L’Illustrazione Italiana, 16 luglio 1916
Corriere
La grande azione di guerra dell’Intesa. Le medaglie al valore agli aviatori, e D’Annunzio. Le bande montenegrine e i Veciovitc. Il sottomarino Deutschland in America. Hughes e il libro di Roosevelt. Il nuovo sconvolgimento messicano. L’alleanza russo-nipponica per l’Estremo Oriente. L’attentato contro il presidente dell’Argentina. Il mutamento di Re nell’Annam e i complotti tedeschi.
Lo spettacolo della gran guerra è in quest’ora dei più imponenti. Si direbbe che la immane lotta sia incominciata appena adesso, con l’estate. Al confronto di quanto i bollettini riferiscono, da Ypres alla Galizia, dalla Somme all’Adamello, dalla Mosa e da Verdun alla Vistola, dall’alta Alsazia al basso Isonzo, all’Albania, a Salonicco, al Caucaso – le operazioni dei due anni precedenti appaiono tentativi, assaggi, movimenti tattici, in attesa di una preparazione, che ora si spiega in tutto il suo imponente sviluppo. Tutto ciò risalta con un’evidenza impressionante, specialmente per ciò che rispecchia l’azione grandiosa e brillantissima degli eserciti russi, dell’esercito inglese, dell’esercito italiano: attraverso sagrifici eroici è tutta una rivelazione di forze nuove, irrompenti da ogni parte, a dare alla gran guerra un impulso decisivo, integratore della magnifica resistenza dell’esercito francese e di quanto resta del piccolo ma glorioso esercito belga. E l’incendio purificatore riprende il suo crepitìo anche nel Montenegro ed in Serbia, dove contro gl’invasori sprezzanti pullulano le bande, preludenti con l’animosa guerriglia la ripresa della riscossa, che sarà compiuta dai riorganizzati eserciti serbo e montenegrino.
Anche in questo piccolo settore non mancano gli episodii eroici, ed i quadri terribilmente tragici. Nel Montenegro, l’ex ministro per la guerra, Veciovitc, si è fatto suscitatore della insurrezione per bande, e l’Austria sa, fino dal 1878, che cosa ciò voglia dire nei Balcani. Tanto è vero che essa ha pubblicato uno dei soliti durissimi bandi contro Veciovitc, perché si presenti alle autorità costituite, ha messo sulla sua testa una taglia di 50 000 corone; e in attesa di avere la testa di lui, si è presa quella di suo fratello, impiccandolo!... Il bando austriaco aggiunge che anche il padre dei Veciovitc si è reso degno della forca; ma il supremo comandante austriaco – bontà sua! – ha avuto compassione di un vecchio di settantacinque anni, e gli ha lasciata la vita!...
Meno male!... I limiti di età, nei riguardi della pena di morte per alto tradimento – come se si trattasse del ritiro da un ufficio pubblico, quale è ora il caso di Augusto Murri, per il cui allontanamento ex-lege dalla clinica si agitano i suoi ammiratori... L’Austria è ineffabile!...
Le ipotesi sui risultati della grande azione complessa e concordata degli eserciti dell’Intesa si tingono dei colori più belli: la speranza, la fiducia animano del loro soffio vitale tutte le volontà, suscitano tutte le energie; ed anche senza la cabala del 1916 applicata alle cifre degli anni di regno e di vita dei due imperatori teutonici – cabala applicabile, come osservai, a tutte le creature per ogni altra profetica facezia – tutti sentono, non per superstiziosa suggestione, ma per logica di raziocinio – che l’azione concorde degli Stati e dei popoli così fervorosamente impegnatisi alla difesa delle nazionalità e delle libertà europee, non dovrebbe essere lontana dal raccogliere i frutti sospirati.
