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 2016  marzo 03 Giovedì calendario

Denunciati per aggiotaggio i vertici della Banca Popolare di Vicenza. Le azioni valgono il 10% rispetto a un anno fa

«La Basilica Palladiana bruciava come una torcia. Dalle travature le fiamme balzavano fuori attraverso squarci aperti nelle lastre di rame della cupola...», scrisse il poeta Fernando Bandini ricordando le bombe del marzo ’45 e lo spavento per il «bagliore torrido e ondeggiante che ci sovrastava come una celeste apocalisse».
Settant’anni dopo, un altro simbolo di Vicenza, la Banca Popolare, brucia come una torcia. O almeno bruciano come torce, indifferenti alle rassicurazioni dei nuovi vertici, le migliaia di azionisti che dopodomani, sabato, si ritroveranno nell’assemblea dei soci. Furibondi per aver avuto la conferma che la «loro» banca, lo storico salvadanaio che pareva a prova di martellate, vale oggi si e no un decimo di un anno fa. E in larga parte convinti che abbiano ragione i giudici a ipotizzare, come ora fanno, l’«associazione a delinquere».
Sì, forse alla «Popolare» non sono successe (forse...) alcune schifezze raccontate da Stefano Righi nel libro Il grande imbroglio, come la mega buonuscita della Banca delle Marche all’ad Massimo Bianconi riassunto lo stesso giorno (!) per fregare le regole di Bankitalia su certi contratti o ancora il record mondiale di velocità nella approvazione di finanziamenti: 83 in 5 minuti. Una delibera ogni 3,6 secondi. Ma certo ai piedi di Monte Berico ne hanno combinate di tutti i colori.
Grazie alla quotazione casareccia delle azioni fissata in base alla stima di un esperto «indipendente» («Ah, io non c’entro», avrebbe poi spiegato Mauro Bini, uno dei «certificatori» storici, «Io ho fatto le valutazioni delle azioni sulla base dei dati che mi hanno fornito, non spettava a me verificarne la veridicità»...) la «Popolare» berica si inerpicò tre anni fa al terzo posto tra le banche italiane dopo due colossi come Unicredit e Intesa San Paolo e davanti a Mediobanca e il re del vino fattosi banchiere Gianni Zonin, come scrisse perplesso sul «fai da te vicentino» Mario Gerevini, declamava che il suo istituto era «un porto sicuro anche nella tempesta dei mercati». Testuale.
In 150 anni «mai nessun problema», confermava al quotidiano cittadino il 10 aprile 2015. Ammetteva che otto anni di crisi continuata avevano «sconvolto tutto» e purtroppo occorreva tagliare del 23% il valore delle azioni, ma ricordava che «le banche quotate negli ultimi 5 anni hanno perso il 70%» e giurava, anche nel titolo a tutta pagina: «I soci non ci perderanno». Sic...
E non era la prima volta. Un mese prima, ricorda una denuncia dell’avvocato Renato Bertelle a nome di Nadia, che come tantissimi altri aveva depositato i suoi risparmi comprando azioni con l’assicurazione che avrebbe potuto ritirare i soldi in ogni istante, il dominus della «Popolare» aveva comunicato ai soci «significativi miglioramenti». Di più: «Potremo attenderci per il 2015 risultati particolarmente lusinghieri». Tesi ribadita dal direttore generale a commento del primo rapporto: «I risultati del 1° trimestre 2015 sono di piena soddisfazione, con un risultato della gestione operativa superiore di oltre il 50% rispetto all’anno precedente e dell’8% sul target di periodo». Urrah!
Come sia andata davvero nel 2015 l’ha spiegato sul Giornale di Vicenza Marino Smiderle: «L’aspetto più preoccupante è legato al calo drastico della raccolta. In particolare la raccolta diretta perde 8,4 miliardi (meno 27,8%)». Da 30,3 a 21,9 miliardi: «Un sesto di chi ha portato via la raccolta ha chiuso i conti, mentre i restanti cinque sesti hanno ridotto del 50% i depositi». E chiudeva: «La sfida è farli tornare».
Ci sperano anche il nuovo presidente Stefano Dolcetta e il nuovo ad Francesco Iorio, che non perdono occasione per sostenere che c’è una «profonda discontinuità col passato» e che i 6,30 euro fissati per le azioni (meno 89,9% rispetto ai 62,50 di partenza: la metà di quanto temuto a novembre) adesso sono almeno «numeri veri, reali, trasparenti». Recuperare la fiducia, però, anche dopo il passaggio di sabato su cui è intervenuta la Bce ammonendo sull’importanza (sennò sono guai...) di un voto corale dell’assemblea per l’aumento del capitale e il via libera alla Spa da dove ripartire, non sarà facile.
Sono 35mila, i vicentini della «Gran Via Lattea della piccola industria», come la chiamava Alberto Cavallari, che avevano tanta fiducia nella banca da diventarne azionisti. Uno ogni venticinque abitanti. Un’enormità. E oggi, come spiega il politologo vicentino Ilvo Diamanti, «si sentono vittime di un vero e proprio tradimento. Certo, questa crisi di province forti non si vede solo da noi. Ma Vicenza è Vicenza». Cioè la terza provincia industriale d’Italia per iscritti, un’impresa ogni dodici abitanti, un export di 16 miliardi, un tasso di disoccupazione che è la metà della media nazionale... Un mondo storicamente legato alla concretezza dei «schei» che si è trovato di colpo svuotato di parte dei risparmi a causa d’una realtà (viene in mente Edmondo Berselli e il libro L’economia giusta uscito postumo) spostatasi verso la filosofia di Mickey Rourke in 9 settimane e mezzo quando spiega il suo lavoro così: «I make money by money». Faccio soldi coi soldi.
Sono tremende e in qualche modo tutte uguali le storie raccolte in questi mesi dai giornali e dai siti web come Vvox.it. Goretta Rancan mise tutti i soldi ereditati dal vecchio padre lì, alla «Popolare»: «Mi spergiurarono che quelle azioni non avevano alcun rischio, che erano come denaro contante e che in caso di necessità i soldi c’erano». Quando cercò di ritirarli e le dissero che al momento non poteva ma in attesa di fare le carte le offrivano un prestito: «Una specie di semplicissima partita di giro coperta dalle azioni». Spendesse pure tranquillamente, erano soldi suoi. Ora ha perso tutto e la banca vuole pure i soldi indietro.
Per il caso identico e già citato di Nadia, l’avvocato Bertelle ha denunciato per «associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati di aggiotaggio e false comunicazioni sociali»: i vertici della «Popolare» ma anche il «certificatore» Mauro Bini (quello che dava un valore delle azioni in base ai documenti che gli dava la banca: fossero o meno veritieri), Ignazio Visco, la Banca d’Italia, la Kpmg e insomma anche tutti quelli cui erano affidati i controlli. Come andrà a finire? Boh...
Certo è che dopodomani l’assemblea sarà arroventata. Non sarà facile, per migliaia di soci furenti, capire. Tanto più capire come mai con questi chiari di luna siano stati spesi quasi cinque milioni di euro per le liquidazioni di quei manager che hanno lasciato la banca così com’è...