta. Contro la ”trattativa” si sono già schierati Totò Riina e Leoluca Bagarella, anche se Biondino si è incontrato due volte con Vigna, prima e dopo la lettera di Aglieri. E poi c’è una terza fazione: gli uomini d’onore in libertà che negli ultimi tempi hanno fatto affari con gli appalti e con le estorsioni».
• Chi sono? « un clan di quarantenni stretto tra la voglia di continuare il business e quella di prendere il comando totale di Cosa Nostra. A tenere l’equilibrio è rimasto ormai solo il vecchio capo Bernardo Provenzano. Ma anche lui sta per uscire di scena. C’è chi dice che vorrebbe farsi da parte e andare in ”pensione”, c’è chi sostiene che potrebbe consegnarsi. Di sicuro sta vendendo tutti i suoi beni. Un patrimonio immenso disperso tra migliaia di prestanome».
• Ma com’è che non riescono ad arrestarlo? «Molte persone continuano a garantirgli la latitanza. Sono decine gli affiliati sotto controllo. Loro lo sanno e si adeguano alle regole imposte dai capi. Durante i pedinamenti si parlano soltanto con cenni della testa e quando raggiungono l’accordo si limitano a una stretta di mano. I vertici di Cosa Nostra fanno affari da miliardi ma rifiutano l’uso delle tecnologie, e questo li rende più sfuggenti. Antonino Giuffrè, il boss arrestato martedì, viveva in un ovile senza elettricità: per scaldarsi si affidava a una stufetta a gas e alla compagnia di una pecora. Non ha fatto resistenza, ma è riuscito a ingoiare un foglio che conservava in tasca. Probabilmente un altro messaggio, forse più esplicito, che gli era stato fatto recapitare da Provenzano» .
• Giuffré era uno dei tre capimandamento ai quali era affidata la gestione dell’organizzazione. «Zu’ Binnu gli aveva assegnato tutta la provincia palermitana. Gli altri due capimandamento sono Matteo Messina Denaro, che controlla Trapani, e Salvatore Lo Piccolo, che gestisce Palermo».
• Messina Denaro non è quello che ”L’Espresso” ha definito ”Il nuovo capo della mafia”? «Bravo. Giusto un anno fa, il numero del 12 aprile. Ci hanno fatto la copertina: ”Sembra un ragazzino, ma è l’erede di Provenzano”» .
• Che sa di lui? « ricercato dal 1993 per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto d’esplosivo. stato condannato all’ergastolo per le bombe di Firenze, Milano e Roma, che causarono dieci morti, decine di feriti e danni miliardari al patrimonio artistico. Ha partecipato a una delle esecuzioni più feroci di Cosa Nostra: nell’estate del 1992, insieme con l’amico Antonino Gioè, prima ha ucciso il boss di Alcamo Vincenzo Milazzo, poi ha strangolato la sua donna, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi» .
• C’è poco da stare allegri.
«Venerdì prossimo compirà quarant’anni. A 14 anni già sparava, a 18 uccideva, a 31 metteva le bombe. Dice che con le persone che ha ammazzato si potrebbe fare un cimitero. Gli amici lo chiamano ”Diabolik”, perché è appassionato dei fumetti del ladro in calzamaglia e perché si sente imprendibile. un femminaro. E un appassionato d’auto: voleva farsi montare due mitra fuori dal cofano della macchina blindata, chissà in che film avrà preso l’idea. ricco, ricchissimo: la sua famiglia controlla grosse cave di sabbia. Ed è compare dei più grandi narcotrafficanti del mondo, i Cuntrera-Caruana. Fa i soldi col pizzo e con la droga».
• E Don Ciccio, il padre? « stato lo storico capobastone del mandamento di Castelvetrano e poi dell’intera provincia di Trapani. Era un appassionato d’arte e d’archeologia, fu pure sospettato del furto dell’Efebo di Selinunte. Fu per 20 anni campiere della famiglia D’Alì, quella del senatore di Forza Italia Antonio. Nel 1998 lo trovarono morto sul greto di un fiume, e Matteo ne prese il posto»..
• E fece carriera. «Riina lo aveva inserito nella ”Supercosa”, il gruppo ristretto d’uomini d’onore ammessi ai segreti delle stragi. Provenzano all’inizio lo temeva tanto da preferirgli Aglieri, Spera e Giuffré. Ma ora sono tutti e tre in galera». .
• E lui è pronto a diventare il capo. «Giuseppe Lumia, l’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, ha detto che se paragonassimo Cosa Nostra a una società per azioni si potrebbe dire che Provenzano sta passando dal ruolo di amministratore delegato a quello di presidente. Messina Denaro è il primo candidato a prendere il suo posto» .
• In conclusione, c’è da sperare che il prossimo arresto eccellente sia ”Diabolik”. « nel mirino da otto anni, i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e gli uomini della Criminalpol gli hanno arrestato una cinquantina di fiancheggiatori, hanno trovato le sue tracce in una decina di appartamenti, hanno preso Vincenzo Sinacori, il suo braccio destro. Ma lui cambia covo con un ritmo impressionante: neanche i suoi autisti sanno dove dorme. I magistrati hanno provato a mettere una microspia sulla tomba del padre. L’ha trovata la sorella, tra i fiori. Sa che ha detto? ”Santa Rosalia, la tomba di papà è come il Grande fratello!”» .