L’Illustrazione Italiana, 11 giugno 1916
Corriere
La fine di lord Kitchener. La battaglia navale dell’Jutland. La salda resistenza italiana nel Trentino. La Missione russa in Italia. Il blocco della Grecia. La morte di Yuan-Shi-Kai.
Settimana tragica!...
La grande battaglia navale del Nord – le lunghe battaglie accanite ed interminabili sulla Mosa e nel Trentino – la ripresa dell’offensiva russa sul Pripet – il blocco della Grecia – la fine improvvisa, fulminea, negli abissi del mare, di lord Kitchener, il Dio britannico della guerra!...
Ogni disputa sulla portata della battaglia navale tedesco-britannica nel Mare del Nord, combattuta dal 31 maggio al 1° giugno, è superata dall’annunzio che un siluro od una mina affondarono al nord della Scozia, nella notte da lunedì a martedì, la reale nave Hampshire recante in Russia lord Kitchener ed il suo stato maggiore. Al terribile annunzio Londra martedì fu tutta in lutto, e con Londra tutto l’Impero britannico.
Lord Kitchener era l’incarnatore di quella formidabile organizzazione militare rispondente al suo caratteristico temperamento di soldato, e necessaria all’Inghilterra in questa grande epoca della sua storia. Il condottiero affermatosi in Egitto, a Kartum, e contro i Boeri, fu chiamato al ministero per la guerra inglese nell’agosto del 1914 per volontà unanime e spontanea di tutta la nazione. «Quello è l’uomo!» – dissero il popolo e il Parlamento; e da due anni lord Kitchener teneva saldamente la direzione di tutta la politica britannica militare, non solo, ma era, si può dire, alla testa di quella organizzazione generale dell’Intesa, onde la guerra dall’Yser alla Mosa, da Verdun al Trentino, dal Carso alla frontiera greco-bulgara, dai confini austro-rumeni al Caucaso, alla Mesopotamia, all’Egitto, alla Libia, venne considerata una guerra sola. Più volte egli aveva ispezionati i varii teatri della gran guerra, ai Dardanelli, in Egitto, in Francia, in Italia; alla sua mente analitica e sintetica erano stati ripetutamente sottoposti i varii problemi strategici che dovevano culminare verso un’unica soluzione; ed ora recavasi in Russia, chiamatovi a consulto dallo Czar, e l’insidia nemica lo ha colpito!... Come uomo di guerra si può dire che egli ha chiusa la sua carriera e la sua vita, a 66 anni, superbamente, da soldato, quale egli fu, di elezione, per mezzo secolo; l’ha chiusa servendo in guerra il proprio grande paese e la buona causa; ma non per questo il lutto della Gran Bretagna ed il rimpianto in mezzo ai popoli combattenti per le idealità nazionali è men grande.
La potenza navale britannica crebbe a dismisura, in questi ultimi cento anni, pur essendosi iniziata con una vittoria – Trafalgar, nella quale perdette la vita il grande ammiraglio, il famoso eroe inglese, lord Nelson, che ha una pagina triste nella storia del regno di Napoli, ma la cui statua è irradiata da una luce che non tramonta sull’alta colonna di Trafalgar-Square. Gli eroi scompaiono, ma la gloria di una marina, di un esercito, di un popolo, rimane e prosegue. L’Inghilterra non manca, in quest’ora, di uomini mirabilmente dotati delle più belle energie, come Lloyd George, Winston Churchill, ed altri ancora; e l’improvvisa scomparsa di lord Kitchener stimolerà ancora più l’ardore britannico, perché l’Impero e l’Intesa possano raccogliere tutti i frutti di quella nuova, coraggiosa organizzazione militare ideata, voluta, diretta da lui e portata, per il prevalere della sua volontà, fino a quella decisiva rivoluzione interna che è stata per l’Inghilterra la coscrizione generale.
