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 1916  luglio 16 Domenica calendario

Virginia Treves-Tedeschi (Cordelia)

Lutto a lutto! Dolore a dolore! Non sono ancora sei mesi dalla scomparsa di Emilio Treves, fondatore di questa Casa editrice, e dobbiamo piangere la morte di Virginia Treves nata Tedeschi, vedova di Giuseppe Treves, fratello di Emilio, coeditore, spentosi nel 1904. È profondo lutto per la letteratura delle famiglie italiane e di questa Casa editrice che Virginia Treves-Tedeschi, comproprietaria, amava come la pupilla de’suoi occhi; poiché, come ella diceva, se non l’avea vista nascere, l’avea vista prosperare e ne seguiva con fervido affetto le sorti, anco per il lavoro che in essa profuse per molti anni quale direttrice di giornali di mode, e autrice di libri, ch’ebbero larga diffusione. Noi (e quanti con noi!!) siamo costernati di tal fine quasi inattesa e angosciosa. Da più tempo, è vero, quella vita era limitata. Le aure di Pallanza dove, nella villa sua, la povera signora Virginia s’era ritirata per rinvigorire la fibra esausta, non valsero. La malattia si accanì su quel corpo infralito, lo colpì di paralisi, lo privò della parola; ma non poté spegnere subito l’intelligenza che mandava ancora visibili baleni. Straziante quella lotta fra lo spirito e la fibra! La morte la troncò nella mattina del 7 luglio fra le lagrime degli astanti.

