L’Illustrazione Italiana, 18 giugno 1916
Conversazione scientifica. Guerra e medicina
La medicina sarà l’arte di bene vivere o non sarà. Il pensiero di Novalis è in cammino da anni, e fa la sua strada, se pure attorno le siepi alte e fitte dell’ignoranza e dell’inganno impediscono talvolta di scorgere l’orizzonte e di trovare il sole che guida. Se il pubblico comprendesse la differenza tra il non affrontare la sofferenza e il diminuire il dolore, il problema dell’avvenire della medicina sarebbe risolto. Ma il pubblico vede soltanto il dolore e di quello ha paura quando le unghie dello spettro son profonde nelle carni e ignora il turbine sacro che fuga il fantasma da lungi. Così le piccole grandi verità che formano l’igiene rimangono l’espressione di un credo che non cristallizza nell’azione: e i medici si accontentano per lo più di essere degli igienisti postumi.
La guerra, questa spaventosa giornata delle decime delle anime e dei corpi, questo sillogismo che si impara a colpi di cannone per correggerci degli entusiasmi arcadici dell’amore del prossimo, ha insegnato molte cose: dalla geografia che gli italiani ignoravano, alla morale che si eran foggiata su modelli di vaselina e di burro, insino all’igiene. E davvero la guerra è stata il battesimo di sangue della nuova disciplina.
Un battesimo glorioso. Gli spettri del tifo, del colera, della dissenteria, del vaiolo, del tifo petecchiale si aggirano per le trincee, ma abbiamo imparato a non averne paura. Certo non maggior timore di quello che determinano le granate che uccidono è vero, ma fanno assai più rumore di quanto non facciano morti.
Le epidemie vere sono uccise: la trincea è l’altare di ogni virtù ma è anche la fatale sentina di ogni immondizia. E in guerra il valore ha dei profumi assai acri. Le difese sono sempre modeste quando manca l’acqua il sapone e la scopa, strumenti di un sacro arsenale che ha fatto assai più bene al mondo di quanto non ne abbia prodotto l’amore del prossimo.
Le difese nuove però fanno le loro prove e le fan bene. Le vaccinazioni contro il tifo e contro il colera raccolgono assai più di un battesimo: la confermazione più valida si è aggiunta al battesimo che il lustro precedente aveva dato.
Le cifre rigide che solidificano le idee e danno loro un aspetto di fissità, cominciano a raccogliersi: e sono le attività documentarie di una promessa non vana. Oggi possiamo già tradurre in valori per quasi tutti i popoli belligeranti il beneficio della vaccinazione contro il tifo. E la traduzione in valore si risolve in un corollario superbo di bene. La vaccinazione contro il tifo ha ridotto di venti volte almeno (e cioè ha ridotto da 20 ad 1) il numero dei tifosi che senza vaccinazione si sarebbero avuti.
Né basta: la vaccinazione antitifosa ha ridotto da 40 ad 1 il numero dei morti per tifo che si dovevano attendere, se la vaccinazione non fosse stata praticata.
Non si vuol qui discutere la cifra, non si vuole porre innanzi un arido giuoco di numeri. di rilievi e di asserti, irta e glabra roccia dalla quale cresce il più rigoglioso albero di speranza e di bene: ma la documentazione è così fatta di luce e di certezza che neppure sui valori è più lecito il sospetto.
L’uomo, è vero, è il peggior tifo per l’uomo: e l’officina moltiplica i proietti perché sia compensata la vittoria sul morbo colla strage del ferro e del fuoco. Ma l’uomo è fanciullo e rinsavirà, e scorgerà l’abisso cupo, e sfollerà la foschia densa che lo ubbriaca: e la vittoria sul male resterà.
Resterà anche quella sul colera che però è meno lucida e nobile e certa. Anche per la vaccinazione contro il colera si vuol il corollario che abolisca l’aggettivo per cedere al numero (non è tutto numero il pensiero moderno? e per questo forse non è spesso pesante e freddo e livido per la stretta delle cifre che paion forgiate di gelido acciaio?). E dice il corollario che la vaccinazione contro il colera sposta da 3 ad 1 il numero dei colpiti e da 4 ad 1 quello dei morti. Piccolo cammino di fronte alla vastità del desiderio? Sentiero modesto per la speranza? Forse assai più. Poveri valori che poco contano di fronte alla strage e al sangue: ma paiono, questi valori, i fiori sperduti del bene generato dall’umano cervello che tanto male ha prodotto da che ha ignorato il cuore.