Quando voi, lettori, avrete sott’occhio questo Corriere, saprete, probabilmente, se la catastrofe dell’Hampshire sia realmente dovuta ad una mina o ad un siluro nemico. Ecco una bella occasione per i tedeschi per vantarsi almeno di qualche cosa. Essi, che venerdì scorso lanciarono pel mondo primi l’annunzio della grande battaglia navale per far credere ad una loro vittoria, che non è stata una vittoria, ma, più verosimilmente, una sconfitta – faranno meno fatica – dopo tanti siluramenti autentici negati o dissimulati – faranno molto meno fatica a dire che l’Hampshire fu affondato da un loro sommergibile; e se il mondo vorrà, potrà crederlo.
Ciò che il mondo non crede è che la battaglia del Jutland – come oramai è inteso di chiamarla – sia stata una loro vittoria. Le perdite da una parte e dall’altra, numericamente si bilanciano – sei navi e otto siluranti hanno perduto gl’inglesi, sei navi e otto siluranti i tedeschi; peggio conciate rimasero le navi tedesche che ritiraronsi, che non le navi inglesi; quelle inglesi perdute rappresentavano, tutto sommato, e per categoria e per cannoni, una forza sensibilmente inferiore alle categorie ed alla forza di quelle perdute dai tedeschi; la squadra tedesca si dileguò il più rapidamente che poté al sopraggiungere delle dreadnoughts dell’ammiraglio Jellicoe, e non si è più fatta vedere sul mare, dove l’indomani la squadra inglese riappariva.
Dunque, adagio, signori tedeschi, a parlare di vittoria navale! A leggere le dichiarazioni fatte ieri in proposito al Reichstag dal cancelliere germanico v’è da credere che i tedeschi, prima della battaglia del Jutland pensassero che, appena fossersi mostrate sul mare, le loro navi sarebbero state sopraffatte e distrutte. L’ipotesi che vi sarebbe il dare e l’avere, pare non si fosse presentata alla loro mente. Il risultato insperato di averne prese, in non scarsa misura, ma di averne anche, un poco, date, li ha portati ad una vera esaltazione, che in questo momento di lotta disperata, e sempre più stretta, ha un certo valore psicologico rivelatore.
Per intanto il cancelliere ci annunzia che egli non parlerà più, in nome della Germania, di pace – la Germania lotterà fino alla vittoria... tal quale come dicono le potenze dell’Intesa. Su questo, per lo meno, siamo oramai tutti d’accordo.
E per la vittoria lottano appunto francesi ed inglesi, riuscendo a contenere saldamente gl’incessanti assalti tedeschi sulla linea di Ypres – dove si combatte, accanitamente, senza tregua e senza mutamenti, da venti mesi; e sulla Mosa ed a Verdun, dove la lotta dura accanita e sanguinosissima dal 21 febbraio – cioè da centodieci giorni.
Per la vittoria combattono gl’italiani, che tengono saldo su tutto il loro ampio fronte, ed hanno vigorosamente arrestata nel Trentino quella impetuosa offensiva austriaca giuocata, da venticinque giorni, dall’Austria col gesto di chi butta sul tappeto una carta decisiva. L’offensiva prende nome, nientemeno, dall’arciduca ereditario, Francesco Carlo Giuseppe, che figura comandante supremo locale delle truppe assalitrici. Anche nel 1866 contro l’Italia l’Austria – invece del Benedeck, che aveva lungamente studiate le campagne d’Italia – volle mandare un suo grande arciduca, il feldmaresciallo Alberto, a cercare facili allori che gl’intrighi diplomatici gli prepararono e che il non fortunato valore italiano in parte gli sfrondò. Ma mezzo secolo dopo, la guerra che gl’italiani ora combattono non ha sottintesi, e l’ordine del giorno che il generale Pecori-Giraldi – degnissimo comandante italiano nel Trentino – ha ora rivolto alla eroica 37° divisione – è un documento che illumina il valore dei giorni trascorsi, ed impegna il resistente valore pei giorni venturi. I passi delle prealpi trentine non si varcano, – Vicenza, la città della salda resistenza del X giugno 1848, ha anche ora aspetto di piccola capitale di guerra, ma la vittoria italiana, da Pian delle Fugazze ai Sette Comuni, giù al Berico, aleggia nel suo cielo!...