Le notizie di questa mattina, per esempio, dicono con dati irrecusabili che i cosacchi sono arrivati alle porte di Kowel, in Volinia; i francesi proseguono nella loro avanzata a sud della Somme; nell’Alte Valli trentine-vicentine si restringe sempre più il raggio d’azione austriaco, ridotto ad una difesa disperata in direzione del Col Santo e del massiccio della famosa Cima Dodici; onde dal teatro orientale estremo, all’occidentale, risultano ogni giorno più evidenti le difficoltà di spostamento delle forze germaniche ed austriache da un punto all’altro dell’immenso teatro di guerra. Il gran piano austro-tedesco è tutto sconvolto. Il sogno di due anni fa: alternare le grandi azioni di guerra spostando enormi masse mercé le mirabili reti ferroviarie, fino ad uguagliare prima, poi superare proporzionalmente le forze dei logorati nemici, è del tutto sfatato. Le grandi reti ferroviarie sono sempre là utilizzabili, ma le grandi masse, le imponenti riserve, le forze nuove e rinnovate sentono terribilmente la legge inesorabile del tempo e della lunga azione. Nel Trentino corpi e reggimenti che l’Austria aveva già ritirati per avviarli sul sempre più sconvolto fronte russo, hanno dovuto tornare indietro, richiamati dall’enorme pressione italiana. Altrettanto avviene in Francia per notevoli masse tedesche, trovantesi di fronte alla incalzante pressione delle forze francesi appoggiate dalle fitte schiere dei nuovi reggimenti britannici.
Questo dell’Inghilterra diventata nazione militare di primo ordine è un elemento sfuggito alla valutazione minuziosa dei tedeschi, in tutto così meticolosi calcolatori. Mezzo milione di inglesi, era il massimo, fantastico, a cui i loro calcoli avevano osato spingersi. Invece l’Inghilterra, dopo due anni, comincia a mantenere la parola di lord Kitchener. Il tenace organizzatore è scomparso, ma il nuovo esercito britannico esiste e si avanza. Lo spirito di lord Kitchener rivive con lucida continuità nel nuovo ministro per la guerra, Lloyd George.
Da metà luglio a metà settembre, vi sono ancora due mesi buoni, prima che la stagione coi suoi mutamenti intervenga a dettare nuove discipline ad un’azione – che delle condizioni atmosferiche sente gl’influssi decisivi, trattandosi di lotte che, come da noi, si svolgono a duemila, a tremila metri, e, come in Russia, in regioni dove le condizioni meteorologiche decidono quanto e più dei cannoni.
Aspettiamo e auguriamo: chi prevale, chi vince può aspettare più tranquillamente di chi vede sfasciarsi tutto l’edificio dei fastosi progetti e delle meditate cupidigie. Dicono che l’arciduca Federico, il burbanzoso generalissimo austriaco, sia caduto in disgrazia, e che Francesco Giuseppe, per punirlo della irrimediabile disfatta galiziana, gli abbia rifiutata un’udienza che in questi giorni gli aveva chiesta. Il vecchio imperatore è eccitatissimo, ed ha mandato a chiedere un illustre specialista per consultarlo a proposito dell’insonnia che lo tormenta. Ce n’è voluto a far perdere il sonno a questo sovrano, in quasi settanta anni di regno – e quale tragico regno!...
Frattanto svolgonsi gli episodii à coté della guerra. Venezia, domenica, ha veduti in manipolo glorioso, sulla storica piazza incantevole, gli aviatori italiani e francesi che sempre vittoriosi rintuzzarono, nelle audacie aeree, i tentativi delle malvagie incursioni nemiche, e fecero sentire il peso del castigo latino ai perpetratori di inutili stragi inumane. Fra i valorosi il cui petto venne fregiato del distintivo del valore in guerra, stava il poeta di questa fervorosa rinascita italica – Gabriele d’Annunzio – «forse – egli ha detto – menomato di forza, non di ardore».
Ma nemmeno di forza: le pagine sue che orneranno il prossimo numero dell’Italiana attestano che le forze sono ancora e sempre pari all’ardore; e lo attestano le alte parole, con le quali in un ristretto convito, rigorosamente militare, egli celebrò la cerimonia di Venezia.
«Questa è la nostra grande ora, – disse il poeta, riassumendo. – Vi fu un momento in cui parve che su tutte le altre fronti la guerra fosse sospesa perché il mondo potesse assistere alla suprema lotta fra i Latini e i Germani, ammirare in silenzio lo sforzo di Roma e di tutti i suoi secoli.
«Oggi gli intervalli dell’immensa battaglia più si riaccendono e più s’arrossano. Ma, dalle cime scheggiate dell’Alpe di Trento agli imbuti fumanti che sono i gironi addentrati nell’inferno della Mosa, si ripropaga sul mondo la luce latina, si rinnovella nel mondo la gloria latina.
