Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 5 maggio 2002
"Ho vissuto cinque vite", dice nella sua ultima autobiografia Leni Riefenstahl, la regista preferita di Hitler, che secondo le malelingue era anche una delle sue amanti, cosa che lei ha sempre decisamente negato
• "Ho vissuto cinque vite", dice nella sua ultima autobiografia Leni Riefenstahl, la regista preferita di Hitler, che secondo le malelingue era anche una delle sue amanti, cosa che lei ha sempre decisamente negato. "Me l’hanno chiesto tutti, sempre: hai avuto una storia con Hitler? Hai fatto l’amore con lui? Io ridevo e rispondevo: no, ho fatto solo dei documentari per lui. Qualcuno ha detto: beh, è stato uno sbaglio. Dal punto di vista politico era meglio se ci facevi l’amore." Quel passato tragico è rimasto indietro, nel ventesimo secolo, ma lei va avanti con forza nel ventunesimo, senza mai cedere, e il 22 agosto compirà cento anni. Per quella data presenterà il film Impressioni sottomarine, che ha girato immergendosi duemila volte, fino all’anno scorso, tra le isole dell’Oceano Indiano, dalle Maldive alla Nuova Guinea.
• I processi furono più di cinquanta. "Mi hanno calunniata per decenni con ogni infame bugia", racconta. Intanto lei e la madre vivevano del lavoro che faceva con quell’unica macchina fotografica, comperata per andare in Africa, dai Nuba. Nessuno, in quel tempo, l’ha mai vista piangere o avere paura. Si ammalava spesso, questo sì, ma non se ne preoccupava mai. "Le malattie bisogna respingerle ignorandole. Non sono nemici, sono tentazioni alle quali non bisogna cedere". Non voleva e non poteva, però, riprendere in mano una cinepresa. Era la sua segreta vergogna per quella festa mostruosa che aveva mitizzato con un lavoro geniale, sì, ma stravolgente, quasi avesse esaltato gli déi falsi e bugiardi di un Olimpo dannato.
• Nella prima delle sue cinque vite Leni si chiamava Berta Helene Amalie, era nata a Berlino nel 1902 in una famiglia piccolo borghese e suo padre, un uomo piuttosto autoritario, la voleva famosa a qualunque costo. ’Forse è stato lui - dice - a stimolare la mia ambizione’. La carica vitale però l’aveva dentro ed era quella che l’avrebbe portata, vincente nonostante tutto, all’appuntamento con il centesimo compleanno. Il suo motto, fin da giovanissima, era sempre stato "Mai desistere".
• Per amore di suo padre era entrata all’Accademia d’Arte. Imparava a disegnare, a dipingere, a scolpire, provava perfino a scrivere versi. A un certo punto aveva fatto una scelta, si era dedicata al balletto e alla danza artistica. Anni di impegno, di intensa fatica quotidiana, ma era una gioia accorgersi che il suo corpo rispondeva bene, sentire che stava diventando una vera danzatrice, che presto il mondo si sarebbe accorto di lei e suo padre sarebbe stato soddisfatto.
• Un giorno però si era fatta male a un piede. Pensava che sarebbe guarita presto, invece quell’incidente aveva interrotto la sua carriera. ’Non potrai più ballare’, le avevano detto i medici. La scalata al successo sembrava finita prima di cominciare, ma ci voleva ben altro per abbattere una come lei. Soprattutto non doveva ’mai desistere’. Ricominciò a dipingere, a studiare e intanto cercava un’altra strada. Passò un po’ di tempo prima che la trovasse, però quando l’ebbe di fronte capì che era la sua: il cinema, una seconda vita.
• Ci si gettò dentro a capofitto. Era il 1926, aveva ventiquattro anni e stava rinascendo. Una metamorfosi, come quella delle farfalle: perfino gli altri nomi che portava le erano caduti di dosso come una buccia inutile, come il bozzolo vuoto di una crisalide. Ora si chiamava Leni Riefenstahl e basta. E non entrava nel cinema per la porta di servizio, ma partiva subito come protagonista nel film La Montagna sacra. Il regista era un giovane geologo, Arnold Fanck, che aveva solo tre anni più di lei e lo stesso entusiasmo. Fecero molti film insieme, e il tema era sempre la montagna, l’avventura, il rischio; le scene più pericolose quelle che Leni preferiva. Per La bella maledetta si schiantò deliberatamente con un aereo contro un iceberg, e poi affrontò valanghe, acque gelide, perfino bestie feroci. Forse lei e Arnold vissero insieme un tempestoso amore, ma intanto Leni gli rubava il mestiere di regista. Con il film La luce azzurra, di cui fu la realizzatrice, la produttrice, l’inteprete, nel 1932 si tuffò nella sua terza vita.
