La Stampa, 20 settembre 2016
Tags : Violenza sulle donne Italia
Quei 1.600 orfani dei femminicidi
Sembrerebbe un altro caso di femminicidio ai danni di una donna di 40 anni, di status sociale alto, quello avvenuto a Ravenna. La violenza di genere contro le donne è un fenomeno trasversale alle classi sociali, specie se attuato da partner o ex. Non riguarda soltanto una popolazione poco istruita o che vive in ambienti degradati. I partner e gli ex sono gli autori delle violenze più gravi. La maggioranza degli stupri è opera loro e così anche delle violenze fisiche, dei tentativi di strangolamento, soffocamento e ustione, o dell’essere forzati ad attività sessuali considerate umilianti.
Il momento della separazione rappresenta una particolare criticità, prima, durante e dopo, soprattutto se la decisione viene presa dalla donna. È la fine della proprietà del corpo femminile, che può rappresentare una scintilla incendiaria per l’uomo e scatenare la furia femminicida, che non è affatto un raptus, o una patologia, ma una violenza grave, efferata, frutto della volontà di dominio maschile sulla donna.
Vittime sono però anche le donne che si sono prostrate, ma a cui viene rimproverato di non averlo fatto abbastanza. Gli uomini che la esercitano sono sempre più pericolosi, sì… pericolosi, aumentano le donne che hanno avuto paura per la propria vita durante la violenza da parte del partner o ex, anche se sono diminuiti i vari tipi di violenza (vedi il secondo grafico in alto).
I femminicidi sono sostanzialmente stabili e inchiodati, e così gli stupri. Per molti anni la violenza sulle donne è stata invisibile. Invisibili le donne che l’hanno subita, invisibili le forme che assumeva. Silenzio colpevole, tragico e agghiacciante, solo perché era scomoda. Solo perché il mondo era dominato da uomini superficiali, se non addirittura complici. Le donne dovevano dimostrare di non essere consenzienti, ed anche adesso succede.
Dopo il danno anche la beffa, come ben presentato nel «Processo per stupro» del 1979 con l’avvocata delle donne Tina Lagostena Bassi, che sarebbe bene la Rai, tv pubblica, mandasse presto in prima serata. Ora i media ne parlano di più, e ciò aiuta a far crescere un clima di condanna sociale. Ma la strada è lunga, e c’è bisogno di una grande battaglia culturale anche da parte maschile. Tante donne riescono a uscire dall’incubo, grazie alla loro forza, all’azione dei centri antiviolenza, delle strutture sanitarie, e anche delle forze dell’ordine. I media dovrebbero raccontare di più le storie delle donne che ne sono uscite e promuovere l’aumento della coscienza femminile che ormai è visibile. Servirebbe a tante altre donne che vivono in una situazione analoga per prendere coraggio.
Esiste, però, ancora una grande invisibilità non superata, quella dei figli, spesso piccoli o minori, che fanno parte della famiglia in cui viene esercitata la violenza del padre contro la propria madre. Non se ne parla. Il fenomeno è in crescita. Considerando le coppie con figli in cui è avvenuta una violenza contro la donna la percentuale di quelle in cui i figli hanno assistito alla violenza è passata dal 60,3% al 65,2%. Assistere alla violenza della propria madre oltre a compromettere il benessere dei bambini, accresce la probabilità per i figli maschi di diventare autori di violenza contro la propria futura compagna e delle figlie femmine di diventare a loro volta vittime. È un trauma difficilmente superabile. Figuriamoci se la violenza sfocia in femminicidio. Lo ha studiato a fondo la professoressa Anna Baldry negli ultimi 4 anni e presenterà i risultati della ricerca domani alla Camera dei Deputati: muore la madre e anche il padre, o perché si suicida, nel 30% dei casi, o perché in carcere. Negli ultimi 10 anni sono stati stimati dalla ricerca in 1600 circa, vengono affidati o ai nonni materni o agli zii, a volte dati in adozione. A volte rimangono nel luogo in cui sono nati laddove il diritto all’oblio è difficile. Si apre una vita costellata di difficoltà. Possibile che non ci interessiamo di loro? Quanto ci dotiamo di politiche che affrontino il loro dramma, o quanto invece, tutto ciò rimane gestito da nonni o zii a cui sono affidati, o alle famiglie che li hanno presi in adozione, soli di fronte alla tragedia? Bisogna interessarsene, è un nostro dovere, un dovere della politica, ma anche della società civile. Abbiamo tanti giovani che studiano queste tematiche e si impegnano nel volontariato, creiamo posti di lavoro su queste questioni, lavoriamo per migliorare il benessere dei bambini, delle donne, dei cittadini tutti. Sosteniamo i centri antiviolenza. Rimettiamo al centro delle nostre politiche la Cura con la C maiuscola, le relazioni umane e soprattutto facciamo tesoro dei risultati delle ricerche scientifiche che squarciano il velo del non detto, dell’invisibilità.