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Virginia Tedeschi era nata il 22 marzo 1849, a Verona, da Guglielmo, pure veronese e da Fanny Modena, di Rovigo. Famiglia aurea, patriarcale, di assidui lavoratori quella, dalle tradizioni incorruttibili. La graziosa giovanetta si mostrava appassionata dello studio, specialmente della poesia e della letteratura. Lo zio Donato Tedeschi, fondatore della Casa editrice Drucker e Tedeschi di Verona, tanto benemerito della cultura nazionale, aiutò il padre di Virginia nel procurarle egregi maestri privati. Erminia Fuà Fusinato, la poetessa dai sinceri accenti, l’educatrice insigne, incoraggiò i primi passi letterarii e gli slanci patriotici della giovanetta. Costei nella città dell’Aleardi, l’intrepido, nobilissimo prigioniero di Mantova e di Josephstadt, e di quel conte Montanari, che lasciò sulle forche di Belfiore la patriotica vita sublime, bevve a larghi sorsi il patriotismo purissimo così diffuso nella Venezia.
Alcuni versi della giovanissima poetessa contro gli austriaci, che spavaldi spadroneggiavano a Verona, allora centro militare di prim’ordine, caddero in mani nemiche: e fu miracolo se la poetessa audace e la trepidante famiglia non furono colpite dai facili castighi della polizia.
Fu giorno di esultanza per lei quando ella, nel settembre del 1870, si sposò a Giuseppe Treves, triestino, che le apriva la facile via delle pubblicazioni, alle quali anelava con la mira del bene.
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Il primo libro di Virginia Treves-Tedeschi, apparve nel 1879 e fu il Regno della donna. Il regno, gentile e sereno, ch’ella vagheggiava per le sue consorelle, era la famiglia, era il focolare. Si vedevano appena le nuove correnti sociali, che dovevano portare la donna tanto innanzi. Il libro piacque. L’autrice, che si presentava col nome di Cordelia, adottato fin d’allora da lei quale «nom de plume», divenne da un giorno all’altro popolare. Mentre altre scrittrici, nate borghesi, assumevano a prestito falsi titoli nobiliari, e persino impuri, Virginia Treves-Tedeschi assunse quel dolce nome shakespeariano, simbolo di virtù.
Che cos’era, allora, la letteratura femminile in Italia, se non un campo ancora ristretto per la donna?... Le scrittrici italiane, che divennero poi così numerose, si contavano sulle dita; ma sorgeva Matilde Serao, destinata a dominare; sorgeva Cordelia destinata a educare.
Il principale carattere di Cordelia era appunto questo: educare. Le sue opere tutte – e formano una fitta schiera – sono improntate di quel suggello suo particolare, nitido e onesto. Come la vita sua si svolse nella purezza, così la letteratura sua si svolse nella inalterabile gentilezza e probità. La correttezza di Cordelia, l’affettuosità di Cordelia si segnalarono ancor più nel periodo (effimero per fortuna) nel quale la degenerazione del «realismo» permetteva tutte le audacie nella letteratura.
L’opera letteraria di Cordelia, oltre le sue prestazioni nei giornali di mode della Casa Treves (per più anni diresse la Margherita) è una delle più copiose. La sua penna non aveva intoppi, né pentimenti; scorreva facilissima. I manoscritti di Cordelia erano l’immagine incolume delle sue spontanee e serene impressioni; specialmente delle immagini del cuore. L’ingegno cercava, e il cuore trovava.
Vita intima, e Casa altrui (bozzetti e racconti), superarono la stessa fortuna del Regno della donna. Fra i romanzi, rammentiamo: Catene, Il mio delitto, Forza irresistibile, Per la gloria, L’ incomprensibile. Il «simbolismo» (altra scuola passata presto), l’allettò per un momento; ma non fe’presa in quello spirito veneto che mirava alle concretezze.
Cordelia eccelle, senza dubbio, nei libri pei fanciulli. Nella letteratura infantile, così difficile, il suo nome resterà. Ella aveva mente, cuore, stile, per scrivere a favore di quell’età preziosa. Ella la amava, l’infanzia. Ella, che non avea avuto il gaudio del sorriso de’bambini proprii, amava teneramente quelli degli altri; e lo sanno le care nipoti, figlie di quell’amatissimo e infelice fratello suo, Achille Tedeschi, precocemente rapito alla famiglia e al lavoro.
Mondo piccino, Mentre nevica, Nel regno delle fate, Il castello di Barbanera, I nipoti di Barbabianca fecero la delizia di mille avidi spiriti infantili. Non era raro che, trovandosi Cordelia in una stazione invernale o estiva di lusso, si incontrasse in qualche giovane sposa sorridente che le si rivelava come un’antica alacre lettrice de’libri scritti da lei per l’età de’primi sogni. Ma il successo maggiore, trionfale arrise a Piccoli eroi, che arrivò alla 62° edizione. Libro di ardori e di esaltazioni virtuose; libro di ardimenti generosi e belli; libro ispirato e ispiratore. Chi può dire quanti fra gli eroi che in questa sacra guerra di rivendicazione dei
nostri confini immolano lieti la vita, ebbero da quel libro il primo impulso all’olocausto?... Cuore di Edmondo De Amicis non rimane solo: il libro di Cordelia, Piccoli eroi, gli viene vicino: è suo figlio.
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Nella ricca sua casa di Milano, e anche nella sua villa di Pallanza, Virginia Treves-Tedeschi amava circondarsi di letterati, di scrittori, di artisti. Ella possedeva il talento di ricever bene. Anche i raffinati, avvezzi ai ricevimenti più squisiti, le riconoscevano quel talento non comune. Era amabile con schiettezza. Era amabile ricevendo lo scrittore di grido, come l’oscura giovinetta studiosa. Sentiva profondamente l’amicizia: seguiva con alletto, talora con ansia, i suoi amici nei tentativi, nelle avversità e nelle glorie. Come esperimentata della vita, amava esprimere anco agli amici osservazioni sulla vita, delineare direzioni, suggerire qualche consiglio; ma in lei nessuno di quei gesti da cattedra che rendono, sia pur leggermente, ridicola la signora elegante, che vuol legiferare. Le questioni sociali, specialmente sulla donna, l’appassionavano. Per più anni ella meditò Le donne che lavorano, il libro che si decise a pubblicare solo negli ultimi suoi giorni. Ella ben sapeva che il tema era arduo ed era divenuto, con lo svolgersi dei tempi, grandioso. Tema da economista di prima forza, da psicologo, da filosofo; tema che chiude i germi di mezzo avvenire dell’umanità. Il «ponderoso tema» l’atterriva; e non si risolveva perciò a trattarlo. Né lo esaurì; vi tracciò con fede le prime linee; e sulla tumultuosa folla delle competizioni, delle voglie, delle passioni, delle ineluttabili energie femminili, ella gettò la grazia del suo fiore.
Il «Lyceum» di Milano cosi bene’avviato, cosi utile, ora, co’suoi lavori, ai nostri valorosi combattenti, ritornava negli ultimi pensieri di Virginia Treves-Tedeschi. Ella fu una delle fondatrici e delle più ferventi fautrici, nella sfera letteraria, di quell’istituzione geniale, sorella a quella d’altre grandi città. La donna, che vive soltanto per i suoi gioielli, per le sue trine, per le sue vesti, oggi è più possibile?... Bisogna che anche la dama elegante e ricca conceda elette prestazioni sue al bene della società, del popolo, della patria. La presente guerra, che rivelò una nuova ammirabile Italia alla stessa Italia, trasformò in eroine della carità donne che parevano nate soltanto agl’incensi di prammatica. Cordelia, nell’ultimo suo libro, consacra belle pagine (e sono proprio le ultime scritte da lei) a quelle energie adorabili; e domani quelle nuove energie, che han messe già salde radici nella vita d’Italia, spiegheranno nuovi splendidi rami. Virginia Treves-Tedeschi li sperava, li aspettava fidente, col suo consueto sorriso buono che la illuminava. Non li vedrà più.