Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 15 aprile 2002
Il calcio mondiale è sull’orlo della bancarotta?
«Sì, e non da ora
• Il calcio mondiale è sull’orlo della bancarotta?
«Sì, e non da ora. Nel giugno del 2000 ”Time” fece una copertina dal titolo ”Soccer Suicide”».
• Che dicevano?
«Spiegavano che l’economia del cosiddetto Disney-Calcio non avrebbe funzionato, perché andare allo stadio non è come andare al cinema e, soprattutto, i tifosi non chiedono solo intrattenimento. O meglio: chiedono un tipo d’intrattenimento più complesso. Ma gli ottimisti dicevano che non era vero, e che era giusto che i biglietti per lo stadio costassero sempre più, e che le partite in tv cominciassero a diventare a pagamento. ”Il calcio ha finalmente compreso il suo valore”, ripetevano».
• Invece?
«Invece è una faccenda più complessa. Pensavano di poter trattare i tifosi come dei ”tossicodipendenti”, erano convinti che avrebbero pagato qualsiasi cifra pur di vedere le partite. Ma hanno fatto male i loro calcoli: qualsiasi spacciatore sa che se comincia a tagliar troppo la merce prima o poi i suoi clienti andranno a rifornirsi da un’altra parte».
• Quello era il periodo in cui il Real Madrid rischiava il fallimento. Come ha fatto a superare la crisi?
«Avevano cinquecento miliardi di lire di debiti e sembravano spacciati. Invece ne sono usciti, più forti di prima, e macinano utili. Hanno venduto al comune di Madrid la Ciudad Deportiva, il centro tecnico del club: non si trova in provincia come Milanello o Appiano Gentile, ma in piena città, sul Paseo della Castellana. Incasso: 590 miliardi» .
• Così son capaci tutti.
«Le darei ragione se non fosse che per il 2004 costruiranno a Barajas, verso l’aeroporto, un centro dieci volte più grande: campi, palestre, zona residenziale per i giocatori, parco a tema» .
• E chi paga?
«Nell’estate del 2000 hanno eletto un nuovo presidente: Florentino Perez, capo di un gruppo di costruzioni che fattura 3 miliardi di euro. uno di quelli che credono nel Disney-Calcio. Ogni anno compra un grandissimo calciatore, è l’unico acquisto importante, ma dev’essere una vera star: finora Figo nel 2000 e Zidane nel 2001, due che hanno vinto sia il pallone d’Oro che il premio Fifa per il miglior giocatore del mondo. Poi ne gestisce i diritti d’immagine personali: dichiarazioni, foto degli allenamenti. E li fa scorrere su diverse piattaforme: il magazine ”Halamadrid”, 120mila copie; il canale ”Realmadrid Tv”, 52mila abbonati; il sito web, un milione di visite. Pensi solo ai palchi vip: hanno aumentato gli incassi dell’ottanta per cento» .
• Adesso la crisi ha colpito la Germania.
«Sì, e lì riguarda tutto il sistema. Il fallimento di Kirch è stato una bella botta: il magnate bavarese era diventato una delle principali fonti di guadagno delle squadre della Bundesliga, pompando sempre più soldi pur di assicurarsi i diritti esclusivi per le dirette per le sue tv. sempre stato un visionario e, quando ha creduto in una cosa, non ha badato a spese per ottenerla».
• Qual è stato il suo errore?
«Quel che l’ha fregato è l’eccessiva fede nelle potenzialità della televisione e dello sport: era convinto che l’esclusiva sul calcio e sulla Formula1 gli avrebbe fattofare affari d’oro con le sue tv, ”Sat1”, ”Dsf”, la deficitaria pay-tv ”Premiere”, un’altra delle principali cause del fallimento» .
• Quando è iniziato il crollo?
«Nel 1992 si era assicurato i diritti per le dirette delle partite per poco più di 70 milioni di euro. Nel 2000, al momento di prolungare il contratto fino al 2004, arrivò a 375 milioni annui. Un fiume di denaro che ha spinto le squadre a partecipare al generale rincaro dei costi di giocatori».
• Che dal 1994 in Germania sono raddoppiati.
«Il problema riguarda soprattutto le società medio-piccole: senza i soldi di Kirch non sanno come andare avanti».
