L’Illustrazione Italiana, 18 giugno 1916
Le donne, domani
È un libro sintomatico il nuovo libro di Cordelia: Le donne che lavorano¹.
Cordelia è una donna che ha già lavorato molto e bene, in femminilità. Nei suoi romanzi e nelle sue fiabe ha avuto specialmente di mira le sue, molte, lettrici e i bambini delle sue lettrici. Quando ha voluto spiegare quello che pensava sulla loro posizione nell’umanità, ha scritto: Il regno della donna. Il regno che ha potuto lungamente coesistere accanto all’impero del maschio, senza pretendere, per la sua prosperità, ad alcuno dei supposti privilegi dell’altro: quasi una libera chiesa – i riti della femminilità si sono mantenuti, come quelli delle religioni, per una certa loro misteriosità – entro un libero Stato. Attribuzioni separate in attività mantenute diverse dal limite naturale del sesso.
Ma anche questo limite è sembrato superabile in un momento in cui tutti i limiti storici sono stati messi in discussione. Guglielmo Ferrero sostiene che la crisi universale, di cui la guerra europea non è che una manifestazione più sensibile, in sostanza è una crisi di limiti perduti, un tragico sforzo per ricrearne dei nuovi, più fermi.
Intanto anche Cordelia ha creduto con il nuovo libro di saltare sopra il limite accettato per il suo sesso, e propone alla donna una nuova forma di sovranità, non più accanto, ma dentro al regno dell’uomo. «Voi pure – dice alle sue lettrici – dovete combattere, uscire dal vostro guscio e procurare di aver la vostra parte al banchetto della vita».
Banchettiamo dunque insieme: i pranzi di uomini soli sono meno simpatici di quelli in cui sono invitate le signore.
Femminista anche Cordelia dunque? E perché no? Noi abbiamo il torto di giudicare il femminismo soltanto dalle sue espressioni estreme e meno seducenti. Il suffragismo che, ante bellum, aveva la forza di irritare per lo meno il nostro estetismo, non è stato che una piccola manifestazione del movimento femminista. Ogni serva che ha lasciato il servizio per diventar operaia in una fabbrica di tabacchi, ogni signorina che ha abbandonato il domestico pianoforte, invano tempestato in attesa del fidanzato, per diventare cassiera in un ufficio, ha fatto praticamente del femminismo. La somma di queste sistemazioni sociali di donne in uffici che un tempo furono riservati all’uomo, sempre più numerose, è il grande femminismo reale che si attua ogni giorno più. Viene il momento in cui questa nuova schiera di donne operaie, impiegate, professioniste chiederà il riconoscimento giuridico della loro nuova situazione: il voto amministrativo e politico. Assicurano che lo adopreranno bene. E se anche lo adoprassero male? Lo adoperano forse bene tutti gli uomini che hanno l’invidiabile privilegio di eleggere dei consiglieri comunali o dei deputati? Io auguro alle donne di diventare col tempo – più tardi che sia possibile – anche senatrici.
Il libro di Cordelia è un libro serio e tranquillo. Non predica, non eccita l’odio collettivo delle donne contro gli uomini: espone quello che già è avvenuto, naturalmente, senza scosse, anche in un paese come il nostro che, pur dentro i suoi gesti rivoluzionari, mantiene tanto di forze effettivamente conservatrici. Ci sono due milioni di operaie nelle officine d’Italia, ci sono impiegate, insegnanti, scrittrici, pittrici, cantanti, ed oggi infermiere non che fabbricanti di esplosivi. Moderata e ragionevole, Cordelia mostra in quali uffici le donne riescano meglio, in quali corrano più pericoli – tra gli altri quello di far più confusione. E un femminismo che non può suscitare apprensioni. Cordelia garantisce che per i doveri dell’ufficio le donne non dimenticheranno quelli dell’amore e della maternità. Non è inverosimile che qualche volta li combineranno.
