La Gazzetta dello Sport, 3 aprile 2016
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Centoventi anni fa usciva il primo numero della Gazzetta, e il giornale lo ricorda degnamente con la carta verde e lo speciale dedicato alla storia del giornale
Centoventi anni fa usciva il primo numero della Gazzetta, e il giornale lo ricorda degnamente con la carta verde e lo speciale dedicato alla storia del giornale. Ci si chiede però che anno fosse questo 1896, abbastanza misterioso alla fine: sta a mezzo tra l’unità (1861) e la prima guerra mondiale (per noi il 1915). In apparenza né carne né pesce.
• Da dove vuole cominciare?
La redazione mi ha chiesto una lista di personaggi per illustrare la pagina con le foto giuste. L’elenco di nomi, puro e semplice (e disordinato), può già dare un’idea: Francesco Crispi, papa Leone XIII, la regina d’Inghilterra Vittoria, il re Umberto I, il futuro re Vittorio Emanuele III (che Dossi nei suoi appunti qualifica già di «rachitico») e la futura regina Elena, che si sposarono quell’anno. Montale, nato allora in ottobre, i fratelli Lumière (è l’anno di nascita del cinema), Puccini (la prima della Bohème), Clara Wieck, che morì quell’anno, era stata moglie di Schumann, a cui aveva dato sette figli, e amante di Brahms. D’Annunzio, la Duse e la Sarah Bernardt, un intreccio erotico-sentimentale-intellettuale che trovò una sua svolta proprio nel ’96. Guglielmo Marconi, che a febbraio se ne andò in Inghilterra perché l’Italia non gli credeva e con la miseria che c’era non aveva le centomila sterline che servivano per fargli continuare gli esperimenti. Il presidente americano era Stephen Grover Cleveland, una mosca bianca perché era democratico in un’epoca in cui gli americani mandavano alla Casa Bianca solo repubblicani, e infatti alla fine dell’anno elessero McKinley, che s’insedierà nel ’97 e che verrà ammazzato a revolverate da un anarchico nel 1901 (stessa sorte di Umberto I). Si potrebbero anche mettere le foto di Guido Farina, il primo chirurgo al mondo ad avere il coraggio, quell’anno, di mettere le mani su un cuore, di Octave Chanute, che tentava di far volare biplani e preparò le meraviglie aeree dei fratelli Wright, di Italo Svevo, che pubblicò a sue spese, sempre nel 1896, il primo romanzo, Una vita.
Chi sa quanti ne ho dimenticati.
• Come mai si comincia con Crispi?
Per via di Adua, la più bruciante sconfitta della nostra storia. Il generale Baratieri, con 14 mila uomini, contro i centomila dell’imperatore Menelik. 1° marzo 1896. Morirono 5.240 soldati, 254 ufficiali e due generali. Ai mercenari che s’erano lasciati arruolare da noi (gli ascari), gli etiopi tagliarono la mano destra. Tra i caduti, Luigi Bocconi, a cui il padre Ferdinando, nel 1902, intitolò l’università. Crispi credeva di guidare un popolo guerriero ed era ansioso di far sedere il nostro povero paese tra le potenze mondiali. Il disastro di Adua lo costrinse a dare le dimissioni. Il primo ministro, nel giorno del debutto di Gazzetta, era Antonio Starabba, marchese di Rudinì. Qualcuno se ne ricorda? Vuol sentire i nomi degli altri ministri? Caetani di Sermoneta, Costa, Branca, Colombo, Ricotti Magnani, Brin, Gianturco, Perazzi. Cioè, dei perfetti sconosciuti. Bisognerebbe che i nostri attuali, che spesso dànno l’idea di sentirsi sull’onda della storia, ogni tanto ci pensassero.
• Com’era l’Italia di allora?
Mancava ancora il Trentino-Alto Adige (ci verrà consegnato alla fine della Prima guerra mondiale), gli abitanti erano 32 milioni, ed erano giovani, l’età media era di 28 anni e 4 mesi. Però con una metà di analfabeti. Quasi nessuno viveva solo (l’8,8%), il Pil pro capite, rapportato a oggi, era di 1.600 euro l’anno, il 40% lavorava sui campi, gli statali, insegnanti esclusi, erano appena 170 mila, con manodopera femminile quasi inesistente: 5.000 impiegate appena. Dal 1882 si emigrava alla grande, al ritmo di mezzo milione di persone l’anno, dirette soprattutto negli Stati Uniti. Vittorio Emanuele III, nel 1910, dovrà varare una celebre legge soprattutto per regolare l’attività dei mediatori. La popolazione, nonostante questo, cresceva a ritmi sostenuti.
• Racconti qualcosa di divertente.
Il 1° febbraio ci fu la prima della Bohème al Regio di Torino, direttore il ventinovenne Toscanini. La Stampa mandò il suo critico Carlo Bersezio, figlio del grande Vittorio Bersezio e musicista a sua volta. Il nostro sfortunato collega, ad onta del buon successo di pubblico, scrisse quanto segue: «La Bohème come non lascia impressione nell’animo degli uditori, non lascerà grande traccia nella storia del nostro teatro lirico, e sarà bene, se l’autore, considerandola come l’errore di un momento, proseguirà la strada buona e si persuaderà che questo è stato un breve traviamento del cammino dell’arte».
• Perché, nel dar conto dei nati, ha messo Montale e non, per esempio, Pertini?
C’è una poesia di Montale che mi piace in modo particolare e allude al secolo che sta arrivando (cioè, il Novecento). «Dagli albori del secolo si discute / se la poesia sia dentro o fuori. / Dapprima vinse il dentro, / poi contrattaccò duramente / il fuori e dopo anni si addivenne a un forfait / che non potrà durare perché il fuori / è armato fino ai denti». Questioni di cui qui non ci occupiamo mai e che, passano gli anni, non sono ancora state risolte.