L’Illustrazione Italiana, 25 giugno 1916
Necrologi
Gen. Marcello Prestinari
Da eroe, quale veramente era – alla testa della sua brigata, nella controffensiva nostra nel Trentino, è caduto il maggior generale Marcello Prestinari. Era nato 69 anni or sono a Casalino di Novara.
Entrato giovanissimo nell’esercito, percorse quasi tutta la sua carriera nel corpo dei Bersaglieri.
Quando egli era tenente, durante una marcia, un soldato, forse impazzito, allontanatosi dal battaglione, si mise a sparare sull’ufficialità e sui soldati, uccidendo, fra altri, il maggiore Varino comandante il battaglione. Prestinari, imbracciato il fucile di un soldato, si fece incontro al forsennato, che continuava a sparare, ed una palla forò a lui il cappello asportandogli il pennacchio. Dopo accanito duello a colpi di fucile, Prestinari abbatté il pazzo, e meritò una prima medaglia d’argento al valore.
In Eritrea, dove partecipò a tutte le campagne, guadagnò la seconda per i fatti di Taulud, e la terza a Coatit dove, con una compagnia ormai stremata, resistette per due giorni ai nemici soverchianti.
Dopo la battaglia di Adua rimase isolato a comandare il forte di Adigrat per la cui sorte tutta Italia era ansiosa, e di là mandò il famoso telegramma: «la Nazione non si preoccupi di noi: faremo fino alla morte il nostro dovere».
Per l’eroica difesa di quel forte Prestinari meritò la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia e la promozione per merito di guerra.
Ritornato in patria e promosso colonnello, passò a comandare il 45° fanteria; poi ritiratosi a vita privata a Torino, fu ivi chiamato a far parte del Consiglio Comunale, rendendosi benemerito della città da lui prediletta.
Allo scoppio della guerra attuale non poté rassegnarsi alla parte di spettatore, e, pieno ancora di forza e di vigoria, insistette per essere richiamato in servizio attivo.
Il generale Rougier, nell’annunziargli che era stato preposto al comando di una brigata combattente di nuova formazione, cosi gli diceva: «Questi due reggimenti, cui Ella è preposto, come quelli che sono di nuova formazione, non hanno ancora la bandiera: il di Lei nome sarà la loro bandiera».
Egli cosi partiva per la guerra pieno di santo fervore e vi trovava morte gloriosa.
Mentre caricava il nemico alla testa della sua brigata, venne colpito da una scheggia di granata che gli procurò lacerazione dell’intestino con forte emorragia. Erano le ore 14.30 del sabato 10 giugno. Trasportato in un posto di soccorso, ebbe le cure più sollecite, ma pur troppo inutili. Soccombeva, dopo atroci sofferenze, sopportate stoicamente, senza un lamento, alle ore 20. Al dottore che cercava di confortarlo, con voce ferma disse: «Lasci stare, dottore, sento che non ho più bisogno di lei». Ed al generale Murari Brà, che gli aveva chiesto come stava, rispose con una domanda: «L’azione come va?» – «Va bene», – rispose il Murari. – «Allora vai, e non assistere alla mia agonia».
Poco dopo, infatti, mandato un saluto a tutti i suoi cari, ai diletti nipoti, uno dei quali sarà erede delle decorazioni, reclinò il capo e spirò.
Poco prima aveva detto al suo ufficiale d’ordinanza di dare cinquanta lire a ciascuno dei tredici soldati che lo avevano trasportato in barella. Un cospicuo dono in denaro lasciò pure alle sue tre ordinanze; e diede una nuova prova del suo animo gentile chiamando eredi i poveri del suo paesello natio, Casalino Novarese.
Il Re ha voluto onorare il nome del glorioso soldato, conferendogli la medaglia d’oro al valore militare.