• Questo spiega il panico degli ultimi giorni.
«Altro che. Prendiamo il caso più estremo, quello del St.Pauli, una squadra d’Amburgo: i soldi di Kirch costituiscono il 69 per cento degli incassi. E non va meglio ad altri club: SC Freiburg, Hansa Rostock, 1860 München con le rate del gruppo bavarese coprono il 55 per cento degli introiti. Anche una grande squadra come il Kaiserslautern arriva al 48 per cento, il Bayern München, campione d’Europa uscente, al 44 per cento» .
• Schroeder ha promesso un intervento statale.
« successo un putiferio: soldi pubblici per pagare i super stipendi dei goleador? Il governo è stato costretto a smentire in fretta e furia».
• In Inghilterra le cose non vanno meglio.
«Lì la crisi è cominciata nelle serie inferiori. La scorsa estate, la piattaforma digitale ITV Digital, di proprietà dei potenti network terrestri Carlton e Granada, ha firmato un onerosissimo contratto triennale per assicurarsi i diritti della Football League, i campionati di prima, seconda e terza divisione, equivalenti alle nostre B, C1 e C2. stata una mossa coraggiosa, ma rischiosa, perché il gruppo aveva già speso molto per i diritti della Champions League» .
• Avevano anche un concorrente ostico come BSkyB.
« vero: Sky opera via satellite e via cavo già da dieci anni e vanta circa cinque milioni di abbonati. Viceversa, ITV Digital esiste da 18 mesi, ha raggranellato appena 1,2 milioni di abbonati e soprattutto usa una piattaforma, il digitale terrestre, che ha avuto molti problemi tecnologici: apparentemente più conveniente, in realtà ha faticato parecchio a superare varie magagne pratiche».
• Risultato?
«ITV Digital, che attualmente perde circa 1,6 milioni di euro al giorno, è entrata in amministrazione controllata. Entro poche settimane dovrebbe arrivare la bancarotta: alla società sono rimasti liquidi per appena 34 milioni di euro. Il fatto è che l’audience si è rivelata microscopica: quasi sempre il pubblico negli stadi era superiore a quello televisivo che, in alcuni casi, non arrivava alle mille unità. E stiamo parlando di pay-tv, non di pay per view».
• E come finirà?
«Secondo me con una strage: almeno venti società rischiano grosso. I contributi televisivi erano di 4 milioni di euro in prima divisione, 2 milioni in seconda, 1,2 milioni in terza. Molti club hanno firmato contratti pluriennali con i giocatori. Al tempo sembrava una scelta logica, ora si sta rivelando disastrosa».
• La Football League non ha speranze di vedere quei soldi?
«Keith Harris, il presidente, l’ha giurata a Carlton e Granada, gli azionisti di Itv. Sa cos’ha fatto? Ha chiesto ai tifosi di boicottare i programmi delle loro emittenti. Non basta: ha chiesto agli sponsor delle 72 squadre che giocano tra le First e la Third Division di non comprare più spazi pubblicitari su quelle reti» .
• Non ho capito cosa hanno da temere le società più grandi, quelle di Premier League.
«Il fatto è che Harris è uno tosto ed è andato a lamentarsi con l’Uefa, e quelli gli hanno promesso che se Carlton e Granada non pagheranno i debiti saranno costretti a trasmettere la Champions League in chiaro» .
• Anche da noi le pay tv non se la passano bene.
«Sono disperate: ogni anno spendono quattrocento milioni di euro e ne incassano cento» .
• Beh, non è proprio così...
«L’ho capita: lei vuol dire che dovremmo calcolare i ricavi che arrivano da chi si abbona alle partite e poi chiede anche il cinema, i documentari eccetera. Fatto sta che l’anno scorso la sola Stream aveva un buco di 300 miliardi. Il problema sono quelli che guardano le partite a sbafo, almeno la metà del totale, i bar che pagano un abbonamento individuale e fanno vedere la partita a centinaia di persone, le tv locali che trasmettono spezzoni di straforo, i gol rapinati e messi online da certi siti internet...».
• Insomma, i conti non tornano.
