Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 4 ottobre 1997
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Biografia di Gabriele D’Annunzio
• D’Annunzio è nato di venerdì, giorno consacrato a Venere, il 12 marzo 1863, a Pescara. Rischiò di morire durante il parto, in seguito i genitori gli fecero portare al collo un amuleto di seta che conteneva il suo cordone ombelicale. Era convinto di morire giovane. Nel novembre del 1880, a Pescara, fu dato per morto dopo una caduta da cavallo. Nel 1919 tre oracoli gli predissero che sarebbe morto il 17 luglio: galoppò tutto il giorno con una giumenta selvaggia, poi si chiuse in camera con una pistola aspettando l’idea del suicidio. Che non gli venne.
• D’Annunzio era piccolo (era alto 1.64), gracile, a 31 anni è un rinomato poeta, un esteta e un dandy scandaloso. Ma è anche già segnato dall’età e dagli eccessi: ha i denti "orribilmente guasti" e presenta una calvizie precoce dovuta alla cauterizzazione maldestra di una ferita ricevuta a 18 anni, durante un duello. Molto miope, ostenta un monocolo, porta baffi affilati e barbetta a punta per accentuare il portamento da satiro. Insomma, esibisce con ostentazione i suoi difetti. La toilette ai suoi occhi è tanto importante che passerebbe la vita a lavarsi, profumarsi e vestirsi. Dispone di un guardaroba straordinario: completi, gilet, pigiami, calzature e stivali arrivano al centinaio. Possiede sei volte tanto in camicie di seta o con lo sparato, perché ama cambiarsi parecchie volte al giorno. Colleziona gemelli in pietre preziose e brillanti, ma anche cravatte, nodi a farfalla e cinture dai fermagli insoliti. Ama le pellicce di lontra e topo muschiato, i fazzoletti e i guanti.
• Gabriele D’Annunzio incontra Eleonora Duse nel settembre del 1894, a Venezia.
• L’impresario della Duse, José J. Schurmann detestava cordialmente D’Annunzio.
• D’Annunzio adorava la madre, Luisa D’Annunzio, nata De Benedictis, detta Luisetta (17 dicembre 1839- 27 gennaio 1917).
• Prima di recarsi a Venezia, D’Annunzio vive a Mammarella, in Francavilla a Mare, "dibattendosi in una debilitante crisi sentimentale" con una principessa siciliana, Maria Gravina Cruyllas di Ramacca, che lui aveva strappato nel 1892 al conte napoletano Fernando Anguissola di San Damiano. Per lui la donna aveva abbandonato anche 4 figli. Il poeta e la sua amante furono condannati per adulterio a 5 mesi di prigione, annullati da una provvidenziale amnistia. Dalla loro unione nacque Renata, mai riconosciuta ma molto amata dal poeta che la chiamava Cicciuzza o Sirenetta.
• D’Annunzio era ancora sposato con la figlia del duca di Gallese, Maria Hardouin, rapita a Roma nel giugno del 1883, sposata un mese dopo, già incinta del primo figlio, Mario, abbandonata dopo la nascita di altri due bambini, Gabriele Maria detto Gabriellino e Ugo Veniero.
• La Duse era a Venezia per riposarsi di una tourneée durata 6 mesi. Aveva 36 anni ed era all’apice della carriera. Difendeva con orgoglio la sua vita privata: «A che pro mostrare i fili della marionetta» diceva.
• Nel 1878 la Duse era stata legata a Martino Cafiero: lui aveva 32 anni, lei 20. Lui era il direttore del "Corriere del mattino" di Roma. Quando lei restò incinta l’abbandonò. La Duse passò i primi mesi della gravidanza a Marina di Pisa, il parto dovrebbe essere avvenuto all’inizio del 1880, il bambino - maschio, se ne ignora il nome - non sarebbe sopravvissuto. Eleonora aveva sposato l’attore Tebaldo Checchi il 7 settembre 1881, a Firenze, e da lui aveva avuto una figlia, Enrichetta, nata il 7 gennaio dell’anno seguente (1882). L’attrice si innamorò di un altro collega, Flavio Andò, nel 1885, e per lui abbandonò il marito.
