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 1916  giugno 18 Domenica calendario

Quel che costa la guerra

Le spese e le perdite di cui è causa la guerra attuale hanno formato oggetto delle ricerche di parecchi studiosi di economia e di finanza pubblica. Il prof. Filippo Virgilii dell’Università di Siena, ha scritto sull’argomento un sagace studio: Il costo dalla Guerra Europea. Spese e perdite. Mezzi di fronteggiarla (Milano, Treves, L. 2.) recentemente pubblicato nei Quaderni della Guerra, l’interessantissima raccolta che conta ormai una sessantina di volumi, in cui la guerra è studiata e illustrata sotto tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi fenomeni. Al libro del Virgilii, ricco d’indicazioni nuove, o mai coordinate finora, l’Idea democratica di Roma dedica un bell’articolo, che ci piace riportare.


Il quadro è per sé stesso terribile; di contro a 88 miliardi di lire e a tre milioni e mezzo di morti, che sono costate in poco più di ottant’anni le guerre dopo il periodo napoleonico, stanno i 216 miliardi di lire e i 16 milioni tra morti e invalidi dei primi due anni non ancora finiti di questa guerra.
E il costo non sta tutto qui. V’è da aggiungere il ristagno della produzione, la paralisi del commercio, la perdita di navi da guerra e mercantili, il valore delle proprietà distrutte, la perdita del capitale umano – di ciascuno dei quali capitoli l’A. fa un’accurata e diligente analisi – e il totale già spaventoso arriva a 333 miliardi di lire nel solo primo anno.
Dietro le cifre terribili, che danno con la loro spassionata eloquenza il criterio preciso delle proporzioni colossali del disastro fisico il lettore intravvede tutto un altro mondo morale di privazioni, di pianti e di lutti. Nessun nuovo acquisto territoriale, nessun guadagno materiale potrà mai compensare le rovine gigantesche seminate dalla guerra.
Eppure la loro previsione non ha trattenuto i responsabili dallo scatenamento del flagello; la loro constatazione non ha raffreddata e non raffredda negli aggrediti la volontà di vincere.
Ben altre poste sono nel giuoco, per le quali le valutazioni economiche sono secondarie: poste per cui si affrontano
volontariamente le morti innumerevoli e le irreparabili perdite per affermare qualche cosa che è più in alto e più prezioso delle ricchezze e della vita, per il quale, anzi, ricchezza e vita non sono che istrumenti.
Affermare la propria personalità e la propria volontà contro e sopra tutte le altre, e ad essa piegarle; improntare il mondo del sigillo della propria potenza deve essere apparso ai fautori della politica germanica un fine di così intenso valore da far passare in seconda linea ogni considerazione di necessario danno economico.
Scopo senza dubbio malvagio, ma di un ordine diverso da quello che si vuol vedere degli abbacinati dal fattore economico.
E per contro: difendere la propria personalità autonoma contro chi la vuole piegare ed umiliare: essere sé stessi e non vassalli e appendici di volontà prepotenti, ha fatto volontariamente affrontare al Belgio, alla Francia e all’Italia il terribile passivo del bilancio della guerra.
Per quanto dolorose e atroci siano le conseguenze della ribellione armata – le distruzioni dei beni e delle vite – pure i popoli della Quadruplice hanno sentito che sarebbe stato più doloso e più atroce, per salvare la vita e le ricchezze, perdere quel supremo bene morale.
Chi non intende questo supremo bisogno morale ha pensato che l’esposizione computistica della terribilità del passivo bellico potesse resecare i nervi della resistenza; ha pensato che i popoli giunti alla consapevolezza della quantità delle perdite sofferte si arrestassero spaventati per salvare il non ancora distrutto, come fa un buon commerciante calcolatore.
Così abbiamo visto apparire con insistenza nelle pubblicazioni rosse e nere dei pacifisti questi spaventosi bilanci guerreschi che nell’intenzione degli espositori dovevano avere l’effetto deprimente desiderato.
Ebbene: dal preciso e rigoroso bilancio redatto dal Virgilii senza pietose alterazioni della verità grandiosamente tragica l’effetto che se ne ricava non è deprimente, ma tonico.