«Navigare è necessario, vivere non è necessario», dicevamo ieri noi italiani disegnando, costruendo, armando le nostre navi.
«Non è necessario vivere, ma vincere», oggi diciamo, trasfigurati nello splendore di tanto nostro sangue sparso.
«Quelli che oggi ebbero un premio, pensano con maschia tristezza ai morti che non l’ebbero; e sono impazienti di dare ancor più, di dar tutto, di fare l’offerta intera, di obbedire a un comando che è comandamento nel più alto senso religioso.
«Beviamo, tutti in piedi, come quando si giura, alla volontà di vincere, oltre la morte, perché sia risollevato sopra la barbarie agonizzante quel che fu bello, nobile e giusto per gli uomini liberi nella luce di Roma».
Mentre in Italia così si propina, così si augura, arrivano a frotte, macilenti, disfatti, i fratelli, che la rabbia nemica tenne ammassati come mandrie nei campi di concentrazione, per mesi e mesi, calcolando di poterli sfruttare come ostaggi; e costretta oggi a mandarli nella patria loro, oggi che le necessità imperiose della sussistenza, resa difficile per chi combatte, la obbliga a dare sembianze di pietà ad un gesto, che è di impotenza. Il quadro che i reduci fanno della vita penosamente durata sotto la sorveglianza nemica, nulla rivela di nuovo sulla mentalità di quel burocratismo militare che, per mezzo secolo, tutti amaramente gustarono in Lombardia, nella Venezia, nelle Romagne; ma è prova inconfutabile dei limiti estremi cui è ridotta la resistenza nemica.
Né in Germania risuonano apologie. Da ogni centro di vita popolare salgono rumori di proteste per la condanna di Liebknecht; per le deficienze dei provvedimenti economici di fronte alle cui necessità fallisce quasi completamente la tradizione della disciplina organizzatrice tedesca; ed invano, a distogliere dalle gravi, stringenti preoccupazioni dell’ora, i giornali del governo vantano, esaltano l’impresa del sommergibile Deutschland, venuta dopo quella, pure esaltata, dell’«U 35» entrato ed uscito impunemente, di fra una crociera di navi nemiche, nelle acque di Cartagena dove era andato a recare un messaggio del Kaiser per il re Alfonso di Spagna!...
Il Deutschland ha fatto qualche cosa di più: dal porto tedesco di Helgoland è arrivato l’altra sera in America, nelle acque di Baltimora, cuoprendo un quattromila miglia in diecisette giorni, senza bisogno di rifornimenti. I tedeschi, che – in questa terribile guerra – si preoccupano di dare, a quando a quando, la dimostrazione pratica di avere risolti certi problemi tattici o tecnici, indipendentemente dal valore intrinseco dei risultati – i tedeschi celebrano come una grande vittoria il viaggio del Deutschland, sommergibile non da guerra, dicono essi, ma da commercio, andato a scambiare merci, ed a portare un messaggio del Kaiser al presidente Wilson. Batte vie nuove e difficili la corrispondenza personale di Guglielmo!...
Altra teoria tedesca è stabilire una linea subacquea di trasporti commerciali e postali, in barba al blocco franco-britanno. Ma, come osservano i competenti inglesi, l’altezza dei noli per una navigazione siffatta, può rendere mai rimunerativo tale esperimento?... Poi, nulla di nuovo: dozzine di sottomarini francesi ed inglesi hanno già fatta ripetutamente l’ampia traversata senza levare rumore né suscitare inutili vanterie. Pei tedeschi è come un’ebbrezza, per avere, dicono essi, forzato il blocco. Ma a che cosa può valere il tentativo riuscito, di fronte al peso enorme che il vero blocco esercita su tutta la vita tedesca ?... Il poco di nikel e di caucciù greggio che il Deutschland potrà riportare dall’America alla Germania, quale sollievo arrecherà alla sopraffatta economia germanica in confronto dell’enorme costo e dei rischi... se pure il viaggio di ritorno del Deutschland sarà possibile?!…
Le amplificazioni germaniche trovano agli Stati Uniti il loro corrispettivo nelle esaltazioni degli americano-tedeschi. Questo stato d’animo di una parte, se non preponderante, certo molto rumorosa, dell’opinione nordamericana, dovrebbe, secondo la mentalità germanica, esercitare il suo influsso anche sulla campagna elettorale presidenziale, candidato predominante nella quale, per i repubblicani è il giudice Hughes, che, a quanto pare, – tranne che la sostituzione nell’organizzazione statale americana degli elementi repubblicani agli elementi democratici – se vincerà – sarà, per la politica estera, un presidente opportunista ed utilitario come Wilson, sebbene un poco meno dottrinario di lui.
