Corriere della Sera, 29 novembre 2007
«Mio marito non c’entra niente con il Boris Giuliano del Capo dei capi». Parola della moglie
Egregio direttore, sono la moglie del dottor Giorgio Boris Giuliano. Ho seguito, almeno in parte, la fiction «Il capo dei capi» trasmessa in tv e, pur apprezzando il risalto dato alla figura di mio marito, deploro che gli autori o gli sceneggiatori non abbiano pensato di rivolgersi alla famiglia o alle persone più vicine per delinearne meglio la personalità. Mio marito era infatti molto diverso sin dai caratteri esteriori. Emerge dalla fiction un personaggio che segue lo stereotipo del siciliano: scuro, con folti baffi neri, che parla in dialetto e che usa il turpiloquio, un uomo dal temperamento passivo. Mio marito non era per nulla così. Non era un uomo di mezza età, non parlava in dialetto stretto (non ci sarebbe stato nulla di male, ma semplicemente non era così). Inoltre non usava abitualmente il turpiloquio e non fumava. Era un uomo giovane (nel 1969 aveva 38 anni). Era un uomo colto, determinato, coraggioso e pieno di entusiasmo; credeva nel suo lavoro; parlava perfettamente l’ inglese e, da poliziotto moderno, fu un pioniere della cooperazione internazionale tra Polizie in funzione antimafia; ma soprattutto non aveva bisogno, come appare nel lavoro televisivo, di un inesistente «Schirò» che lo spronasse a combattere la mafia, indicandogli le decisioni da prendere. Ben altro, se si fosse voluto rendere giustizia alla sua figura, poteva essere raccontato nella fiction: si poteva far riferimento all’ isolamento in cui fu lasciato, o ai rapporti che presentava e che restavano lettera morta nei cassetti della Procura (tanto che dopo la sua morte ne riferii al Consiglio Superiore della Magistratura). Apparve in tal modo (lui, non «Schirò») l’ unico ad opporsi alle cosche, divenendo così un facile bersaglio. Pur comprendendo che si tratta di una fiction, e pertanto non necessariamente fedele alla realtà, penso che nel trattare un argomento così delicato andrebbe fatta una scelta: o utilizzare nomi e situazioni di pura fantasia, oppure, se si decide di riferirsi a personaggi realmente esistiti (usando il loro nome) e che, come in questo caso, hanno perduto la vita per lo Stato, ci si dovrebbe attenere alla realtà dei fatti sottoponendo la sceneggiatura ai familiari. Non mi sembra di chiedere troppo.