• A Venezia la Duse aveva casa all’ultimo piano di un vecchio palazzo, a quel tempo appartenente ad Alexandre Volkoff, a due passi da palazzo Venier. Lo aveva arredato con stoffe e tappeti d’Oriente, qualche mobile antico, sul muro la tela preferita, una madonna di Bernardino Fungai. La scala che portava al suo piano venne tappezzata con tessuto rosso vivo.
• Ossessionata dalla paura di invecchiare, ossessione aggravata dal fatto che D’Annunzio le faceva pesare la differenza d’età (lei aveva 5 anni più di lui), la Duse finì col sopprimere tutti gli specchi, compresi quelli degli alberghi nei quali soggiornava.
• Nonostante tutto la Duse non si preoccupava del suo aspetto esteriore: «Non ha mai avuta la benché minima sciccheria. Il suo vestito saliva sempre da una parte e pendeva dall’altra, il suo cappello non era mai in equilibrio».
• D’Annunzio arrivò a Venezia il 6 settembre 1894. Scese all’Hotel Danieli. Col suo traduttore francese, Hérelle, passava le serate al Florian e nel salotto di palazzo Dario. Secondo le testimonianze epistolari, Eleonora Duse e Gabriele si sarebbero incontrati così: dopo aver passato una notte insonne vagando in gondola per i canali, la Duse sarebbe sbarcata presso Rialto. Nello stesso momento, da un’altra gondola sarebbe sceso lo scrittore. I due avrebbero parlato di poesia e arte fino al levar del sole. Lei gli chiese perché non aveva ancora scritto per il teatro. La data "ufficiale" della loro relazione, fissata nei "Taccuini" dannunziani, è 26 settembre 1895.
• La camera della principessa Gravina, amante di D’Annunzio, era sontuosa, tutto era un invito al piacere: il letto molto basso e dalla larghezza insolita, ricoperto da opulenti stoffe e riparato da un baldacchino di sontuosi drappeggi che dei passamani a spirale rialzavano verso il muro. Maria Gravina era alta, bruna, occhi neri, appassionata.
• Quando Maria Gravina si calmava, dopo una delle sue scenate di gelosia, D’Annunzio si chiudeva nello studio e lavorava ininterrottamente 12-15 ore. Se lei si scatenava il poeta si rifugiava a scrivere dal pittore Francesco Paolo Michetti, che gli aveva messo a disposizione una stanza isolata nel convento sconsacrato che usava come atelier. C’erano solo un letto, un comò pieno di manoscritti, un tavolo di pino "con 10 risme di carta vergine, 20 litri d’inchiostro, 50 scatole di penne". In quei periodi di lavoro beveva solo acqua e tè, fino a 12 tazze al giorno.
• Durante una crociera in Grecia a bordo del Fantasia (salpò da Gallipoli il 29 luglio 1895), D’Annunzio si attira le critiche del suo traduttore: "dedica un’attenzione spropositata alla cura del suo corpo". La mattina lo si vede sul ponte insaponarsi nudo, interminabilmente, e farsi gettare a gara dei secchi d’acqua dai marinai. Il pomeriggio, sempre nudo, passa il tempo ad abbronzarsi al sole e si abbandona a lunghe sieste.
• Eleonora Duse recitava quasi senza trucco: solo un leggero fondotinta per uniformare il colorito.
• Tra le cose della Duse che D’Annunzio apprezzava, la lunghezza delle gambe, qualità indispensabile visto che lui lamentava come alle donne «spesso mancassero 7 centimetri in quel punto della loro anatomia».
• D’Annunzio propendeva anche all’esibizionismo: una sera del 1884 a Roma "interpretò" San Sebastiano appoggiandosi nudo a un albero dei giardini di Villa Medici per mostrare al chiaro di luna i morsi con cui Olga Ossani gli aveva ferito il corpo.
• La Duse scriveva usando inchiostro viola o una matita. La sua grafia sciolta e ampia a volte più pigiata mostra un temperamento ciclotimico. Era soggetta a sbalzi d’umore e capricci. I genitori, da bambina, le dicevano «Non ci si meraviglia che tu sia agitata, sei del ’59, hai la guerra in corpo».
