L’Illustrazione Italiana, 11 giugno 1916
Per l’arte di Grazia Deledda (A proposito di «Marianna Sirca¹»)
Non deve esser lecito più giudicare la Deledda come di una personalità già giudicata, e che solo per questo motivo interessi meno; da noi stessi dobbiamo metterci dinanzi ai suoi libri. E allora ci accorgeremo che, quasi a nostra insaputa, e contro ogni ostinazione, questa nostra scrittrice, ha preparato per noi un’immensa sorpresa. Ci accorgeremo che i suoi libri portano ciascuno di per sé un valore che deve esser discusso e vagliato volta per volta; sempre con una sensibilità che sia capace di porsi dinanzi a lei. E ci accorgeremo anche di quanto superficialmente ci siamo comportati. Grazia Deledda ha tanto da dare che nessuna energia che giovanilmente si evolva o apparisca può sentirsene indifferente o sdegnosa. Questa è la verità. Riparlare di lei non vuol dire insistere o ripetere; vuol dire riconoscere alla fine un valore che appunto per la sua vastità ci sfuggiva. La sua arte non è già una letteratura che ha perso la ragione di vivere: resta forse in disparte da noi proprio invece perché per noi comincianti è già troppo alta e poderosa. A differenza di altri scrittori di uguale fama, Grazia Deledda non è mai divenuta un’accademica che esclusivamente dalle proprie sorgenti attinge e trova gli elementi di continuazione; la Deledda è come se si mettesse a scrivere soltanto da oggi; perché ogni suo libro non appare, confrontandolo con i precedenti, una facile manifestazione di naturale e istintiva fecondità; ma ha proprio elementi che di per sé stessi la giustificano e l’esaltano.
Può darsi che molti lettori della Deledda s’interessino di certe non necessarie caratteristiche, più esteriori che interiori, dei suoi personaggi relative ad usi e costumi e di contenuto aneddotico; ma non è colpa della Deledda. A noi non importa molto sapere come questi personaggi vestono e dove agiscono: a noi importa esaminarli in sé stessi; e, anche se sono tipi speciali, è evidente che noi dobbiamo soltanto verificare come questi tipi sono presentati. Non ci fermiamo ad esaminare che cosa contengono in sé stessi, ma piuttosto quanto contengono in sé stessi e come. Ed allora cade di botto l’importanza piuttosto relativa e superficiale con la quale essi si presentano; e troviamo, invece un’importanza fondamentale e parecchie volte indistruttibile. Ed allora non si può sostenere più, troppo alla leggera, che la Deledda è una scrittrice sarda.
In un tempo come il nostro che gli scrittori, specialmente i giovani, si sforzano o tentano di arricchirsi appunto di quegli elementi fervidi delle loro rispettive razze o regioni, non è troppo di buona fede rimproverare alla Deledda se i suoi personaggi non escono, per modo di dire, dalla Sardegna.
Caduto giù questo vizioso pregiudizio, che è un’oziosità d’abitudine, è tempo ormai di riconoscere che molti, quasi i più, dei personaggi della Deledda non hanno confini geografici o altre limitazioni, ma spettano all’ordine umano che è universale. Ed è tempo perciò di studiarli ed esaminarli come tali: agevole sarà l’esperienza.
La ricchezza spirituale dei personaggi non va cercata nell’esuberanza di certe qualità regionali, ma piuttosto nel concepimento intellettuale della scrittrice. Certe cose, che sembrano ripetizioni, sono inevitabili ; e sono invece altrettante forme, indipendenti l’una dall’altra, di uno studio completo sull’essere umano. La fecondità della Deledda ha contribuito a questa opinione inesatta.
Marianna Sirca, l’ultimo e recente romanzo pubblicato dal Treves, riesce a recare nei personaggi una spiritualità, che se si attiene sapientemente a certi contorni speciali e subito riconoscibili, ha tuttavia una forza che li libera senz’altro da un mondo che sarebbe stato troppo stretto. Il merito principale di questo romanzo consiste appunto nell’uscita definitiva da entro certe insistenze e particolarità regionali rimproverate alla Deledda. Qui si hanno personaggi moventisi in quell’indefinito senza fine, di cui partecipa sempre la grande arte. Che importa se le fila del libro si svolgono e si muovono a Nuoro? La scena, come si sa, non è che un pretesto. E se qualcuno non apprezzasse, come si merita, questo libro solo perché siamo sempre in Sardegna, avrebbe molto torto; perché proprio Marianna Sirca è pronta a dimostrare come da uno spunto regionale si possa cavar fuori un argomento castissimo e capace di contenere in sé clementi moralmente profondi e tali da avere significati universali; su cui si può studiare molta psicologia umana, di quella che s’impara perché appartiene a tutti.
