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 1916  luglio 16 Domenica calendario

L’isola dei naufraghi

Spiaggia deserta di un’isoletta disabitata. È il crepuscolo. L’isola appare come un solo grande scoglio, con una croce in cima. Pietre pietre e pietre s’ammucchiano intorno, livide, verdastre, simili a onde pietrificate. Il mare è agitato, bianco e nero al crepuscolo, con lontani bagliori che a poco a poco si spengono. Solo all’orizzonte, fra il mare e il cielo scuro rimane una striscia rossa luminosa.
Una barca nera si disegna su quel rosso, coi remi che sembrano insanguinati. Si distacca dall’orizzonte, si avanza rapida, oscillante, come portata dalle onde in corsa furiosa verso l’isola. Un uomo imbacuccato la guida; nella penombra si distinguono le sue mani bianche e fini aggrappate disperatamente ai remi. La barca è presso la spiaggia, ma l’approdo è difficile e le onde, retrocedendo dopo essersi sbattute contro gli scogli, pare la vogliano riportare con loro in alto mare.
Un’ondata più impetuosa delle altre balza come un cavallo marino contro la barca; non potendo capovolgerla la solleva, la respinge al largo.
Le mani dell’uomo si allentano, stanche; una di esse, la sinistra, abbandona il remo, ma tosto la barca pende da quel lato e l’acqua la invade.
La mano riafferra il remo, si fa livida e dura e ricomincia a vogare con uno sforzo supremo.
Altre ondate risospingono violentemente la barca contro la riva.
Finalmente l’uomo riesce ad approdare. Tira a secco la barca, e dopo averne tolto un fagotto la capovolge e la nasconde fra gli
scogli. Si guarda intorno sospettoso e quando si è convinto d’essere in un luogo perfettamente deserto lascia cadere il suo cappotto e appare qual è; un giovane, quasi ancora un fanciullo, alto, bello, decentemente vestito. Solleva il cappotto e lo sbatte in alto come una grande ala nera, lieto di sentirsi salvo.
– Non voglio morire! – grida.
Spiega il suo cappotto sulla sabbia e vi si stende, guardando verso le lontananze del mare.
– Sì, questa è l’Isola dei Naufraghi, della quale ho sempre sentito raccontare. La croce, in cima, la distingue da tutte le altre. Tutte le navi di passaggio non mancano di costeggiarla per raccogliervi i naufraghi. Io dirò di esserne uno e mi farò portare in qualche paese lontano dove non ci sia la guerra, dove sarò libero e potrò vivere. Io non voglio morire.
La luce si spegne intorno: anche la striscia rossa all’orizzonte s’è fatta nera. Solo il mare conserva qua e là un bagliore cupo, come di occhi mostruosi luccicanti nel buio. Il giovine esplora sempre le lontananze, in attesa d’una nave che non passa. Vinto dalla stanchezza di tanto in tanto si assopisce e poi si scuote e si sveglia di soprassalto e si assopisce di nuovo, e ogni volta che ricade nel sonno rivede i quadri più vivi del suo passato.
Si rivede bambino a giocare in un giardino pubblico. Il vento di primavera scuote e fa scintillare gli alberi; fanciullette vestite di bianco e di rosa, coi capelli d’oro agitati dal vento passano e ripassano nello sfondo dei viali, come angioli in un piccolo paradiso terrestre.
– Poi la mia mamma m’insegnò a leggere.
E gli anni passavano, eguali e dolci, dolci ed eguali.
E si rivede adolescente coi compagni della sua età, in riva al mare. Seminudi, si gettano fra le onde e scherzano con esse, più agili e freschi di esse. Egli è il primo nelle gare di nuoto, nelle corse ai remi, nelle corse sulla sabbia lungo il mare luminoso.
E gli anni passavano, dolci ed eguali, eguali e dolci.
Si rivede nella sua modesta cameretta, a studiare, di notte, sotto la lampada verde.
E l’orizzonte della vita si rischiarava come il cielo all’alba.
Si rivede di nuovo nel viale ove giocava bambino. Il vento di primavera scuote e fa scintillare ogni cosa intorno. Egli è già grande e una fanciulla è con lui.
Poi venne il turbine.
Si rivede, in una strada affollata. Passano file interminabili di soldati. Egli legge sui muri gli affissi che chiamano al servizio militare i giovani della sua età.
E di nuovo nella sua cameretta, dove si prepara, spaurito, a fuggire senza salutar nessuno.
È in fuga verso il mare.
Al ricordo si riscuote e balza in piedi.
– Ho vissuto troppo poco. Non voglio morire.
Intanto è scesa la notte. Ma d’improvviso un raggio di luce viene dallo sfondo della spiaggia e illumina vivamente la sabbia.
Il giovine si china a guardare e si risolleva turbato.
– Orme umane recenti!
Istintivamente fugge e si nasconde dietro gli scogli.
Una figura d’Eremita appare, con una lanterna cieca in mano. Sembra l’immagine del Tempo,
Con la sua lanterna, sollevandola e abbassandola, esplora come con un riflettore gli angoli dietro gli scogli.
Si vede, di tanto in tanto, la figura del giovine, di nuovo imbacuccato, che appare e dispare come un’ombra, sempre continuando a fuggire e a nascondersi, mentre l’Eremita
insegue.