• La corrispondenza che D’Annunzio indirizzò alla Duse è andata quasi del tutto distrutta, a lungo si è creduto che fosse stata la figlia di lei, Enrichetta, a far scomparire le lettere (il poeta glielo rimproverava in un telegramma del giugno 1934), probabilmente invece a farle sparire fu la sorella di Giuseppe Giacosa, alla quale l’attrice le aveva affidate pregandola di distrugerle dopo la sua morte.
• D’Annunzio conservava anche le copie dei telegrammi che scriveva. Sembra che il poeta abbia scritto oltre 200mila lettere, inviate per lo più come raccomandate o consegnate a mano. Quando rompeva con una donna non esitava a chiederle indietro. La sua stanza all’Hotel Mirabeau, a Parigi, era ingombra di lettere d’ammiratori, che si accumulavano formando uno strato di parecchi centimetri.
• A Pisa D’Annunzio e la Duse suggellarono il loro "Patto d’alleanza" con il quale promisero di dar vita al teatro del loro sogno, lui come autore lei come interprete. Questo nuovo teatro doveva sorgere all’aperto, nei pressi del lago di Albano, vicino Roma. Il primo lavoro avrebbe dovuto essere "La città morta". Invece il poeta tradì la Duse offrendo la prima del lavoro, terminato l’11 novembre 1896, alla rivale Sarah Bernhardt. Per la Duse era "riservata" la rappresentazione in Italia. La cosa causò una rottura tra i due amanti.
• A Washington, durante la tournée americana del 1896, la Duse ebbe tra gli spettatori il presidente americano Stephen Grover Cleveland e la moglie, che la invitarono alla Casa Bianca.
• Per salvare la casa di famiglia, che la madre rischiava di perdere, D’Annunzio firmò un contratto con Treves, il suo editore, per "Il Fuoco". Doveva consegnarlo il 1° dicembre 1896.
• Nel gennaio del 1897, a Roma, D’Annunzio venne visitato da un medico a causa di una forte depressione; gli venne diagnosticata una "minaccia d’anemia cerebrale". Per questo, anziché al lavoro si dedicò a "sane orge muscolari". A fine febbraio, durante una battuta di caccia cadde con tutto il cavallo. La bestia morì, il poeta si lussò una spalla, ammaccò una costola e ruppe il naso. Il riposo forzato lo riportò alla stesura de "Il Fuoco".
• Tra il marzo e l’aprile del 1897 D’Annunzio e la Duse si riconciliarono.
• La Duse non provava: «Se i miei compagni non possono veramente fare a meno di me, allora consento a venire sulla scena per dargli le mie indicazioni, ma non ripeto! Come si può ripetere? Lavoro nella mia stanza, costruisco tutto il mio personaggio col pensiero ed è ancora là, nel silenzio e nella solitudine, che lo faccio vivere». Le capitava anche di tagliare selvaggiamente il testo se lo giudicava spiacevole.
• Al debutto parigino della Duse, nel 1897, la rivale Sarah Bernhardt si presentò coronata di rose rosse e rimase in piedi applaudendo i passi che producevano meno effetto sul pubblico. In questo modo "rese il favore" alla Duse, che poche sere prima aveva assistito, applaudendo in piedi, a un suo spettacolo.
• Sarah Bernhardt usava come giaciglio una bara imbottita. Stravagante, indossava gioielli vistosi, adorava le tuberose e le lampade velate da crêpe. Conosciuto D’Annunzio (che arrivò a Parigi il 16 gennaio 1898 e si fece precedere da una quantità di fiori inimmaginabile), lo trovò «meraviglioso, squisito, ma così brutto. I suoi occhi, signore, sono... due piccole cacche».
• Il 2 maggio 1897 nacque Gabriele Dante, figlio di D’Annunzio e di Maria Gravina. D’Annunzio non lo volle riconoscere, aveva anche tentato a più riprese di farla abortire, attribuiva la paternità a un cocchiere. La contessa minacciava di far morire il bambino se lui l’avesse abbandonata. Un giorno immerse il piccolo nell’acqua gelida e lo lasciò esposto a correnti d’aria.
