L’Illustrazione Italiana, 9 luglio 1916
Corriere
La Camera in vacanza. Lieta accoglienza al nuovo ministero. I successi dell’avanzata italiana. Tutta la Bucovina dei russi.
L’avanzata degl’inglesi in Francia. Fosco quadro teutonico. La condanna di Liebknecht. Le speranze del principe di Bülow. Numeri imperiali cabalistici. L’anno conclusivo.
Non si fa a tempo a seguire gli avvenimenti. La settimana scorsa scrivevo il Corriere mentre la Camera radunavasi ad udire le dichiarazioni del nuovo ministero – il ministero «nazionale». Oggi scrivo, che la Camera è già in vacanza. Tanto meglio. Cosa avrebbe potuto fare la Camera rimanendo aperta più di cinque giorni?... Non sono state già anche troppe le chiacchiere fatte in quelle rapide sedute?... Il ministero nuovo non poteva essere giudicato che secondo le intenzioni, le quali scaturivano dalla votazione politica per la quale Salandra si era dimesso. Non potevasi nemmeno supporre che la Camera non avrebbe accolto bene un ministero che ne compendia tutte le gradazioni, riunite nell’unico intendimento concepibile in quest’ora – il pieno successo della guerra.
Questo successo dicono di volerlo anche i «socialisti ufficiali» – il solo gruppo effettivamente non rappresentato nel ministero; ma in verità, i loro discorsi, ancora più che con la sostanza con l’aspro tono, hanno riconfermato quel loro atteggiamento inconciliabile, che poco o nulla toglie alla concordia nazionale, ed ancora meno aggiunge alla situazione disagiata del socialismo intransigente così nel Parlamento come nel paese.
I discorsi parlamentari, dunque, poco o punto interessano. L’attenzione è tutta rivolta ai bollettini di guerra, che, dal 25 di giugno in poi, non un solo giorno hanno sospeso il gettito continuo delle buone, sempre più soddisfacenti notizie.
La ritirata austriaca dalle alte vallate trentine-vicentine prosegue irrefrenabile, sotto la pressione instancabile del valoroso nostro esercito: ogni giorno sono più centinaia di prigionieri austriaci che si lasciano prendere dai nostri soldati – ed un corteo di più di mille di quei disgraziati, svariatissimi di aspetto e di lingue – ha attraversato anche la settimana scorsa Milano: passeggiata forzata – non quale sognavala il famoso capo dello stato maggiore austriaco, maresciallo Conrad von Hoetzendorf, ora caduto in disgrazia, dopo il pieno insuccesso del suo piano di avanzata in Italia!...
Chi segue assiduamente i tracciati che, sulle piccole cartine, i giornali danno quotidianamente, vede subito quanta strada a ritroso abbia fatto quel grande esercito austro-ungarico, che, secondo i propositi dell’alto comando, avrebbe dovuto tra la metà di maggio e la metà di giugno scendere rapidamente almeno fino a Vicenza, piantarsi ben bene sulle alture circostanti, magari arrivando ad impadronirsi dei deliziosi colli Berici e degli Euganei, tenere in soggezione Vicenza e Padova, sconcertare tutto il nostro raccordamento ferroviario e molestare talmente le nostre retrovie da obbligare ad una limitazione di tutte le nostre iniziative di guerra anche sull’Isonzo e sul Carso. Viceversa, è accaduto precisamente tutto l’opposto; il nemico ha avuta, indubbiamente, la sensazione di perdere anche la possibilità di ritirarsi; e la sua ritirata si è mutata in una fuga, nelle Alte Valli Vicentine e nel Trentino, tal quale come nella Galizia, che da Kimpolung a Kolomea a Czernowitz è oramai tutta in potere dei russi.
Fra i guai toccatigli sul fronte italiano e quelli sul gran fronte russo – l’esercito austriaco ha perduto – calcolasi – in questi ultimi trenta giorni, non meno di mezzo milione di uomini – fra morti, feriti e prigionieri: – di questi soltanto i russi ne contano ufficialmente quasi dugentoquarantamila!... E complessivamente, dall’inizio della guerra generale – che ai due agosto, e non pare nemmeno vero, compirà i due anni!... – l’Austria-Ungheria ha perduti non meno di tre milioni di uomini!... Si capisce che ora nel variopinto impero tornino a battere disperatamente il kitèt chiamando tutti gli ancora abili alle armi dal 17° al 50° anno. Ma non sono già tutti sotto le bandiere costoro, dopo le ripetute insistenti chiamate?... E quelli che ancora rispondono alle chiamate, accompagnate dalle più rigorose coercizioni, non sono forse tutti soldati di scarto, male adatti alle fatiche di guerra e sognanti, alla peggio, di andare prigionieri, o in Russia, o in Italia, dove sono trattati più umanamente che nelle schiere dell’esercito imperiale?...