Né meno disgraziate volgono le sorti degli austriaci sul fronte russo. I russi hanno dovuto aspettare, forzatamente, il volgere della stagione, prima di muoversi; ma la loro prima mossa è promessa di grandi eventi propizi. I primi attacchi dal Pripet al confine rumeno hanno obbligato gli austriaci ad una di quelle ritirate che hanno sapore di fuga, lasciando nelle mani dei russi venticinque mila prigionieri, ventisette cannoni e cinquanta mitragliatrici. La ripresa russa è magnifica!...
Il valore strategico e tattico del «fronte unico» emerge da essa. La pressione russa sul Pripet non può non ripercuotersi sulle disposizioni austriache nel Trentino, come la resistenza opposta dagl’italiani nel Trentino influisce sulla vanità degli ostinati sforzi tedeschi contro Verdun. Tutto si collega sempre più in questa guerra, e ciò sente vivamente l’opinione pubblica italiana, che ha salutato con vive accoglienze la missione parlamentare militare e diplomatica russa, passata tra le dimostrazioni più significative da Torino, a Milano ed a Roma. Da Pietrogrado a Londra a Parigi a Roma è tutta una concatenazione di sentimenti e di opere perché si risolva, e presto, secondo le aspirazioni delle nazionalità, la grande lunga lotta, dalla quale si sono appartate due nazioni che credevasi non vi sarebbero mancate – la Rumania e la Grecia. La Rumania si è data americanamente agli affari – ma pare che la diplomazia dell’Intesa accenni a qualche passo decisivo verso di essa. La Grecia ha in casa, da due parti, la guerra che non voleva, ed ha oramai da una parte e dall’altra nemici: non si metterà con gli anglo-francesi, che le tengono Salonicco, non potrà mettersi coi tedesco-bulgari che muovono su Cavala; ed ora ha la sorpresa del blocco delle sue coste, dichiarato ieri dai governi dell’Intesa. La guerra da due lati, e la carestia; la soppressione di quell’abile piccolo cabotaggio o contrabbando ellenico che serviva così mirabilmente agl’imperi centrali, alla Bulgaria, alla Turchia. Tutto questo ora va a cessare. La Grecia si sfogherà con qualche altra contumelia dei suoi politicanti e dei suoi giornali specialmente contro l’Italia – ma i frutti amari che essa raccoglie non sono il prodotto del malvolere altrui, bensì dell’ignavia della sua politica egoistica e malfida. Questa le dà ore tristi oggi, ed una pagina umiliante, indelebile nella storia.
Altra novità dell’ultima ora,la morte in Cina del famoso Yuan-Shi-Kai – il mandarino scaltro ed audace che liquidò il secolare Impero cinese mutandolo in repubblica, poi ultimamente aveva pensato a mutare la repubblica nuovamente in impero a tutto proprio vantaggio. I tedeschi, intriganti a Pechino come in tutto il mondo, speravano che la resurrezione dell’Impero potesse portare difficoltà russo-cinesi che avrebbero – calcolavano essi – potuto influire sulla gran guerra. Ma il Giappone e i diplomatici dell’Intesa fecero capire a Yuan-Shi-Kai che l’ora per ristabilire l’Impero non era questa. Poi le provincie del Sud ricominciarono i loro pronunciamenti repubblicani e alcune, come quella del Hu-nan, proclamarono la propria indipendenza, e la repubblica fu riconfermata da Yuan-Shi-Kai… Ma quindici giorni sono un
attacco emiplegico lo colse, e perdette l’uso della parola. Una voce corse che, anziché di colpo apoplettico, si trattasse di avvelenamento; ma questo fu poco dopo smentito. Ora arriva la notizia della morte. E l’epilogo naturale di una agitata vita politica?... É l’epilogo cupo di un lungo dramma?... È l’inizio di un nuovo dramma storico cinese che viene a sovrapporsi alla grande tragedia della guerra mondiale?... Stiamo un poco a vedere. La Cina è antica terra di sorprese, in questo mondo, dove tutto ha ormai l’aspetto di una interminabile successione di films imprevedute, sorprendenti, sbalorditive!...