• Quando venne eletto deputato di Ortona, battendo con 1.429 voti contro 1.259 l’avvocato socialista Carlo Altobelli (che lo aveva difeso nel processo per adulterio subìto 4 anni prima) il partito rivale chiese l’annullamento per motivi morali. Ci sarebbero riusciti se Maria Gravina (vedi) non avesse "perso" le lettere nelle quali il poeta la incitava ad abortire: D’Annunzio, con la complicità della moglie Maria di Gallese, mandò alla Gravina un servitore che sedusse la cameriera della contessa e rubò la corrispondenza nascosta in un secrétaire. Nel dicembre del 1897, portando via solo una valigia, abbandonò la Gravina. La "Penelope siciliana" finì per capitolare e abbandonò Francavilla portando con sé i figli. Riapparirà nella vita di D’Annunzio solo quando lui reclamerà la custodia della figlia Renata.
• Nel settembre 1897 la Duse si stabilì a Settignano, in una fattoria che battezzò Porziuncola, dal nome del luogo in cui si incontravano Santa Chiara e San Francesco. I muri del piano terra erano verde scuro e rosso intenso, c’erano riproduzioni di Botticelli, Mantegna e Desiderio, libri e fiori erano sparsi ovunque.
• D’Annunzio affittò, sempre a Settignano, La Capponcina, da lui ribattezzata Settignano da Desiderio. Puro gioiello dello stile toscano del XV secolo, collegata da un sentiero alla Porziuncola, la villa della Duse, era ammantata di edera e circondata da lauri, cipressi e ulivi. Il proprietario, marchese Giacinto Viviani della Robbia, pretendeva un affitto di mille lire l’anno, cioè un prezzo assai elevato. Il poeta gliene offrì 1500 per averla vuota. Ai mobili e alle "cose superflue" avrebbe provveduto la Duse. Venne arredata con broccati rari, mobili Rinascimento, ferri forgiati, spade, granelli d’incenso, soprammobili preziosi ovunque. Dappertutto iscrizioni in latino. In salotto divani profondi e copie degli schiavi di Michelangelo, nella sala da pranzo un pianoforte e una tavola da refettorio monastico. Non si usava tovaglia, ma dopo il dessert agli ospiti veniva offerto uno sciaquadita in argento con "acqua di Nunzia", essenza ideata dal padrone di casa che cercò anche, invano, di commercializzarla. La camera da letto, detta Camera del Fuoco, era foderata di tappezzerie rosso fiammante. Ai piedi del letto una riproduzione in bronzo dell’Auriga di Delfi. Nello studio angeli di legno dorati, raccolte di canti liturgici e leggii, perché il poeta amava lavorare in piedi. L’abbeveratoio del canile (appassionato di levrieri, quando scoppiò la guerra temeva che potessero non ricevere abbastanza carne) era un’acquasantiera.
• Leggende: D’Annunzio beveva champagne nel cranio di una vergine, dormiva su un cuscino imbottito con i capelli delle amanti, portava pantofole di pelle umana.
• Foscarina, protagonista de Il Fuoco, non rappresenta altro che l’immagine degradata della Duse, esibita senza scrupoli come una donna appassita, stanca d’aver troppo vissuto, avvelenata dall’arte. Anche la dedica era esplicita: "A Eleonora Duse oggi e sempre..." Pare che lei avesse tentato di impedirgli la pubblicazione dicendosi pronta perfino a vendere i gioielli per pagare la penale. Ma i documenti provano che l’attrice è sempre stata al corrente di quanto il poeta scriveva.
• Nel luglio del 1900, per l’ennesima volta riconciliati, D’Annunzio e la Duse si rifugiarono a Marina di Pisa. Ogni mattina si vedeva il poeta cavalcare sulla spiaggia, l’attrice aspettava in terrazza il momento di portargli un mantello di porpora col quale si avvolgeva dopo il bagno.
• Per l’allestimento della Francesca da Rimini (finita di scrivere il 4 settembre 1901) la Duse spese quasi 400mila lire, più o meno 2 miliardi attuali.
• Nel 1904 D’Annunzio prese come amante Alessandra Carlotti di Rudinì, vedova a 27 anni di Marcello Carlotti del Garda, figlia del presidente del Consiglio Antonio di Rudinì, bionda, molto alta, eccellente amazzone, intelligente e colta. Inoltre fece interpretare Mila, protagonista de La figlia di Iorio, a Irma Gramatica. La Duse decise di rompere. Sull’orlo del suicidio, aveva perfino comprato una pistola; decise di partire per una tournée all’estero. Passò prima da Settignano, all’inizio di maggio. Fu in occasione di quella visita, secondo alcuni biografi, che tentò di incendiare la Capponcina dopo aver trovato nella propria stanza due piccole spille per capelli.
