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 1916  giugno 18 Domenica calendario

I profughi della Valsugana a Milano

Nella seconda metà dello scorso mese, in seguito all’avanzata austriaca sull’altipiano dei Sette Comuni Vicentini, dovette venir ritirata verso est la linea del nostro fronte nella Valsugana orientale, coll’abbandono di tanti graziosi paeselli che erano stati liberati sino dal principio della guerra, e nei quali al ritratto di Francesco Giuseppe era stato sostituito quello di Vittorio Emanuele III, il capocomune trasformato in sindaco, al posto dell’aquila con due teste messa la Croce di Savoia, e dove pendeva il drappo giallo e nero fatto sventolare il tricolore.
Non bastava però abbandonare quei paeselli, ma anche era necessario farli sgombrare da tutta la popolazione, per allontanarla dai pericoli delle granate nemiche sino a che gli Austriaci erano ancora lontani, e dalle rappresaglie absburghesi quando essi si sarebbero avanzati; ed anche per far ben comprendere che gli irredenti, dopo essere stati redenti, non dovevano più rifarsi austriaci, e venivano provvisoriamente a rifugiarsi nel regno.
Tali paesi sono, da ovest ad est, quelli di Torcegno, a nord di Borgo, sulla riva della Val d’Orna: Telve di Sotto e Telve di Sopra, sul torrente Ceggio, ai piedi delle rovine del castello dei Castellalto; Carzano, sulla destra del Maso; Strigno, sede di giudizio distrettuale, patria del pittore Albano Tomaselli, che a soli ventitré anni morì nel 1856 all’arte ed alla gloria; Castelnovo, cogli avanzi d’un castello dello stesso nome; Fracena ed Ivano, con Castell’Ivano ora appartenente al conte di Wolkenstein, diplomatico austriaco; Villa Agnedo, patria di don Giuseppe Grazioli, che salvò la bachicoltura nel Trentino andando al Giappone a prendere nuove sementi di bachi, ed ebbe primo l’idea di un monumento di Dante a Trento; Scurelle, col suo famoso olmo più volte secolare; Spera, sullo sperone di monte fra il Maso ed il Chieppena; Santone, i cui abitanti sono in gran parte commercianti girovaghi; Bienno, patria dei genitori di Giovanni Bettolo; Griglio, che pure aveva un castello, ed ha ora undici ricche malghe sull’altipiano dei Sette Comuni; e Pieve, Cinte e Castello nella Valle di Tesino, nota per i pittoreschi costumi delle sue donne, e per 1’attività dei suoi uomini, i quali come commercianti girovaghi girano tutto il mondo.
Gli abitanti di tutti codesti paesi, se non sono commercianti girovaghi, o se non emigrano come operai, sono tutti contadini; ma al presente la popolazione era formata solo di vecchi, donne, bambini, perché tutti gli uomini dai 18 ai 55 anni sono nell’esercito austriaco, se non hanno lasciate le loro ossa nella Polonia, nella Serbia, nella Galizia, od anche, combattendo per forza contro di noi, sull’Isonzo e nel Trentino.
Un bel giorno, ed anzi un brutto giorno, i nostri carabinieri andarono a dire a quei poveretti:
– Entro due ore si deve partire; prendete quanto potete portare con voi; conducete i bovini al comando militare che ve li pagherà; e via.
Dunque, via, con un sacco, con un baule, con quanto ognuno poteva portare in ispalla; via abbandonando le case, lasciando in liberta le capre ed i maiali, cacciando a pedate i cani fedeli, dando la libertà ai volatili dei cortili e delle gabbie; via, senza perder tempo.
E tempo da perdere ce n’era poco, che infatti, volgendosi indietro appena s’erano messi in via, i nuovi profughi vedevano i loro paeselli preda alle fiamme!
Mille e cento di quei disgraziati, in cambio di venir inconsultamente dispersi in piccoli paeselli di montagna come è già troppe volte avvenuto, ebbero la fortuna di esser condotti a Milano; e dopo aver avuto amorose cure alla nostra Stazione Centrale dalle provvide istituzioni Bonomelli ed Umanitaria, furono comodamente allogati nell’ immenso caseggiato, che contiene più di mille locali, di proprietà del signor ragionier Carlo Bonomi, in Piazza d’Armi, ai numeri 12, 14, 16.
Ivi la Commissione per l’emigrazione trentina sta attivando una Colonia modello, per dimostrare col fatto quanto, senza spendere di più di quello che altrove si spende, si può e si deve fare per i profughi, offrendo loro un umano trattamento materiale, procurando lavoro ai meno invalidi ed alle donne, istruzione ai bambini, alloggio sano e vitto conveniente, e, quello che non è il meno, attivando tra essi un po’di propaganda patriottica per liberarne le anime ed i cuori dal veleno iniettatovi dalla propaganda austriaca e pangermanista.
Quella colonia di oltre mille fratelli disgraziati ed amati è formata di bambini belli, rosei,vivaci, sani, serenamente inconsci della tempesta che è passata sopra il loro capo; di ragazze solide e paffute davanti alle quali i glomeruli per l’anemia dovrebbero dichiarare il fallimento; di donne che portano amorosamente in braccio i figli od i nipotini, e non possono staccare il pensiero da quelli che sono chi sa dove, lontani lontani, se pur vivono ancora: e di vecchi barbuti, che pensano mestamente ai loro paeselli lontani, non senza il dubbio angoscioso di non rivederli mai più!