Si tratta di vedere quanto valga la donna dedicata ad attività inconsuete, desiderosa di diventare, in fatto e in diritto, una capacità direttiva e formatrice della società.
Ora, le donne entrando nell’azione vi hanno portato un’esuberanza che è anche una bella forza. Ma la più delicata virtù sociale, la giustizia, è quella che mi par meno omogenea al temperamento femminile: rari sono tra gli uomini i giusti: ma quale donna in cuor suo ha desiderato prima di tutto di essere giusta?
L’opinione, il gusto che hanno più fortuna fra le donne che vogliono avere un gusto e un’opinione di sesso, è quasi sempre l’opinione e il gusto della maggioranza o di quella moda che sembri forte come una maggioranza. I rinnovatori avranno un nemico nella donna nuova…
Non sembrino scortesi queste melanconie romantiche proprio oggi che la donna, cooperando in infiniti modi alla nostra dura azione di guerra, ha ben meritato dalla patria. Anche restringendo l’osservazione a ciò che ha fatto e fa la donna in Italia, c’è da essere contenti. Sta il fatto che le donne le abbiamo viste al lavoro; e lavorando, se hanno errato, hanno errato, caso mai, solo per eccesso di zelo, invidiabile errore che, la guerra, durando quanto esige la vittoria completa, correggerà facilmente.
Il compiacimento è tanto più spontaneo in quanto l’indole e l’intenzione di quest’attività femminile parallela alla guerra maschile, a guardarle da vicino, è tutta femminile e punto femminista. Istintivamente la donna si è sentita attratta più che tutto a quella funzione delicata e pietosa a cui l’aveva educata non il femminismo nuovo, ma la tradizione antica del sentimento. La donna italiana ha accettato la guerra con anima veramente femminile: senza discuterla, come un fatto doloroso della cui necessità non ha creduto di erigersi giudice. Quando combattevamo di persuasioni per strappare i dubitosi dalla neutralità asfittica, resistenze specialmente femminili non ne abbiamo trovate, se non quelle operanti attraverso i mariti di mogli tedesche: ma non erano resistenze femminili, erano soltanto resistenze tedesche.
In certo senso è il fallimento del femminismo che, come tale, pensava, prima, di essere chiamato dalla sua stessa natura a negare la guerra. Romain Rolland, pacifista per disperazione, tenta ancora oggi di appellarsi a questa supposta anima antibèllica che la donna dovrebbe imporre a tutti gli uomini. «Cessate – egli grida – di essere l’ombra dell’uomo e delle sue passioni d’odio e di distruzione». E non si accorge che la donna, per natura, ha avuto anche lei sempre codeste passioni come l’uomo: soltanto non le ha esercitate direttamente
Dunque il femminismo ha avuto dalla guerra un colpo grave per lo meno quanto il socialismo? Quello teorico, sì. Ma quello effettivo e inevitabile ne è stato invece favorito. La sostituzione della donna all’uomo in molti uffici è avvenuta per quella legge che è più forte di ogni ideologia, giusta o ingiusta: per la necessità. La questione è di sapere come si potrà sistemare domani questa riserva – non d’infermiere – ma di operaie e d’impiegate. Rientra nelle prevedibili difficoltà che accompagneranno il ritorno dalla organizzazione di guerra alla organizzazione di pace.
La donna di domani, dunque? Probabilmente qualcuna di più che lavorerà, ma senza l’illusione di lavorare anche per il femminismo. Di quello che avranno fatto durante la guerra, le donne potranno essere compensate anche senza ottenere il voto politico. E se proprio non potranno farne a meno, potremo anche concederglielo. La guerra ci ha dimostrato che in politica esse ci seguono. Sono tante altre le occasioni in cui noi seguiamo loro!
Da un articolo di Giulio Caprili dal «Marzocco»
¹ Cordelia, Le donne che lavorano, (Milano, Fratelli Treves, edit., 1916, L. 3)