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 2016  settembre 22 Giovedì calendario

Intanto il declino demografico sta uccidendo l’Italia

I demografi hanno un numero totem: 2,1. È il “tasso di sostituzione” e indica il numero medio di figli che le donne dovrebbero avere perché in una comunità ci sia un ricambio generazionale. Al di sotto di questa soglia ci sono conseguenze che investono tutta la società. Quali? Ce lo racconta Alessandro Rosina, ordinario di Demografia alla Cattolica di Milano.
Professore, da demografo, cosa pensa della campagna del Fertility Day?
«Capisco le polemiche, il messaggio è completamente sbagliato. Ma al di là di queste, il problema è terribilmente serio».
Qual è l’errore?
«Non è vero che le donne italiane non vogliono fare figli, per fortuna ancora oggi desiderano averne almeno due. Il problema è che manca tutto il contorno. Non puoi dire a un giovane: “Lanciati!” e poi non mettergli una rete sotto. Si sfracella ed è un esempio negativo per i suoi coetanei. Servono politiche in favore dell’occupazione, della casa, degli asili. Purtroppo da noi si pensa di risolvere tutto con qualche pezza temporanea come il bonus bebè. Non basta, siamo sotto la soglia di sostituzione da troppo tempo».
È così cruciale questa soglia?
«Sì, quando il tasso di fecondità scende sotto questo numero si riduce la forza lavoro e quella che si affaccia sul mercato è meno preparata, c’è minor innovazione e competitività. Gli anziani sono più numerosi dei giovani, aumentano le spese sanitarie a cui bisogna far fronte con un minor gettito proveniente dal mondo produttivo. Il welfare scricchiola perché il sistema pensionistico deve far fronte a più pensioni pagate da una base sempre più ristretta di lavoratori, ma ci sono conseguenze anche politiche».
Ovvero?
«La politica risponde al proprio elettorato e se questo è formato soprattutto da anziani si guarderà più alle loro esigenze. Questo vuole dire, come successo in Italia, politiche in difesa delle pensioni esistenti con costi caricati su quelle delle nuove generazioni, tutela delle rendite, scarsa attenzione a sviluppo e progresso. Si restringe l’orizzonte temporale, la politica guarda all’oggi come fa fisiologicamente il suo elettorato, ma mai al domani».
È uno dei tanti squilibri italiani?
«Non è uno squilibrio, è “lo” squilibrio che produce tutti gli altri: sociali, economici, culturali».
Però non siamo soli: Polonia, Ungheria, Spagna hanno tutti tassi più bassi del nostro.
«In alcuni casi, come in quello dei Paesi dell’Est, l’incapacità della politica a rispondere al problema della povertà produce una reazione di tipo “riproduttivo”. Ma non illudiamoci: in Italia il problema è più grave».
Perché?
«Perché noi siamo sotto la soglia di sostituzione dal 1976, quarant’anni. Siamo il Paese che è in questa situazione da più tempo».
Questo cosa comporta?
«La prima generazione dei nati sotto la soglia è oggi arrivata in età riproduttiva. Significa che rispetto ad altri Paesi in cui il fenomeno è più recente, noi abbiamo la base delle donne feconde ulteriormente ridotta. Rischiamo un avvitamento verso il basso al quadrato».
È un punto di non ritorno?
«Non esiste questo limite, ma significa che le politiche in favore della crescita demografica che potevamo mettere in campo vent’anni fa oggi costerebbero il doppio. Da noi nel 2015 il tasso di fecondità era di 1,35 figli per donna. In Danimarca, che ha appena lanciato un’imponente campagna in favore della riproduzione, sono a 1,7. Loro ci stanno pensando per tempo».