«Fosse per le pay-tv, da tifoso potrei anche dire: e chi se ne frega! Ma non è così. Le nostre squadre hanno bisogno di quei soldi per andare avanti: sono il 40-50 per cento delle entrate dei club. Juve e Milan prendono circa cento miliardi l’anno, l’Inter una novantina, la Roma poco più di settanta. E come non bastasse, nonostante questi soldi hanno praticamente tutte dei bilanci in perdita. Figuriamoci quando quei soldi non arriveranno più» .
• Per adesso il caso più eclatante è quello della Fiorentina.
«Vuol sapere la verità? L’intero sistema del calcio italiano si sta avvitando in una spirale economica di cui non vedo vie d’uscita, se non attraverso una serie di dissesti economici forse peggiori di quello che ha colpito la società di Cecchi Gori».
• Addirittura?
«Guardi, sta tutto in due cifre: la serie A fattura 1,24 miliardi di euro e ne perde a livello operativo 0,72» .
• Come un’azienda tecnicamente fallita...
«Esatto. E ciò per un’esplosione dei costi che va al di là di qualsiasi raziocinio, causata principalmente da ingaggi ai calciatori e commissioni ai procuratori. Peccato perché così il calcio sta perdendo l’occasione di diventare qualcosa di industrialmente importante. E tutto sul filo di un paradosso: mentre la pay-tv immetteva nel sistema risorse straordinarie, le perdite crescevano».
• E la colpa di chi è?
«I veri nemici del calcio sono i calciatori che pretendono 15 miliardi di lire l’anno, invece che ”accontentarsi” di due o tre. I tifosi se la dovrebbero prendere con loro» .
• Qualche presidente sta pensando a un tetto agli ingaggi.
«Franco Sensi della Roma: il prossimo anno 144 miliardi lordi per tutti i giocatori della rosa. Lo chiamano salary cup, perché è un sistema che viene dallo sport americano. Anche la Lazio si è data un tetto: 150 miliardi, e consideri che quest’anno ne hanno spesi 210» .
• Quanto influiscono gli ingaggi sui bilanci delle squadre di serie A?
"Il boom c’è stato dal 1996, anno della sentenza Bosman: partiti da un totale di 496 miliardi, nel 1998 erano già arrivati a 808, nel 2000 a 1.470».
• Negli Stati Uniti il salary cap funziona?
«La Nba, se vogliamo fare un esempio, è una sorta di gigantesco ”Fantabasket”. Vince chi ha l’occhio più lungo, chi si affida all’intuizione geniale. Possiamo dire che con Jordan andò così, anche se è un po’ una forzatura, perché c’è la questione di quelli che escono dall’università. Comunque Portland e Houston gli preferirono Sam Bowie e Hakeem Olajuwon mentre Chicago, che scelse per terza, lo mise sotto contratto e si garantì quindici anni ad altissimo livello vincendo sei titoli. Per fare una battuta, è come dire che Totti poteva finire alla Roma o alla Ternana, indifferentemente, se solo i dirigenti umbri fossero stati più lungimiranti...» .
• Ma lei, se fosse un presidente, come li spenderebbe i soldi delle pay-tv?
«Stadi più sicuri, biglietti meno costosi, strutture societarie più solide. Gli stadi li trasformerei in posti per le famiglie, dove magari si va a cena prima della partita e si compra un souvenir dopo. Poi investirei sui bambini, per farli appassionare: sono i tifosi del domani. E il merchandising: una società come l’Inter ha sei milioni di tifosi, un bel mercato» .
• E’ sicuro che il merchandising sia quella miniera d’oro che dicono?
«So a cosa allude: in America non tira più come prima. Dicono che è ciclico, dipende dalle mode. Ma per qualche anno ci hanno guadagnato, o no?».
• Insomma, qual è il futuro del calcio?
«La televisione l’ha cambiato. Se riempiamo di soldi gli studios di Hollywood, un film, alla fine, resterà sempre un film. Ma lei direbbe la stessa cosa di una partita giocata oggi? Otto stranieri per squadra, stadi semivuoti: troppa differenza anche rispetto ad appena dieci anni fa».
• Galliani proponeva quattro tempi di 22 minuti.
«E i time-out. Come diceva quello di Media Partners, Rodolfo Hecht? ”Rendere il pallone telecompatibile”. A San Siro andranno solo gli stadiomani, quelli che amano colori, odori, atmosfera».