Senza farsi illusioni, si può ben dire che la prospettiva per l’impero austro-ungarico è da ogni lato fosca, malgrado l’ottimismo ripetutamente affermato davanti alla Camera ungherese dal conte Tisza – uno dei principali, ostinati responsabili di questa gran guerra.
E quel che è peggio, per l’Austria: anche il suo formidabile alleato, l’impero Germanico, comincia a sentire davvero tutto l’enorme peso della complicatissima situazione.
Si direbbe cominciata l’ora in cui tutti i nodi vengono al pettine.
Ed il pettine è l’attacco simultaneo su tutti i fronti, con identità di preparazione energica e di vigore incalzante.
Un mese fa si diceva: i Russi cosa fanno? – quando si muovono?... E la valanga russa è scesa ancor prima di quanto gli austriaci prevedessero.
E si chiedeva del pari: Cosa fanno gl’inglesi?... Il loro famoso esercito di tre, di quattro milioni d’uomini dove è ?...
Ed anche gl’inglesi sono arrivati a fitte schiere ed in eccellente arnese in Francia, e l’azione loro si fa già sentire, molto fastidiosamente pei tedeschi, su alcune centinaia di chilometri dell’ampio fronte – dall’estremo lembo di Belgio non invaso, fino alla Mosa – e da per tutto sono trincee prese all’ostinato nemico, e centinaia ed anche migliaia di prigionieri toltigli, delineandosi indubbiamente un movimento retrogrado delle linee tedesche, così da lasciar sperare che – sia pure con un decorso lentissimo – sia davvero cominciato quello che si dice «il principio della fine»!... Ed è già molto se i tedeschi riescono a fare ancora abbastanza buon argine dalla parte dei russi.
Poi, se alla situazione militare generale tutt’altro che lieta, si aggiungano le difficoltà, gravi, gravissime, del rifornimento annonario delle popolazioni – onde disordini a Monaco di Baviera come ad Aquisgrana, a Berlino come a Norimberga – ne risulta tutto un quadro cupo, in mezzo al quale nessun raggio di luce potrà arrivare ad accendere eccessive speranze.
Poi, altro sintomo rivelatore delle condizioni dello spirito tedesco attuale è la condanna di Liebknecht; essa segna la discordia delle vere masse socialiste dall’imperialismo guerrafondaio; e la mite condanna confessa la paura delle classi dirigenti.
Il principe Bernardo di Bülow ripubblica in nuova edizione i suoi «pensieri politici» chiedendo risolutamente per la Germania «garanzie reali» pel suo futuro sviluppo economico nel mondo. La volontà tedesca è ferma, tedescamente, come sempre; ma il tono non è più così implacabilmente volitivo come in altri tempi. Il mondo non è più sotto la rigida intimazione di una «pace tedesca». Pur che sia «pace» sarà, probabilmente, possibile intendersi. Di una tal pace ha parlato insistentemente anche un socialista ufficiale alla Camera Italiana – ma quel discorso ha trovato scarsa eco. I pesi della guerra li sentiamo tutti, anche noialtri italiani – che, pur combattendo la guerra più dura e territorialmente più difficile, più inverosimile – siamo – delle grandi nazioni combattenti – forse i meno disagiati. Ma e in Italia e in Francia, e in Inghilterra e in Russia è naturale che, oramai, alla parola «pace» pur comprendendone tutto il valore intrinseco – e pur riconoscendola naturale, legittima aspirazione dei popoli – come da oltre cento anni è scritto, in latino, sull’arco di porta Ticinese qui a Milano – alla parola «pace» si provi un senso di diffidenza – non potendosi più intendere pace che non debba essere col pieno soddisfacimento di quelle aspirazioni morali e territoriali, etiche e politiche, nazionali ed umanitarie per le quali le nazioni più progredite, più civili si sono sottoposte a tanto duri, pesanti, persistenti sagrifici, i cui gravami dureranno a sentirsi per anni.