• Il film era fatto in collaborazione con Béla Balàs e Leni impersonava una ragazza tzigana, Junta, pura e bella, che scalava le pareti di un monte chiamato Cristallo, attratta e guidata dal bagliore azzurro di una roccia preziosa, magica. Una fiaba, ma quasi una premonizione, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra che alla fine riuscivano a distruggere tutto. "Facendo questo film romantico - raccontava Leni a un giornalista dei ’Cahiers du cinema’ - avevo finito per rappresentare il cammino che in seguito avrei percorso io stessa. Infatti, in un certo senso, avevo prefigurato il mio stesso destino e gli avevo dato una forma..."
• Hitler adorava guardare i film romantici. La vide, la fece chiamare e le offrì la regìa di certi documentari che aveva in mente sui fasti del Terzo Reich. Paul Joseph Goebbels, il potentissimo ministro nazista dell’Educazione e della Propaganda, che controllava l’U.F.A., la più importante casa di produzione tedesca, non prese bene la faccenda, tutt’altro. Era furibondo e detestava quell’intrusa, ingelosito dal potere che aveva sul Fuhrer, ma Leni gli tenne testa. I suoi violenti litigi con lui e con altri personaggi del regime - essenzialmente antifemminista - sono rimasti celebri. Alla fine Goebbels fu costretto a cedere e quando la vide al lavoro si rese conto che il capo aveva ragione: la ragazza era proprio brava, il Partito se ne sarebbe avvantaggiato.
• A quel punto ’la regista di Hitler’, la sola capace di magnificare al massimo gli eventi storici che avrebbero portato l’Europa alla catastrofe, cominciò a darci dentro. Com’era bella quando girava Il trionfo della volontà, la grande parata del Congresso Nazional-socialista a Norimberga nel 1934. Era bruna, allora, e i suoi capelli mentre gridava ordini sembravano una criniera scompigliata dal vento - anche le ragazze di oggi li portano così, ma lei anticipava sempre i tempi - la bocca aveva labbra sexy e imperiose, la maglietta aderente puntava un seno perfetto in faccia a 150 collaboratori intimiditi e affascinati.
• Girava in pantaloni, una moda che da noi in quegli anni era proibita, ma lei non avrebbe accettato imposizioni di sorta. Si sentiva una dominatrice, fusa nella perfezione del successo, orgogliosa della grande parata che immortalava con decine di cineprese. Le sfilate delle SS erano le grandi protagoniste: invadevano lo schermo a plotoni minacciosi, solcando una folla spaventata eppure delirante. Una realtà da saga nibelungica in un Walhalla tonante, magnificata da innovazioni tecniche che apparivano, ed erano, prodigiose.
• Olympia, il kolossal in due parti, dedicato alle Olimpiadi berlinesi del 1936, vinse la Coppa Mussolini a Venezia nel 1938 (ex-aequo con Luciano Serra pilota). C’erano voluti due anni di lavoro per montare chilometri e chilometri di pellicola, ma solo in alcuni momenti era all’altezza del documentario sulla parata di Norimberga; la raggiungeva ogni tanto, quando ritraeva la bellezza plastica degli atleti, fissando le macchine sui particolari più incisivi, sorretta da tecnologie così avanzate che sbalordivano anche gli esperti di cinema (in qualche caso le inventava da sé). Quante volte le accadeva di ringraziare il cielo per quel piede che sembrava averla tradita, impedendole di procedere banalmente lungo i binari di quella prima vita da ballerina. Ora stava diventando veramente qualcuno: girava documentari - fece anche La vittoria della fede - che in quel momento erano quanto di più nuovo si potesse immaginare, grazie anche ai mezzi che Hitler le metteva a disposizione.
• A tratti vengono in mente certe scene dei film di Fritz Lang, l’inventore di terrificanti futuri: il rigore, l’ordine, la simmetria possono nascondere un’incredibile violenza e Lang lo sapeva. "Guardiamo il mondo andare in rovina", gridava (ma erano ancora i tempi del muto) il robot con le sembianze di Brigitte Helm, ubriacando di follìa un gruppo di privilegiati in abito da sera, nella scena madre di Metropolis. Il film si svolge in un immaginario, orrendo XXI secolo, che per noi è già ieri, ma potrebbe ancora essere domani. Leni non copiava, però assorbiva tutto quello che le sembrava grandioso. Aveva la sensazione d’essere eterna, e ’quando si ha la giovinezza - come affermano i francesi - è per sempre’. Invece non dura, ma basta fare in modo che l’età successiva somigli ancora alla giovinezza, per la forza con cui si può riuscire a viverla. Mai desistere.
