la Repubblica, 7 aprile 2016
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I nostri primi novant’anni con Elisabetta, la regina dei record
«Long live our Queen, May she live forever». Lunga vita alla nostra regina, possa vivere per sempre, è l’augurio quasi menagramo (soprattutto per gli eredi) della formula di acclamazione che accompagna il più longevo monarca del Regno Unito: come età, 90 anni il 21 aprile, e come regina, per ora, oltre i 64 anni, superando, ancora molto attiva, cervello vispo e regalmente impegnata, la trisavola Vittoria, che regnò 63 anni 7 mesi e 2 giorni, negli ultimi tempi un po’ via di testa oltre che distrutta dai reumatismi.
Certo Elisabetta II non vivrà per sempre perché, pur stoica regina, è purtroppo umana: però la sua amatissima madre Elisabetta, vedova di re Giorgio VI, si è spenta, ancora molto vivace, a 102 anni, e non si sa se l’Inghilterra, il governo attualmente conservatore, i discendenti e forse lei stessa, la regina, si augurino quel primato: in questo caso Carlo salirebbe al trono, se in vita, a 82 anni, assieme all’amata Camilla che diventerebbe principessa consorte a 81 anni. C’è chi immagina che nella grandiosa occasione di questo genetliaco memorabile ma certo pesante, la regina potrebbe finalmente annunciare la sua abdicazione in favore del figlio primogenito anche lui già avviato agli acciacchi dell’età (68 anni), per ritirarsi da ogni sempre più faticosa apparizione accanto al marito Philip, 95 anni, che mai riuscì a ottenere il titolo di principe consorte e per quanto sempre diritto, forse sogni solo una bella poltrona accanto a un regale camino a leggere qualche giornale sui cavalli.
L’idea circolava già quattro anni fa quando, il 3 giugno 2012, con il massimo fasto, fu celebrato il Giubileo di Diamante, i 60 anni di regno, e la regina fece sapere che non ci pensava proprio, irritando molto, dicono, il principe Carlo. Nella stessa occasione, quando la regina Vittoria fu festeggiata per i suoi 60 anni di regno, il figlio Albert, principe di Galles (come Carlo) che sarebbe diventato Edoardo VII nel 1901 a 60 anni per morire nove anni dopo, disse «Non ho niente contro l’idea di un Padreterno, ma non sono molto d’accordo su quella di una madre eterna». Simpatica dichiarazione riportata, con ogni altra informazione possibile, nel nuovo libro di Antonio Caprarica, grande esperto dei Windsor, Intramontabile Elisabetta. In ogni caso non si prevedono per qualche decennio altri monarchi femmina, anche se una legge recente preveda che l’erede al trono sia il primogenito, di qualsiasi sesso sia: ma per ora tutti i primogeniti Windsor sono maschi, Carlo figlio di Elisabetta, William figlio di Carlo, George figlio di William.
La maggioranza dei sudditi britannici ama la sua monarchia, costosa (anche se l’attuale regina è molto parsimoniosa, tanto da rimandare in frigorifero i limoni usati come decorazioni), priva di potere, apparentemente inutile in un paese a democrazia parlamentare, anche se in molte occasioni, pure durante il regno di Elisabetta, soprattutto negli “orribili” Anni ’80, i repubblicani si risvegliano, ogni volta inutilmente. Caprarica ricorda la dichiarazione del commediografo John Osborne nell’ottobre del 1957: «La mia obiezione al simbolo reale è che è morto. È un’otturazione d’oro in una bocca piena di carie». Il regno di Elisabetta è stato, è del tutto esemplare: sia per il comportamento della regina, di massima, antica dignità e costante presenza in ogni circostanza, sia, e non voluto da lei, per l’eccitante accavallarsi di scandali, amori, tradimenti, divorzi, vestiti, dichiarazioni pubbliche e conversazioni private illegalmente registrate, prima nella vita tempestosa della sorella Margaret e poi in quella simile a una voluta sceneggiatura melodrammatica, talvolta comica talvolta tragica, dei figli, Carlo, Anna, Edoardo, Andrea. Che a una istituzione molto amata per la sua immagine vittoriana anche se già spesso in passato sfregiata, hanno aggiunto il loro fulgore irregolare di star dei mass media mondiali.
Si può immaginare cosa deve aver provato Elisabetta che in nome della corona aveva impedito a Carlo di sposare la sua amata già sposata e madre, per obbligarlo a nozze degne con una ragazzina bella, nobile e soprattutto vergine, per poi piegarsi alle ragioni dell’odio e dell’amore e ritrovarsi dopo anni drammatici ad accettare il divorzio dell’erede al trono e il matrimonio con l’amata di sempre. Del resto anche lei, la giovanissima Elisabetta, aveva dovuto lottare con la famiglia e pure con il governo per poter sposare il suo amore, il biondo Filippo di Grecia e Danimarca, di religione ortodossa, di famiglia un po’ nazista e anche senza soldi. Lui subito diventò anglicano, gli diedero il titolo di principe di Edimburgo e gli innamorati poterono sposarsi prima che lei diventasse regina. Encomiabile, dicono gli inglesi, fu il suo comportamento per la tragica morte dell’ex nuora Diana, quando vinse tutta la sua riservatezza e forse il suo rancore, davanti a milioni di inglesi e a tutto il mondo in lacrime, e vestita a lutto, pronunciò alla televisione un commovente discorso, ricordando della bellissima principessa che avrebbe potuto mandare all’aria la monarchia, soprattutto l’amore per i figli e ciò che aveva saputo dare ai Windsor con la sua grazia e il suo impegno. Sembra che con il lungo regno di Elisabetta, la monarchia si stia esaurendo, perdendo interesse mediatico: non si riesce a immaginare folle plaudenti per Carlo e Signora, né loro eventuali e tardive follie, e se il cosiddetto popolo sembra amare i bellissimi giovani principi e i due loro piccini, William e Catherine, George e Charlotte, molto fotogenici, si teme che, troppo perfetti nella loro gentile quotidianità di brava famigliola qualsiasi, alla fine risultino noiosi e quindi inutili.