L’Illustrazione Italiana, 2 luglio 1916
Necrologi
Un altro dei primari attori militari e preparatori di questa gran guerra, il maresciallo von der Moltke, ex-capo dello Stato Maggiore tedesco, è morto, improvvisamente, il 18 giugno, nell’edificio del Reichstag, durante una commemorazione di von der Goltz indetta dalla Società tedesco-asiatica. Egli aveva appena pronunziato un breve discorso, ricordando la partecipazione di Goltz all’assedio di Anversa e la sua prematura morte in Asia, dove non giunse a vedere la caduta di Kut-El-Amara, da lui preparata. Poco dopo, mentre parlava l’ambasciatore turco Hakki pascià, fu visto Moltke piegarsi sulla sedia. Lo distesero sul tappeto; vennero fatti vani tentativi di ravvivamento: era morto per aneurisma. Moltke era nato nel 1848. In gioventù, dopo aver preso parte alla guerra del 1870, fu secondo aiutante di suo zio, il celebre feldmaresciallo, poi nel 1891 aiutante del nuovo imperatore. Nel 1906 era divenuto capo dello Stato Maggiore, ed in questa qualità diresse per i primi mesi le operazioni militari nella presente guerra, che segnò la sua fine. Moltke allo scoppiare della guerra era in cura a Karlsbad per calcoli biliari, e quando, alla fine di ottobre, si ritirò e gli fu sostituito Falkenheyn, si disse che la malattia di fegato lo costringeva al riposo, ma la sua malattia inguaribile era stata la battaglia della Marna, nella quale era fallito il piano dello Stato Maggiore tedesco da lui diretto. L’imperatore Guglielmo volle addolcire il ritiro di Moltke offrendogli il castello di Honburg per curarvisi e riposarsi. Passò colà qualche tempo colla moglie e il figlio ferito in campo; poi, al principio del 1915, fu nominato capo dello Stato Maggiore sedentario. Rientrava così nel palazzo dello Stato Maggiore a Berlino, ma la funzione era diversa; la direzione della guerra non era più nelle sue mani; egli sopravviveva a sé stesso; si disfaceva, e si è spento!...
Ai vecchi frequentatori della Scala ed ai non pochi cultori delle memorie teatrali risvegliò tutto un insieme di lontane reminiscenze l’annunzio, apparso la settimana scorsa sui giornali, che a Carate Lario era morta una signora Maria Brambilla «in arte Sofia Fuoco» di anni 87. In arte?... Ma in quale arte?... L’annunzio funebre non lo diceva; ma i vecchi ricordarono subito che Sofia Fuoco era stata una famosa, veramente celebre ballerina milanese, per la quale, un settanta anni sono, i pubblici di Milano, di Parigi, di Londra, e dei primari teatri d’Italia avevano addirittura fanatizzato. Fu allieva della scuola di ballo della Scala, poi dei rinomati coniugi de Blasis, nei balli dei quali, Hermosa e Cagliostro, fu applauditissima alla Fenice di Venezia. Alla Scala danzò come prima ballerina nell’estate del 1843 nel ballo Don Fabio del Serafini, poi i suoi meriti la portarono a trionfare all’estero, e riapparve alla Scala nel 1853 nel ballo Palmina. A Londra furono incisi in suo onore ritratti; in alcune città italiane sui muri di vecchi palazzi si legge ancora in corona d’alloro W. Sofia Fuoco. Si ritrasse con illibata fama e rilevante fortuna dalle scene poco più che trentenne a vivere in una sua villa sul Lago di Como, dedicandosi alle opere di beneficenza, confermate con un testamento nobilissimo. Molta patte del suo cospicuo patrimonio è stato largito ad istituti di beneficenza di Carate e di Milano.