Tutto questo deve bene importare una pace che escluda il sanguinoso «da capo» almeno per un secolo, e assida le nazioni su un tale assetto che, rappresentando, quanto più possibile, la tranquillità dei maggiori interessi, crei una ragione di adattamento che prevalga su ogni altra torbida restrizione mentale.
Dunque – pace, sì; e più presto che sia possibile; ma a patto che sia pace giusta e sicuramente duratura.
Per intanto, avanti, senza debolezze, senza incertezze, senza scompostezze e disperdimenti, che nell’ora che pare veramente conclusiva, sarebbero doppiamente deplorevoli e condannabili.
Alcune settimane addietro la Germania, per voce del suo cancelliere, parlava di pace sulla base della «situazione militare». Mentre la situazione militare, di giorno in giorno, va mutando, e non a favore degl’imperi centrali, è necessario che le nazioni dell’Intesa condensino e coordinino, con uniformità di vigore e d’intenti, i proprii sforzi. Ad una situazione morale ed economica, indubbiamente vantaggiosa e superiore a quella dei nemici, dovrà corrispondere in breve una situazione militare adeguata. Tutti i coefficienti dovranno in breve trovarsi dalla parte di coloro che combattendo per diritti precisi e positivi ed anche per alte idealità, sanno di combattere per una pace che dovrà incoronarsi dell’aureola della giustizia.
Questo è, in fondo, il sentimento che arde e rischiara le manifestazioni concordi delle classi ufficiali e del popolo, in Italia. La lotta è aspra, difficile, sanguinosa – sparsa è la via di tombe portanti nomi noti ed ignoti – cadono deputati al parlamento come il Brandolini, e volontari conosciuti come il figlio dell’ex ministro Facta e l’avvocato Paolo Ubertalli – cadono insieme gli oscuri operai e gli umili contadini, tutti generosamente votati al grande sagrificio che darà immancabilmente i suoi frutti – ma appunto per l’insistenza e l’ampiezza del sagrificio occorrono sempre maggiori la fermezza e la fiducia, a far sì che gli attesi frutti siano e copiosi e maturi. Non è per la via sparsa di eroiche vittime; non è per la via dove tutto il popolo si affolla a portare il suo tributo di sangue e di beni – non è per una tal via che può essere lasciato aperto il varco alle disillusioni.
Questa, mi pare, è la sintesi delle discussioni svoltesi in questi giorni nella Camera e nel Senato; questa la sintesi delle dichiarazioni e dei discorsi che, nel parlamento e fuori, il vecchio primo ministro Boselli ed i suoi colleghi sono andati e vanno qua e là ripetendo. Onde da ogni parte si è venuta formando la persuasione che questo 1916 debba essere – e Dio voglia che lo sia! – l’anno conclusivo.
Corre persino, fra le mani anche di uomini intellettuali e spirituali – una cabala che pare augurale. È una pura e semplice combinazione di numeri basata sul dato costante 1916, e buona per infiniti esempi: ma pare dotata di significato conclusivo augurale:
Francesco Giuseppe è nato nel 1830
ha dunque (ai 18 del pross. agosto) anni 86
salì al trono il 2 dicembre 1848
conta dunque ben anni di Regno 68
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cifre queste che sommate danno 3832
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Guglielmo II è nato nel 1859
ha dunque compiti (al 27 gennaio) anni 57
è salito al trono nel 1888
conta dunque di Regno anni 28
–––––
cifre che sommate danno 3832
come quelle concernenti Francesco Giuseppe.
Il bello della combinazione è che la cifra comune ai due imperatori teutonici, 3832 divisa per 2, dà precisamente 1916, il millesimo dell’anno corrente.
L’amico Alfredo Panzini – il cui bellissimo volume La Madonna di Mamà è avidamente ricercato dal gran pubblico e salutato così festosamente dalla critica – Alfredo Panzini, regalandomi quella cabala, mi ha espresso tutta la sua vibrante fede gioiosa che siffatta singolare combinazione di cifre voglia dire che l’anno 1916 sarà veramente il grande anno conclusivo! Peccato che tale cabala si applichi a tutti!...