• Alessandra Carlotti (vedi), sopranominata Nike da D’Annunzio, entrò alla Capponcina a metà maggio 1904 al braccio del poeta, era preceduta da un corteo che spargeva petali di rose. Alessandra e D’Annunzio ruppero nel 1906. Nel 1911 Alessandra entrò suora in un convento Carmelitano, vi morì superiora dopo aver fondato 3 comunità.
• Superstizioso, D’Annunzio non datava mai l’anno 1913 se non così: 1912+1.
• Il 25 gennaio 1909 i medici decretarono la malattia polmonare della Duse. Si ritirò a Firenze, al 54 di via della Robbia. Per un anno condusse esistenza ritirata, uscendo spesso velata di nero. Nell’estate del 1910 entrò nella sua vita Cordula Poletti detta Lina, poetessa di circa 20 anni, con la quale intrecciò una relazione che venne celata con pudore da molti biografi. Durò due anni, poi la Duse la lasciò e progettò il ritorno alle scene.
• Soprannomi dati da D’Annunzio alla Duse: Lenor, Isa, Ghisola.
• Il pittore Boldini, notando le vene rigonfie sulla fronte calva del poeta, durante una cena esclamò: «Guardatelo, quel D’Annunzio, gode perfino con la fronte!».
• Nel 1917 riprendono i contatti epistolari tra D’Annunzio e la Duse. Saputo di oscuri pericoli che minacciavano il poeta, la Duse gli scrisse più volte per invitarlo ad essere guardingo.
• Un’altra lettera consola D’Annunzio per l’approssimarsi del 27 gennaio 1918, primo anniversario della morte della madre.
• Il 17 gennaio del 1921 D’Annunzio lascia Fiume per Gardone Riviera, nella villa da lui ribattezzata Il Vittoriale (dal nome di una raccolta di poesie sulla guerra). Qui vive solo la notte, leggendo, lavorando, assumendo cocaina e facendosi cullare dal pianoforte suonato da Luisa Bàccara, nuova compagna.
• A 62 anni, dopo 12 anni di assenza, la Duse torna in scena il 5 maggio 1921 al Balbo di Torino. Nonostante l’età appare senza trucco, con i capelli bianchi. In platea c’è Gabriellino D’Annunzio, venuto con un fascio di fiori al posto del padre.
• Il 13 agosto 1922 alle 23 D’Annunzio cade da una finestra al primo piano del Vittoriale. La versione ufficiale lo vuole seduto sul davanzale della finestra che ascolta la musica di Luisa Bàccara. Si fratturò il cranio. Fu in piedi in 12 giorni. Il 10 agosto 1923 la Duse scrive l’ultima lettera a D’Annunzio: «L’anniversario della finestra di Gardone è vicino. Figlio, un saluto, un augurio. Vivere costa quanto morire».
• La Duse morì il 21 aprile 1924, la notte di Pasqua, a Pittsburg, mentre era in tournée.
• I funerali nazionali della Duse avvenero a Roma alla presenza di D’Annunzio e del governo. La sua tomba è nel piccolo cimitero di Asolo, su un promontorio che domina il Veneto fino al mare. Sulla lapide un nome, senza data. Avrebbe voluto questa epigrafe, mai incisa: "Fortunata, disperata, fidente".
• Alla morte della Duse, D’Annunzio si chiuse nel Vittoriale. Convocava medium e diceva di essere in contatto con lo spirito della "Dolce Morta". La sua salute si deteriorò all’improvviso nel 1936. Ossessionato dall’idea della decomposizione fisica e sentendo vicina la fine, avrebbe avuto perfino l’intenzione di tuffarsi in un bagno d’acido per distruggere i suoi tessuti. Morì al tavolo da lavoro il 1° marzo 1938 alle 20.05, per emorragia cerebrale. Sullo scrittoio, tra soprammobili e libri rilegati, parecchie versioni di una dedica incompiuta: «A Eleonora Duse/testimone velata/che d’improvviso/pari allo splendore del suo presagio il combattente/desiderò nei voti del suo perdono...».