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 2016  giugno 11 Sabato calendario

Nella task force contro la violenza della Boschi c’è anche Lucia Annibali

Nel giorno dei funerali di Sara, strangolata e bruciata a Roma dall’ex fidanzato, Maria Elena Boschi spiega il piano del governo per fermare la lunga scia di sangue del femminicidio. Una donna ogni due giorni. Perché così tante in Italia?
«Davanti a fatti così tragici non c’è statistica che tenga. Anche una sola donna è troppo. Ma se guardiamo con freddezza i dati del ministero dell’Interno, vediamo che nei primi cinque mesi del 2016 il fenomeno del femminicidio è sceso del 20% rispetto allo stesso periodo del 2015. Numeri che ci devono guidare, ma che servono a poco davanti al dolore di una mamma, di un fratello, di un’amica».
Ministro, lei ha avuto la delega alle Pari opportunità un mese fa, ma su questo drammatico tema ha parlato ieri per la prima volta. Perché?
«Sono stata molto cauta perché manca ancora la formalizzazione delle deleghe che non sono ancora operative, ma sto già lavorando e riprendendo in mano le questioni aperte».
Come ha trovato il dipartimento delle Pari opportunità dopo le dimissioni della consigliera Giovanna Martelli?
«Ho trovato dirigenti davvero in gamba e appassionati, che conoscono bene questa materia e lavorano con impegno da anni. Anche l’Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali (Unar, ndr ) ha un nuovo direttore molto capace e sono sicura che faremo un buon lavoro di squadra».
La sua squadra è pronta? Ci vorrebbe una task force...
«Tramite il dipartimento ho chiesto che vengano completate le designazioni per la cabina di regìa interministeriale e per l’osservatorio, previsti dal Piano antiviolenza. E vorrei anche chiamare alcuni consulenti per una mia task force».
Una donna come Lucia Annibali, che da vittima è diventata un simbolo, può dare una mano?
«Certo. Ho infatti chiesto a Lucia di collaborare con noi e con mio grande piacere ha accettato. Ci stiamo muovendo anche su altri nomi impegnati nel settore».
Pensa che sia necessario inasprire ancora le pene?
«Sulle sanzioni le leggi ci sono, siamo intervenuti due anni fa con il decreto sul femminicidio. Il problema è la formazione, l’educazione. Quando arrivi ad applicare una legge e a punire qualcuno per stalking o femminicidio, vuol dire che è già troppo tardi. Non dobbiamo arrivare fin lì, dobbiamo fare in modo che ci si fermi prima. Ci si può riuscire solo creando una cultura condivisa di rispetto vero e di parità tra le persone».
Bisogna iniziare dalla scuola?
«Il primo luogo è la famiglia. E poi ovviamente la scuola, ma anche le associazioni sportive, il terzo settore. Noi come Stato abbiamo la possibilità di incentivare nelle scuole una vera sensibilizzazione verso il rispetto della diversità di genere e contro la violenza sulle donne. A breve, usciranno le linee guida nazionali del Miur, come prevede la Buona scuola».
Laura Boldrini ha appeso un drappo rosso dalla finestra di Montecitorio e sprona le istituzioni a fare di più.
«La presidente della Camera è da sempre impegnata su queste tematiche, in modo convinto. Quanto alle istituzioni, si può sempre fare di più. Prevenzione, progetti educativi e collaborazione con le forze dell’ordine, che dopo corsi ad hoc possono aiutarci a loro volta nelle scuole».
Non accade troppo spesso che le vittime avessero denunciato le violenze di fidanzati o mariti, rimasti liberi di uccidere?
«Le forze dell’ordine hanno acquistato maggiore consapevolezza, sono molto attente alle vittime di stalking e violenza. In Toscana ci sono esempi di collaborazioni integrate tra forze dell’ordine, strutture ospedaliere e terzo settore, che funzionano molto bene. Nella legge di stabilità abbiamo introdotto una norma sul codice rosa, perché un’esperienza fatta in Toscana possa diventare una base di partenza per una riflessione di carattere nazionale».
Il piano antiviolenza a che punto è?
«Lo stiamo attuando. Abbiamo presentato il bando per i centri antiviolenza, ci sono già state le richieste di adesione e abbiamo istituito la commissione che deve esaminarle».
Le associazioni lamentano che i fondi per contrastare la violenza sono insufficienti.
«Ci sono 12 milioni con i quali, se spesi tutti e usati al meglio, si può fare molto. Le circa 200 richieste arrivate saranno selezionate con scrupolo e rigore. Bisogna distinguere chi gestisce i centri con serietà da anni e chi invece cerca di attingere risorse pubbliche e non le utilizza in modo corretto. Aggiungo che in Conferenza Unificata abbiamo appena sbloccato il piano contro la tratta di esseri umani, che prevede uno stanziamento di altri 13 milioni».
Condivide l’appello di Alessia Morani (Pd) e Lucia Annibali?
«Il femminicidio non è una cosa da donne. Il rispetto per una vita umana non ha niente a che vedere con la questione femminile: riguarda tutti, uomini e donne. È una battaglia che possiamo vincere se c’è assunzione di responsabilità da parte di tutti, anche degli uomini. Ben vengano gli appelli perché gli uomini si impegnino, ci mettano la faccia e aiutino altri uomini ad assumere consapevolezza».
Come aiutare le vittime sopravvissute alla violenza?
«Nel Jobs act abbiamo inserito una norma di civiltà. Le donne che abbiano subito violenza hanno diritto a prendersi tre mesi di sospensione dal lavoro per curarsi il corpo e l’anima. Senza perdere il lavoro e lo stipendio».