• Di quel passato, nei tribunali dove l’accusavano, lei diceva soltanto con proterva disinvoltura: "Non volevo fare un’opera nazista, volevo fare arte. Fare arte era la mia vita e lo sarà sempre. Loro erano il potere, ma non sembrava affatto un potere malvagio". Hitler l’affascinava, e la cosa inconcepibile è che l’affascina ancora oggi. "Gli orrori, di qualunque tipo siano stati, non hanno cambiato la mia ammirazione per quel grande uomo." Poi aggiunge, presa dal dubbio che gli orrori sopravanzino di parecchio il fascino del dittatore, "Ho dovuto accettare molti compromessi. Ma non sapevo nulla dei loro crimini".
• Come poteva non accorgersi che gli ebrei (qualcuno sarà stato anche suo amico, o almeno conoscente) scomparivano per finire chissà dove, e non tornavano? Preferiva non vedere? Leni Riefenstahl voleva solo fare cinema e c’è riuscita. Quanto le sia costato non lo sappiamo, ma a suo parere ne valeva la pena e se è stata su qualche letto o canapé con uno dei giovani leoni del regime, avrà avuto anche momenti di piacere, carica di vita com’era. E certo non si rendeva conto che il suo Trionfo della volontà era una fanfara, un preludio, come ha scritto Frank Capra, a "quell’inferno che Hitler stava per scatenare. Satana in persona non avrebbe potuto ideare un superspettacolo più spaventoso.’ Lei sapeva solo d’essere immersa in un euforizzante alone di gloria dove molti - anche più maturi e illuminati - si sono smarriti per sempre, mentre Leni ha voltato pagina ed è tornata da capo. Del resto quella era stata soltanto la sua terza vita.
• Dopo la sconfitta del nazismo ha trascorso più di tre anni in prigione, dove l’hanno torturata con gli elettroshock. Neanche quelli erano riusciti a domarla e lei, dopo, è andata avanti ugualmente, povera, malata, addirittura affamata, senza lavoro, ma forte quasi come prima. Per nascondere i primi capelli bianchi si era fatta bionda. Aveva poco più di quarant’anni, non molti per una donna destinata a viverne almeno cento, benché ancora non lo sapesse.
• Riuscì a comperarsi una macchina fotografica e partì per l’Africa. Mise insieme alcuni album di fotografie stupende, su I Nuba, accarezzando e violando con il suo obiettivo la bellezza di quei corpi tesi e bruniti - solo il corpo maschile può essere la vera perfezione, i greci l’avevano sempre saputo - e le foto ebbero successo, ma la Germania continuava a detestarla. Così, faticosamente, incominciava la sua quarta vita.
• Il padre non c’era più, le era rimasta la madre, che trascinava con sé quasi dappertutto. Doveva sfamarla, proteggerla, battersi anche per lei. Quante volte, intimidita e spaventata, la donna aveva dovuto assistere ai processi che la figlia subiva con quel volto impassibile. Un mattino tirarono fuori, in tribunale, una fotografia di Leni in divisa da nazista, con la croce uncinata sul braccio, mentre assisteva tranquillamente alla fucilazione di una trentina di persone, uomini, donne, bambini. La madre nascose la testa fra le mani, ma Leni disse con voce sicura: "Ero lì per caso". I campi di sterminio? Non sapeva, dice, che cosa accadesse là dentro: non era di sua competenza, la cosa non doveva interessarla.
• Aveva molti amori, eppure era una solitaria. Qualcuno sostiene che in realtà Leni Riefenstahl non ha amato nessuno oltre il suo lavoro. Il suo primo uomo l’aveva violentata, e forse è questo il motivo per cui l’amore ogni volta le si mescolava dentro con l’odio. C’è chi l’ha amata in modo plateale e dissennato, come il decatleta americano Glenn Morris, medaglia d’oro a Berlino, divenuto poi uno dei Tarzan cinematografici: dopo la premiazione le aveva strappato la camicetta e le aveva baciato il seno in mezzo allo stadio. Ebbero una storia infuocata, che durò più di un anno. Si era poi sposata, nel 1944, con un ufficiale degli alpini, Peter Jacob, ma anche lui era un po’ selvaggio. Invece di chiederla in moglie educatamente come si usava, le ha sfondato la porta della stanza d’albergo e l’ha violentata. Il matrimonio dopo due anni è andato a rotoli. Negli anni 70, quando faceva fotografie per il ’Sunday Times’, usò ancora il nome di lui. Si firmava Helen Jacob e d’altra parte non si era mai risposata.