Finché con questo gioco di luce e d’ombra, di fuga e d’inseguimento, si ritrovano entrambi all’ingresso di una grotta.
Il giovine è il primo a penetrarvi, sempre tentando di sfuggire all’Eremita. Tutto è nero nella grotta.
L’Eremita a sua volta si avanza e solleva la lanterna. La grotta s’illumina e appare radiosa come un arcobaleno. Nel centro, sotto l’arco luminoso, anche la figura dell’Eremita è tutta risplendente.
Affascinato, il giovane retrocede dal fondo buio, verso la luce. La sua figura rimane nera, opaca.
Vicini l’uno all’altro i due uomini si guardano. Poi l’Eremita abbassa la lanterna e tutto ritorna buio: solo intorno alle due figure rimane una breve aureola di luce.
La mano scarna dell’Eremita si tende verso il giovine.
– Chi sei, tu?
Il giovine tenta ancora di allontanarsi ma non può. È come imprigionato dal cerchio di luce che non gli riesce di oltrepassare. Finché si rassegna, e con le mani intrecciate sul petto, la testa bassa, si riavvicina all’Eremita.
– Sono un naufrago – mormora.
– Perché allora rispondi con tanta paura? perché ti nascondi? Mille e mille altri naufraghi ho veduto, scagliati qui dal mare. Erano tutti lieti, nel loro terrore, di essersi salvati. L’orma di un loro simile, sulla sabbia, li faceva balzare di gioia. E correvano per cercarlo. Tu invece sei fuggito. Hai commesso un delitto?
– Che v’importa? E voi, chi siete?
– Naufrago anch’io. Ma non aspetto il passaggio d’una nave, perché nessuna nave può ricondurmi alla terra.
– Avete commesso un delitto?
– Ho commesso un delitto. Ma dimmi prima il tuo.
– Sono un disertore.
– Così fanciullo, già disertore?
– La guerra chiama anche i più giovani.
– Perché non vuoi andare alla guerra? I fanciulli amano la guerra.
– Per gioco, non per morire. Io voglio vivere.
– Non hai già’vissuto? Non hai già conosciuto la gioia e il dolore?
– Li ho appena intraveduti. Voglio conoscerli. Voglio vivere.
– E per vivere tu hai abbandonato e tradito il tuo paese, tua madre, il tuo amore?
– È per essi che voglio vivere.
– E in verità io ti dico che, se essi son vivi, tu sei morto per loro.
– E sia. Voglio vivere per me.
– Anche per te sei morto. Guardati.
Trae dalla manica uno specchio. Il giovine si guarda e nello specchio vede la figura dell’Eremita.
– Questo non è uno specchio. È il vostro ritratto.
– Ed io ti dico che sei tu. La tua figura esteriore, quale tu l’hai finora veduta negli altri specchi, non è che una maschera. La tua vera figura è questa. Ascoltami, adesso ti parlerò di me.
Solleva e abbassa la lanterna e ad ogni frase ch’egli pronunzia, sullo sfondo rapidamente illuminato della grotta appaiono e scompaiono i quadri della sua vita passata.
– Sono stato anch’io giovine e bello. Avevo tutto quello che tu sogni e che tu avrai.
Amai i giochi, lo studio, il piacere, le emozioni, le avventure, la caccia e le corse, il sogno e l’azione. E viaggiai e vidi i deserti e le città.
Ritornai nella mia casa e amai la famiglia, gli amici, l’arte, il potere. Tutto ho avuto.
Conobbi gli uomini grandi.
Conobbi la gloria.
Il rischio e il pericolo.
Il dolore e il tradimento.
I potenti della terra chiesero il mio consiglio.
Il popolo mi acclamò.
E la stanchezza della vita mi prese. Perché ho bevuto il calice della vita sino alla feccia.
E mi ritrassi come l’onda dopo che ha toccato la terra.
Desiderai di star solo con me stesso. E anch’io fuggii.
Disertato ho la vita perché ne ero sazio. Ma la morte non mi vuole perché troppo ho amato la vita. E tu, fanciullo, farai il giro della terra, vivrai come ho vissuto io e tornerai qui.
Ed io sarò ad aspettarti; e vivremo assieme nell’infinita disperazione di una vecchiaia senza morte, e quindi senza luce.
Perché solo la morte dà luce alla vita, e più la vita è vicina alla morte più è luminosa.
Beati quelli che muoiono fanciulli: poiché resteranno sempre fanciulli.
Beati quelli che muoiono per un sogno: poiché avranno per l’eternità il sogno.
Beati quelli che muoiono per la Patria: poiché essi stessi diventano la Patria.
Beati quelli che muoiono per l’Ideale, che è l’Infinito, e che solo si ottiene rientrando in esso.
Il giovine, sempre più turbato e convinto, si lascia a poco a poco cadere inginocchiato davanti all’Eremita.
– Vado a combattere.
L’eremita lo benedice, lo solleva e lo accompagna fuori della grotta.
Solleva la lanterna, e l’isola e il mare s’illuminano dei colori dell’iride.
La croce, in cima, appare tutta d’oro, circondata di raggi. L’Eremita l’addita al giovine.
– Per questo segno vincerai.