L’uomo dall’atteggiamento risoluto sarebbe stato Roosevelt, ma l’America dei business e dei dollari non è per lui in questo momento: od Hughes o Wilson. E Roosevelt deve accontentarsi di fare la sua battaglia nelle pagine del vibrante volume che ora – pei tipi dei nostri Fratelli Treves – esce anche nell’edizione italiana, L’America e la Guerra Mondiale. L’ex-presidente è, in quest’ora, l’americano più direttamente informato allo spirito della politica internazionale dell’Intesa: sente i problemi americani in armonia con tutto il grande movimento europeo, e con visione di ciò che potrà essere il mondo dopo la gran guerra... Ma in America, nell’America sprofondata nell’utilitarismo di una neutralità egoistica, non è l’ora sua... Eppure i nord-americani dovrebbero essere portati a riflettere seriamente sui doveri militari loro imposti, per ben altre cause, sul territorio americano e sul mare.
Pareva che col Messico ogni divergenza fosse appianata. Ma ecco, nel Messico, la millesima rivoluzione militare. Il generale Carranza, fattosi conciliante verso gli Stati Uniti, è rovesciato; padrone della sconvolta repubblica messicana diventa il famoso generale Villa che coi nord-americani pare irreconciliabile. Villa, vuol dire la guerra... la guerra che l’oro e il danaro tedesco, dicesi, vanno da mesi eccitando!...
Ma v’ha ben altro che una probabile guerra americano-messicana! Vi è un documento che dovrebbe far meditare i politicanti della Repubblica delle stelle. Il trattato di alleanza russo-giapponese per l’immutabilità della situazione nell’Estremo Oriente.
Russia e Giappone sono ora strette ad un patto. Non si potrà tentare nulla da chicchessia nell’Oriente Estremo senza intendersi coi due Imperi, impegnatisi l’uno per l’altro nella difesa dei comuni interessi. Questo fatto definitivo potrà dispiacere ai tedeschi, fors’anche agl’inglesi; ma può darsi dispiaccia, più che ad altri, ai nord-americani.
È un nuovo ammonimento all’espansionismo, all’infiltramento economico nord-americano in Asia, che non ha minori pretese, sotto certi aspetti, di quello, meno vicino, dei tedeschi. Il trattato russo-nipponico era in preparazione, in elaborazione psicologica da tempo. La gran guerra ne ha affrettata la conclusione, e, forse, l’atteggiamento germanofilo di certe correnti americane vi ha data la spinta decisiva.
Sia Hughes, sia Wilson il vincitore nella lotta presidenziale nord-americana, ecco un nuovo elemento da valutare nella politica generale degli Stati Uniti. Le tribolazioni e gl’intricati problemi non vi sono nel mondo soltanto per le monarchie. Anche i presidenti – per quanto teoricizzanti ed innocui – hanno i loro guai. Lo sa il presidente della Repubblica Argentina, che proprio nel giorno dedicato alla celebrazione del primo centenario dell’indipendenza argentina è stato fatto bersaglio – fortunatamente fallito, pare – della rivoltella di un anarchico. Diciamolo subito – l’autore dell’attentato è un argentino – un figlio del paese. Nel giorno della festa dell’indipendenza, tentare di uccidere il rappresentante elettivo di tutto il popolo, segna il culmine dell’indipendenza quale è intesa dal cervello anarchico, uguale al di qua come al di là degli oceani!... È da stupire che con tanta intrusione di elementi perturbatori tedeschi dall’America alla Cina, fino nell’Annam – dove un mutamento di re è avvenuto in conseguenza di mene tedesche – l’autore dell’attentato di Buenos Aires non sia un tedesco!... Nelle ipotesi antiteutoniche di questo genere, non si tratta di paranoismo. Ogni episodio giornaliero documenta qual genere di pescatori nel torbido siano diventati, nel precipitare di una grande situazione, coloro che aspiravano ad organizzare su un unico tipo tutta l’Europa, anzi tutto il Mondo!...
12 luglio