• Non era nata per diventare una moglie, una madre, e nemmeno un’amante. Per amarsi bisogna saper ridere insieme, e lei non rideva con nessuno. L’amore era sempre competizione, lotta, sopraffazione o dall’una o dall’altra parte, mai allegria. A volte, ancora oggi, si rimprovera questa durezza: ’Potrei avere più senso dell’umorismo, giocare con la vita, con la gente, con le cose, ma non ci riesco. Non capisco nemmeno le barzellette. Mi piacciono i drammi, le tragedie, le commedie’. E dal teatro passa a un’altra passione, i miracoli della natura - quel chinarsi sulle piccole creature che una volta era tipico dell’intellettualismo tedesco - senza essere mai soddisfatta di se stessa, e neanche del proprio lavoro.
• "Sono egocentrica", dice. Ma forse essere un po’ egocentrici almeno sul lavoro consente di andare avanti, si perde meno tempo con le cose inutili. "Non mi piace obbedire", dice. "Nemmeno quando a comandare era Hitler?". A lui piaceva, una donna volitiva, Eva Braun invece era quieta e riposante. Gli uomini volitivi li avrebbe ammazzati, ma le donne erano eccitanti. Dopo Eva, Leni è forse la donna che gli è stata più vicina. Frequentava il suo rifugio tra le montagne, faceva piani grandiosi con lui - cinema, solo cinema - e cercava di restare giovane, snella. Mangiava poco, non beveva, non fumava. Ha sempre salvaguardato il suo fisico, benché il suo fisico spesso la tradisse.
• Nel 1944 aveva tentato di fare un film, Bassopiano, che si svolgeva in Spagna, rimasto quasi incompiuto nel marasma generale. La protagonista, Martha, era simile a Junta, la ragazza della Luce azzurra. Gli Alleati, dopo la guerra, glielo confiscarono, e molto del materiale che aveva girato andò distrutto, con suo grande dolore. Dieci anni dopo Bassopiano sarebbe stato finalmente proiettato, però senza molto successo: la Germania non l’aveva ancora perdonata.
• Il film tornò fuori nel corso di una mostra a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, nel 1997, e poi in un’altra mostra a Potsdam, nel 1999, in cui sfilarono anche quelli che aveva interpretato e i progetti che non aveva mai potuto realizzare, come I diavoli rossi del 1950, per il quale voleva come protagonista Brigitte Bardot, con Jean Marais e Vittorio De Sica. Nel 1951 pensava di fare La figlia di Jorio, dal dramma di Gabriele D’Annunzio, ma l’idea non andò avanti. La Mostra presentava le fotografie dei Nuba di Kau e di Masakin, e le prime impressioni fotografiche del mondo subacqueo, I giardini di corallo.
• Com’è stata lunga e difficile la sua quarta vita. "Se è vero che le avversità rinsaldano le nostre forze - ha detto dopo i novant’anni - io dovrei poter sfidare Ercole perché la mia vita non è stata altro se non una lunga serie di difficoltà. Però non ho mai dimenticato il mio antico motto, ’Mai desistere’, e quello mi accompagnerà per tutti gli anni che mi restano da vivere".
• A 72 anni il mare la catturò del tutto. Fu come se avesse trovato una via di fuga dal mondo che la respingeva, quasi fosse un nuovo capitano Nemo senza Nautilus, così divenne la più appassionata dei sub, riconciliandosi con la cinepresa. Grazie al suo obiettivo che scopriva coralli, gorgonie, anellidi fioriti, pesci dalle livree più strane, Leni torna finalmente sugli schermi, passando dall’effimero sogno wagneriano, smascherato nell’Olocausto, alla realtà perenne e silenziosa della vita sotto la superficie.
• Si era messa anche a scrivere la prima delle sue biografie, intitolata Storia della mia vita stretta nel tempo. Voleva spiegare se stessa al mondo, soprattutto ai suoi compatrioti, ma un critico disse che era lo specchio di una piccola borghese fascista. Di lei si può dire tutto, ma non che fosse una piccola borghese ’di regime’. Quella critica l’aveva molto amareggiata, ma intanto cominciava a capire che era necessario trovare un modo per chiedere scusa al mondo. L’ha spiegato a Ray Muller, uno dei maggiori documentaristi tedeschi che nel 1993, in un film fatto di materiali d’archivio, ha cercato di raccontare quella lunga avventura.