Io non riepilogo qui la tela del romanzo, perché questo modo di presentare al pubblico la roba altrui non mi piace: dirò solo che è semplicissima. E attorno alle tre principali figure, di cui voglio discorrere senza svelarle, che sembrano costruite come per un grande edificio e da stare in alto, se ne scorgono altre, alcune delle quali di scorcio, non meno esatte e non meno vive.
Che forse la psicologia di Marianna Sirca è un fenomeno sardo? Non scherziamo. Si ha in lei lo studio preciso di una donna, non fatta con i soliti espedienti opachi di letteratura o con le lisciature di maniera; ma con una sensibilità sempre evidente, che riesce perfino cruda e insaziata con un impeto dostoieschiano, qualche volta solenne e qualche volta liberato in ascensioni che sembrano ritmi di grandi concerti spirituali; con un senso di realtà narrata ed evidente, sempre fresca e pronta a riempire la curiosità.
Simone, vero, è un mezzo brigante che non ha coraggio, un debole; e Sebastiano tira, alla fine, la consueta fucilata; ma questi caratteri e questi episodi possono influire sul valore assoluto, e non relativo, del libro se sono presentati con un’inesauribile freschezza recente e nuova e con una pienezza di particolari che li ingigantisce? Qualcuno preferirebbe delle dame in guardinfante e forse nude, o qualcosa di più borghese. Tutti i gusti sono buoni; ma ogni scrittore deve restare nella specie della sua arte.
Piuttosto è più importante chiedere se questa psicologia di gente sarda ha, per il nostro io, non solo un aspetto letterario, ma qualche relazione che ci smuova lo spirito facendolo agire. Ossia ci dobbiamo chiedere se questi personaggi, invece di recitare una commedia convenzionale, non siano anche e soprattutto espressioni simboliche che traducono nostri sentimenti e attività spirituali e sentimentali. E allora vedremo quanta dolcezza umana la Deledda ha messo in questi personaggi. Noi vedremo che i loro dolori e i loro sogni c’interessano perché aggiungono a quelli nostri la loro immediatezza e la loro sincerità. In certe descrizioni psicologiche è agevole trovare la spiegazione o l’esaltazione di nostri stati che rimangono acerbi o chiusi da sovrapposizioni che forse sono inutili o troppo attenuanti. Questa penetrazione, in anime che sembrerebbero assolutamente convenzionali o decorative, è invece meravigliosa e c’impone rispetto.
Ma tutta la ricchezza di sentimento, di cui è colma l’anima di Marianna Sirca, non è forse un’analisi forsennata anche di noi stessi? Una brama di voler dare a noi stessi profondità che erano ingannate da ombre fuggevoli e mute: basta soffiarci sopra con un poco di lirica perché vadano via.
Ora, è tanto il sentimento di questi personaggi che le cose esteriori attorno a loro prendono perfino significati mistici e relativi. Certi colori non potrebbero impressionare tanto se non fossero rivelati e descritti al momento, opportuno, cioè quando la nostra anima è stata prima disposta a guardarli con una curiosità speciale e indispensabile.
Questo mondo deleddiano, che sembra un sogno avvenuto sotto una luce esasperata, ci può magari sfuggire, affievolendosi e apparendoci soltanto una finzione ben fatta e eseguita; ma resta e perdura in noi qualche cosa di meglio: resta la sostanza dell’arte; resta il senso di verità e di realtà che non si può più sopprimere; resta quella poesia dolorosa e inquieta che è stata spremuta da una lunga contemplazione interiore; restano questi personaggi fabbricati con tanta intensità anche se son tratti dai loro scenari. Essi appartengono, senza esitazioni e senza contrasti, a quella vita che si trasmette sempre e si nutre di sé stessa facendosi ritrovare intatta tutte le volte che la si cerchi. Al di fuori, dunque, delle invenzioni che costruiscono la trama; c’è una vera sofferenza, una vera energia intellettuale.
Grazia Deledda è una grande scrittrice, per la quale la critica non ha fatto il proprio dovere come il pubblico: almeno per ora.
¹ Grazia Deledda, Marianna Sirca, (Milano, Fratelli Treve, L. 4).