La dimostrata vastità delle perdite subite non ingenera lo sconforto disperante, il desiderio paralizzante di arresto che ne annullerebbe il valore morale e gli effetti conseguibili; ma infonde energia e volontà di sostenere le altre perdite che ancora si richiedono per giungere alla vittoria.
Quando si è posto al proprio sforzo il segno che hanno posto gli Alleati, i sacrifici si numerano, le asprezze sopportate si ricordano per cavare conforto a salire più alto, fino alla mèta prefissa..
La statistica in questo caso non deprime, ma esalta; non arresta, ma sprona e diventa anch’essa un’arma di guerra, una collaboratrice della vittoria.
Quando dalle rigorose cifre del Virgilii appare che le due nazioni più duramente colpite, fra tutti gli Stati belligeranti, sono, appunto, quei due imperi centrali che hanno voluta e provocata e imposta la guerra, si è tentati di dire coll’autore che «è la vendetta della Statistica». Già prima della sentenza definitiva, nel più grave per cento di spese dei due imperi delittuosi è la sanzione del delitto. Veramente la statistica ha cominciato a fare in parte la vendetta degli Alleati.
E quando dalla rigida obiettività dei computi dell’autore risulta dimostrato che la Quadruplice Alleanza ha non solo il più numeroso contingente di uomini ma possiede anche una riserva economica notevolmente superiore a quella degli imperi centrali, si può con ragione dire che la statistica è un elemento di vittoria.
Legittimamente il Virgilii può concludere il suo volume con queste parole: «Dalle nostre indagini statistiche esce una conclusione limpida e precisa, luminosa e confortante per noi, ed è con viva soddisfazione che la poniamo in evidenza: la Quadruplice offre una maggior resistenza finanziaria, e siccome la potenza del numero prevale anche nella guerra, così la vittoria non può esser dubbia».
Certamente la grandezza della causa per la quale gli Alleati lottano è per sé stessa un elemento di vittoria. La coscienza di essere assistiti dalla giustizia moltiplica le forze e inspira negli individui e nei popoli il coraggio di sfidar la brutalità soverchiante del numero e della potenza: dà al Belgio la suprema audacia di gettare tra la civiltà minacciata e l’enorme corpo tedesco minacciante il suo piccolo corpo e la sua grande anima.
Ed è pur certo che chi combatte per la civiltà trova in sé, nella profonda persuasione e fiducia che la giustizia non può morire, forze sempre nuove di resistenza e di speranza inestinguibili, che creano i miracoli degli eserciti rivoluzionari, la resurrezione dei popoli e la battaglia della Marna.
Ma quando a questi elementi morali che fiancheggiano la coscienza della Quadruplice si aggiunge la dimostrazione matematica che questa volta il numero e la forza sono dalla parte della giustizia, la speranza si fa certezza, il desiderio della vittoria, realtà immancabile.
E chi, come il Virgilii, ha saputo trarre dall’esame comparativo del numero e delle risorse materiali questo elemento di certezza reale ha compiuto non soltanto opera interessante di studioso, ma opera di cittadino. Ha anch’egli dato armi alla vittoria.
Questa troverà un’Europa impoverita, dissanguata e dolorante per innumerevoli ferite aperte. Un enorme passivo da colmare graverà sulle generazioni future; ma insieme al passivo troveranno un ideale e meraviglioso strumento di ricostituzione: la libertà. Le ferite si rimargineranno, la ricchezza si rifarà, il sangue sarà ricostituito nella libertà e con la libertà.
L’irreparabile sarebbe stato che la fine della guerra avesse trovato un’Europa altrettanto impoverita e dissanguata e, per di più, schiava di una tirannide vittoriosa. L’eredità di miserie e di lutti sarebbe stata doppiamente grave per le generazioni future. Avrebbero dovuto rifare nella servitù il faticoso e sanguinoso lavoro della conquista della libertà, inutilmente compiuto dai padri, e contro un nemico reso più potente e prepotente dal trionfo della propria politica di supremazia.
A meno che il bisogno della libertà, come pensa qualche animo di schiavo, possa morire nei popoli ed essere sostituito dal bisogno di servire al più forte.