• Il suo documentario Impressioni sottomarine, frutto di oltre duemila immersioni, la riporterà alla ribalta il prossimo 22 agosto, quando compirà cent’anni. I giornali tedeschi parlano di ’grande novità dell’anno’ e il quotidiano Die Welt le ha dedicato tre intere pagine, con un’intervista che le ha fatto il presidente del Goethe Institut, Hilmar Hoffmann, il quale dice, fra l’altro, che "all’estetica della Riefenstahl si ispira oramai ogni documentazione sportiva e perfino un certo linguaggio pubblicitario". E questa è la quinta delle sue ’cinque vite’.
• Leni gli ha detto: "Lo so che scusarsi non basta, ma che cosa posso fare, distruggermi? E’ orribile, e ho sofferto per più di mezzo secolo. Non finirà finché non morirò, ma per ora devo conviverci... La morte sarà una liberazione benedetta". Poi, a novantacinque anni, ha scritto la seconda biografia, Cinque vite, pubblicata recentemente a Colonia, e il libro ha avuto uno straordinario successo. In patria oramai l’avevano perdonata.
• C’è sicuramente una forza eccezionale, capace di superare gli anni e le tragedie, nella ragazza centenaria che ancora oggi nuota in mezzo alle mante e agli squali come un’ardita giovane sub, e gira documentari tra le isole Maldive. Riesce perfino a farsi fotografare in costume da bagno, mentre viene fuori dall’acqua, senza costringere chi la vede a distogliere gli occhi con disgusto. E con una così non ti puoi permettere neanche la pietà.
• Il suo viso però oramai si è stancato della vita, e si è fatto anche assurdo a causa di quei riccioli d’oro che lo incorniciano mentre le rughe lo segnano a fondo, come letti di fiumi scavati in terre desolate. E su quel panorama sorride un’inconcepibile bocca color fragola. A più di mezzo secolo dal tempo dei suoi trionfi, che cos’è che riesce a tenere in piedi, ostinatamente attiva, questa centenaria che ha subito processi, elettroshock, malattie, dolori, povertà, solitudine e tanto odio da parte di molti dei suoi compatrioti?
• Ora Jodie Foster interpreterà la sua parte in un film, ma non sarà facile raccontare quelle cinque, complicatissime vite. Anche perché Leni, forse, sta per entrare nella sesta.
• «Nessuno di noi può vivere per sempre. Anche se non invecchiassimo, i numerosi pericoli di cui la vita è costellata - incidenti fra le mura domestiche e sulle strade, malattie contagiose, crimini violenti - finirebbero comunque per troncare la nostra esistenza. Gli anni più sicuri per gli esseri umani sono grosso modo quelli della pubertà; nella fascia di età compresa fra i 10 e i 15 anni il rischio di morte tocca infatti il livello più basso: in Nord America e in Europa muore ogni anno 1 adolescente su 2.000 - un’incidenza percentuale pari allo 0,05 per cento. Subito dopo la pubertà, ossia non appena cominciamo a sperimentare il lento declino fisiologico che chiamiamo invecchiamento, nelle popolazioni di tutto il mondo e indipendentemente dal rischio di morte degli adolescenti, il tasso di mortalità comincia a salire con regolarità. All’età di cent’anni la nostra capacità di affrontare le malattie e le aggressioni dell’ambiente è talmente diminuita - e il nostro organismo si è a tal punto logorato - che il rischio di morire tocca il 50 per cento all’anno. Consideriamo per un attimo un mondo immaginario nel quale non esista il fenomeno dell’invecchiamento, nel quale cioè gli individui abbiano per tutta la vita un rischio di morte costante, attestato sul tasso dello 0,05 per cento annuo, tipico dell’adolescenza. In un mondo siffatto, le nostre probabilità di raggiungere un’età molto avanzata sarebbero immensamente maggiori. Anzi, potenzialmente saremmo quasi immortali. ”Quasi” perché quel lancio di dadi effettuato ogni anno con la probabilità di 1 su 2.000 comporterebbe comunque una graduale perdita di individui. In ogni caso, se non fosse per l’invecchiamento, il 95 per cento della popolazione festeggerebbe il centesimo compleanno e il 50 per cento raggiungerebbe l’età, apparentemente sbalorditiva, di 1.200 anni» (Robert E. Ricklefs – Caleb E. Finch, L’invecchiamento, Zanichelli).
