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 2016  settembre 19 Lunedì calendario

Il miliardario che ha deciso di fare un’opera di bene a settimana

Cinquemila euro sul conto dei vigili del fuoco della caserma di Pesaro Urbino. Sono arrivati oggi, proprio mentre state leggendo queste righe: è una donazione che giunge dal Principato di Monaco, da uno di quei palazzi elegantissimi che si affacciano sulla Costa azzurra. L’assegno porta la firma di un ragazzo di 26 anni. «Sconvolto da quanto successo in Italia, ho pensato di contribuire con un piccolo gesto per ringraziare quelle persone che, mettendo a rischio consapevolmente la loro vita, hanno salvato tante persone», spiega Alex Fodde. È lui il benefattore: vive a Montecarlo, è cresciuto in Svizzera e ha sangue italiano nelle vene (padre svizzero di origini sarde, madre spagnola con radici liguri). Fodde fa il trader. Sì, di quelli che girano in Ferrari e in elicottero, di quelli che hanno ville in Costa smeralda e girano il mondo, di quelli che maneggiano tanti, tanti soldi. Ha fondato il GodHand Hedge Fund, istituito in dollari, con dipendenti che operano su tutti i mercati e clienti navigati che si fidano del suo intuito, nonostante l’età. «Lavoro dalle 8.30 del mattino alle 3 di notte: la seria studio, mi informo. Sono curioso di tutto».
Carriera fulminante dopo studi superiori in svizzera, master ed esperienza in America, Fodde è un giovane milionario, ma di una specie diversa da quella le cui spacconate sbirciamo su Instagram. Indefesso lavoratore, appassionato di arti marziali, religioso «ma non nel senso tradizionale del termine», Fodde dimostra più dei suoi 26 anni. Ha vinto la sua naturale ritrosia e per la prima volta parla di sé: la donazione ai vigili del fuoco intervenuti nel terremoto è infatti solo il primo atto di un progetto di generosità molto più ampio su cui rifletteva da tempo. La tragedia di Amatrice e degli altri comuni colpiti ha solo accelerato i tempi e ha fatto iniziare un po’ prima il suo «anno di bene».
Alex Fodde, di che cosa si tratta?
«Per 52 settimane cercherò di risolvere qualche piccolo problema di gente in difficoltà».
Come?
«Ho deciso di investire nel progetto 150mila euro di tasca mia: quasi tremila euro la settimana. Ogni sette giorni, per un anno intero, cercherò persone, enti o istituzioni che meritino la mia donazione. E che con quelle poche migliaia di euro possano tirare il fiato per rialzarsi. Lo farò a modo mio, però».
Vale a dire?
«Mi baserò sulle storie che leggerò sui giornali italiani. Ogni settimana farò una selezione dei casi che potrei aiutare con il mio piccolo contributo. Manderò poi dei miei collaboratori a verificare la situazione sul posto e a consegnare di persona il denaro a chi ne ha bisogno. Darò priorità alle segnalazioni che coinvolgono famiglie con minori».
Perché ha pensato all’Italia?
«Sono svizzero, ma la mia famiglia è di origine italiana. Anche se ho vissuto a Lugano e a Ginevra, oggi vivo a Monaco e ho aperto un nuovo studio a New York, l’Italia è un posto speciale per me. Questo progetto è un omaggio alle mie radici, un modo per dire che non dimentico da dove vengo».
Finora tutte le raccolte di fondi sono state fatte a favore della popolazione terremotata: lei ha scelto i vigili del fuoco. Perché?
«Credo sia un riflesso dell’11 settembre».
L’11 settembre 2001? Ma lei allora era un bambino di solo cinque anni: che ricordi ha?
«Più che ricordi personali, conosco la vicenda perché ho studiato la speculazione finanziaria che ne è seguita. Il ricordo delle azioni valorose dei pompieri di New York mi ha fatto pensare al lavoro, spesso sottopagato, di tante persone che salvano vite umane. La mia donazione è a fondo perduto: i vigili del fuoco potranno farne ciò che vorranno».
A 26 anni potrebbe passare il tempo libero a divertirsi.
«E chi dice che non lo faccio? Adoro correre sui motori, su pista. Amo andare sulla mia Ferrari, ho una passione per gli aerei. Viaggio e mi diverto con Caroline, la mia compagna. Non sono mica un santo o un eremita e non penso certo di risolvere i problemi del prossimo con tremila euro la settimana».
E allora, perché lo fa?
«Sono stato educato così dalla mia famiglia: bisogna sempre restituire una parte di ciò che ci dà, bisogna dare il buon esempio se si vive in una condizione privilegiata. Si chiama responsabilità, una parola che sento pronunciare poco dai miei amici italiani».
Ovvio.
«Vengo da una famiglia benestante, ma mi sono sempre rimboccato le maniche. Mi è servito molto andare a New York, quando ero molto giovane: lì ho scoperto l’importanza della motivazione. Che ti fa fare qualsiasi cosa, anche azioni che non sono condivise dai miei coetanei».
Vuole dire che i suoi amici non hanno apprezzato il suo gesto di generosità?
«Apprezzano, ma non capiscono fino in fondo. Dicono che non cambia nulla. Invece cambia tutto. Donare agli altri mi fa stare bene».
Molti preferiscono farlo in silenzio.
«Lo trovo sbagliato. Mi spiego meglio: sono felicissimo che la raccolta degli sms solidali per il terremoto stia andando bene, ma la beneficenza in silenzio non basta. Credo che rivendicare un atto di generosità, con semplicità e onestà, possa essere da stimolo per gli altri. Non ho bisogno di medaglie: la fiducia dei miei clienti l’ho conquistata sul campo, lavorando sodo fin da quando avevo 16 anni, dopo la scuola. Vorrei invece che qualcuno dei miei amici, anziché imitarmi sul tipo di macchina da comprare, seguisse questo tipo di esempio. E che l’idea di un anno di bene si moltiplicasse, ognuno nella misura in cui può».
Sentirsi fare la morale da un trader non piacerà a molti.
«Lo so. Appartengo a un mondo, quello della finanza, che è visto come il diavolo. Credo invece che si possano maneggiare i soldi rimanendo umani. Ehi, fare profitto non è mica un peccato! In Italia c’è da sempre avversione verso la ricchezza, un’invidia sterile. Dovrebbe esserci invece volontà di emulazione. Avere tanti soldi è una responsabilità: abbiamo il potere di fare tanto, compreso di condividere con i più deboli e svantaggiati il frutto derivante dal nostro lavoro».
Continuerà a lavorare a questi ritmi, in questo settore?
«Il lavoro nella vita è essenziale, è una parte importante di me e ho intenzione di continuare ancora, almeno fino ai 50 anni».
E poi?
«Quando sarò sicuro di avere creato qualcosa da lasciare ai miei figli, mi dedicherò solo a loro, a crescerli per bene».