• L’invecchiamento è un insieme complesso di trasformazioni che, con il trascorrere degli anni, modifica il corpo umano e causa una generale riduzione di alcune funzioni. Qual è la causa di questo processo? Per tutta la vita l’organismo è esposto a una grande varietà di stimoli che lo inducono a reagire; queste risposte, accumulandosi, producono dei cambiamenti. Gli stimoli possono essere esterni, quando originano dall’interazione tra l’essere vivente e l’ambiente che lo circonda, o interni, quando derivano dal normale funzionamento delle cellule del corpo. L’insieme di questi stimoli è lo «stress», termine che per gli scienziati ha un significato non necessariamente negativo e più ampio di quello che caratterizza l’accezione comune. Per molto tempo l’invecchiamento è stato considerato come un fenomeno di deterioramento progressivo, un declino graduale delle capacità tipiche dei giovani, e si è ritenuto che questi cambiamenti fossero una conseguenza inevitabile dell’avanzare dell’età. Sarebbe tuttavia più opportuno parlare di «rimodellamento» anziché di «deterioramento», come dimostrano gli studi più recenti.
In realtà l’invecchiamento non dipende dal semplice accumulo di alterazioni, in particolare di quelle causate dai radicali liberi dell’ossigeno, prodotte durante il normale funzionamento cellulare. Al contrario, è l’effetto prodotto dal rapporto tra gli stimoli che incontriamo durante la vita, e i danni che ne derivano, e la capacità dell’organismo di farvi fronte, modificarsi e adattarsi. Un delicato e complesso equilibrio, quindi, tra un danno anche ”fisiologico” e la capacità riparativa dell’organismo. Ma se invecchiare è inevitabile, esistono però due modi per farlo: malati o in salute. Esistono uomini e donne che raggiungono età ultracentenarie senza ammalarsi, e rappresentano un modello importantissimo di invecchiamento con successo. Dai centenari abbiamo capito che i geni e la loro interazione con l’ambiente rivestono un ruolo molto importante insieme agli ormoni, che distinguono in modo evidente l’uomo dalla donna e il diverso contributo che la genetica ha nei due sessi. Sembra delinearsi un quadro in cui il patrimonio genetico aiuta l’organismo ad adattarsi all’ambiente, ma con un meccanismo che rende questo rapporto assolutamente dinamico e non deterministico e in cui le diversità di sesso e di stile di vita giocano un ruolo importantissimo.
Francesco Lescai Dipartimento di Patologia Sperimentale (Università di Bologna)
• Quanto si può vivere nella società attuale? Le stime suggeriscono fino a 120 anni: l’essere umano più longevo è una donna francese morta tre anni fa all’età di 127 anni. I più fortunati sono i paesi a sviluppo avanzato: anche se rappresentano solo il 23% della popolazione mondiale, comprendono il 42% (206,5 milioni su 489,3) degli ultra60enni e il 59% (31,3 milioni su 52,9) degli ultra80enni. La longevità dipende da fattori genetici e ambientali. Da questo punto di vista, la popolazione si può dividere in ”meno” e ”più fragile”. Nel pianeta, i meno fragili stanno aumentando e arrivano più facilmente a 80 anni, sia per il miglioramento delle condizioni di vita sia per l’aumento delle cure per le malattie della terza età (cardiovascolari, diabete, cancro). Anche in Italia, tra il 1861 e il 2000, l’età massima è passata da 100 a 108 anni. In particolare, a partire dalla fine degli ultimi anni Sessanta, quando vaccini, antibiotici e igiene si sono diffusi, la vita media si è allungata, superando i 74 anni per gli uomini e gli 81 per le donne. Fra gli anziani, poi, il numero dei più vecchi, cioè di coloro con più di 80-90 anni, cresce rapidamente. In conclusione si può ipotizzare che il limite di 120 anni non sia tassativo e probabilmente, in futuro, verrà anche superato, e sempre più persone raggiungeranno i cento anni. Sotto il profilo demografico è difficile immaginare a quale trasformazione assisteremo, visto che le proiezioni vedono la popolazione mondiale arrivare a 8 miliardi di persone alla metà di questo secolo.
• Le cellule non si riproducono all’infinito: invecchiano, smettono di moltiplicarsi e infine muoiono. Si è pensato che questo fenomeno coincidesse con l’invecchiamento dell’organismo ma non è così, infatti cellule provenienti da persone con più di cento anni si moltiplicano con facilità. Sembra quindi che l’invecchiamento dell’organismo sia, almeno in parte, indipendente da quello cellulare. La longevità potrebbe invece dipendere dal patrimonio genetico oltre che dall’influenza dell’ambiente. Particolarmente importanti sarebbero i geni che ci difendono dai danni causati dai raggi ultravioletti, dal calore e dai radicali liberi: il malfunzionamento di questo network di difesa rende impossibile mantenere l’equilibrio fra le funzioni dell’organismo e porta alla comparsa della senescenza. Inoltre molti geni del network hanno più versioni, chiamate alleli: alcune sono vantaggiose quando si è giovani, ma possono rappresentare un ostacolo alla longevità, e viceversa. La genetica della longevità deve tener conto anche del patrimonio genetico mitocondriale. I mitocondri sono organelli cellulari nei quali avviene il processo della respirazione che, oltre a produrre l’energia chimica necessaria alla cellula, può generare i radicali, fattori che danneggiano le proteine e il Dna. Negli organelli c’è una piccola molecola circolare di Dna che codifica 13 proteine coinvolte nella respirazione; questi geni, ereditati esclusivamente dalla madre, hanno delle varianti, di cui alcune sono più frequenti nei centenari. Ciò suggerisce che tali versioni potrebbero favorire la longevità, probabilmente per la loro maggiore efficienza nel metabolismo. Stefano Salvioli Dipartimento di Patologia Sperimentale (Università di Bologna)
• Il sesso e la riproduzione costituiscono un aspetto fondamentale della vita: i nostri corpi sono stati modellati dall’evoluzione in larga misura proprio per favorire la riproduzione della specie, l’obiettivo numero uno dei viventi. C’è un rapporto tra lunghezza della vita da una parte e sessualità e riproduzione dall’altra? Per molto tempo questo rapporto non è stato neppure sospettato anche se oggi sappiamo che c’è ed è molto profondo. L’importanza della sessualità è confermata dal fatto che le donne sono molto più longeve degli uomini. L’aspettativa di vita delle donne è di 5-7 anni superiore a quella degli uomini in tutti i paesi sviluppati. Inoltre, per ogni centenario maschio ci sono da 4 a 5 centenarie femmine. Queste differenze sono sicuramente dovute a fattori ambientali e culturali ma anche a fattori biologici e genetici. Le donne hanno avuto e spesso hanno ancora oggi uno stile di vita più sano riguardo al fumo e all’alimentazione, consumano meno alcol, sono più coscienziose e meno aggressive e sono state escluse da lavori particolarmente pesanti e dalla partecipazione diretta alle guerre.
Inoltre questa maggiore longevità delle donne può essere spiegata dalle differenze ormonali tra uomini e donne, legate alla capacità riproduttiva di queste ultime e al relativo effetto protettivo degli estrogeni su alcune malattie, comprese quelle vascolari e neurodegenerative. Nei nostri studi sulla componente genetica della longevità abbiamo individuato numerosi geni correlati alla lunghezza della vita ed abbiamo osservato che è soprattutto negli uomini che si può mettere in evidenza questa componente genetica della longevità, come se gli uomini per diventare longevi e centenari si ”appoggiassero” di più sui fattori genetici rispetto alle donne per le quali i fattori ambientali e ormonali potrebbero essere più importanti. Inoltre le donne hanno due cromosomi sessuali chiamati cromosomi X mentre gli uomini ne hanno uno solo essendo l’altro il cromosoma Y. Questa situazione può conferire alla donna un vantaggio biologico in quanto nei due cromosomi X ci possono essere varianti diverse dello stesso gene che aumentano la variabilità biologica e la capacità di adattamento all’ambiente. Claudio Franceschi
Professore ordinario di Immunologia, Università di Bologna
Direttore Scientifico dell’I.N.R.C.A., Ancona
• "Ho vissuto cinque vite", dice nella sua ultima autobiografia Leni Riefenstahl, la regista preferita di Hitler, che secondo le malelingue era anche una delle sue amanti, cosa che lei ha sempre decisamente negato. "Me l’hanno chiesto tutti, sempre: hai avuto una storia con Hitler? Hai fatto l’amore con lui? Io ridevo e rispondevo: no, ho fatto solo dei documentari per lui. Qualcuno ha detto: beh, è stato uno sbaglio. Dal punto di vista politico era meglio se ci facevi l’amore." Quel passato tragico è rimasto indietro, nel ventesimo secolo, ma lei va avanti con forza nel ventunesimo, senza mai cedere, e il 22 agosto compirà cento anni. Per quella data presenterà il film Impressioni sottomarine, che ha girato immergendosi duemila volte, fino all’anno scorso, tra le isole dell’Oceano Indiano e Pacifico, dalle Maldive alla Nuova Guinea. Nella prima delle sue cinque vite Leni si chiamava Berta Helene Amalie, era nata a Berlino nel 1902 in una famiglia piccolo borghese e suo padre, un uomo piuttosto autoritario, la voleva famosa a qualunque costo. ’Forse è stato lui - dice - a stimolare la mia ambizione’. La carica vitale però l’aveva dentro ed era quella che l’avrebbe portata, vincente nonostante tutto, all’appuntamento con il centesimo compleanno. Il suo motto, fin da giovanissima, era sempre stato "Mai desistere". Per amore di suo padre era entrata all’Accademia d’Arte. Imparava a disegnare, a dipingere, a scolpire, provava perfino a scrivere versi. A un certo punto aveva fatto una scelta, si era dedicata al balletto e alla danza artistica. Anni di impegno, di intensa fatica quotidiana, ma era una gioia accorgersi che il suo corpo rispondeva bene, sentire che stava diventando una vera danzatrice, che presto il mondo si sarebbe accorto di lei e suo padre sarebbe stato soddisfatto. Un giorno però si era fatta male a un piede. Pensava che sarebbe guarita presto, invece quell’incidente aveva interrotto la sua carriera. ’Non potrai più ballare’, le avevano detto i medici. La scalata al successo sembrava finita prima di cominciare, ma ci voleva ben altro per abbattere una come lei. Soprattutto non doveva ’mai desistere’. Ricominciò a dipingere, a studiare e intanto cercava un’altra strada. Passò un po’ di tempo prima che la trovasse, però quando l’ebbe di fronte capì che era la sua: il cinema, una seconda vita. Ci si gettò dentro a capofitto. Era il 1926, aveva ventiquattro anni e stava rinascendo. Una metamorfosi, come quella delle farfalle: perfino gli altri nomi che portava le erano caduti di dosso come una buccia inutile.
• Cibo e longevità. Un binomio tutt’altro che trascurabile. L’alimentazione, infatti, incide sulla salute e quindi sulla durata della vita. Mangiare bene vuol dire stare attenti alla qualità e alla quantità del cibo. Riguardo alla qualità, non vi è dubbio che la dieta migliore sia la mediterranea, ricca di legumi, cereali, vegetali, pesce e olio d’oliva, alimenti che garantiscono un’alta assunzione di vitamina C, tocoferoli, b-carotene, vari oligoelementi, polifenoli e antocianine, nonché di fibra. Tutte sostanze che proteggono da malattie cardiovascolari e da tumori, le cause principali di mortalità nei paesi occidentali. La dieta mediterranea, infatti, può ridurre l’apporto di colesterolo serico del 10%,,diminuendo così il rischio di problemi a danno delle coronarie del 39% in un individuo di 50 anni, del 27% in uno di 60 anni e del 20% in uno di 70 anni. Secondo un recente studio italiano, la stessa dieta abbassa poi la probabilità di tumori a tratto digestivo, bocca, faringe, esofago e mammella. Ostacola infatti le alterazioni a livello del Dna, che inducono la trasformazione di cellule sane in tumorali. Nel 1992 è stata pubblicata dal Dipartimento dell’Agricoltura americano la cosiddetta piramide degli alimenti, che riassume in pratica la dieta mediterranea. Al vertice ci sono grassi e zuccheri semplici; al secondo livello, carne, pesce, legumi secchi, uova latte, formaggi, noci e frutta secca. Al terzo, frutta e vegetali, e alla base, pane, cereali, riso, pasta. Più gli alimenti si trovano in basso, più frequentemente andrebbero mangiati per vivere meglio e più a lungo. Una dieta corretta deve poi badare alla quantità del cibo, perché mangiare più del necessario causa un accumulo di grassi a cui si associano spesso malattie che riducono la durata della vita o ne abbassano la qualità: dai problemi cardiovascolari, all’ipertensione, al diabete non-insulino dipendente, ad alcuni tumori, alle malattie osteo-articolari, all’apnea notturna. L’essere o no in sovrappeso o obeso può essere facilmente accertato attraverso un semplice calcolo che determina il BMI (indice di massa corporea): Peso corporeo in Kg : (Altezza in metri)2 Nel caso di una persona di 85 Kg, alta 1,78, si divide 85 per il prodotto dell’altezza (1,78)2 = 3,16 e si ottiene un BMI di 26,8. In generale, si considera in sovrappeso chi ha un BMI fino a 29,9 e obeso chi ha un BMI superiore a 30. Carlo Pieri direttore centro citologia NRCA
(Istituto nazionale di riposo e cura anziani)