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 2016  marzo 03 Giovedì calendario

A Roma ci sono tre topi per abitante

Diciamo la verità, il dettaglio macabro del sangue che cola dal tetto sulla scrivania di un malcapitato impiegato non aiuta. Se poi la scena da film dell’orrore si verifica a uno sportello aperto al pubblico, e quello sportello è uno dei quattro della biglietteria dei Fori Imperiali, a Roma, la risonanza planetaria è assicurata. Tanto più se quel sangue, come si è premurato di chiarire il soprintendente ai beni archeologici Francesco Prosperetti, è di un topo rimasto schiacciato nell’intercapedine del tetto e lo sportello si deve chiudere per qualche ora causa disinfestazione.
Ma quello che è accaduto due giorni fa a Roma sarebbe forse potuto succedere ovunque. I topi ci sono in tutte le città, anche se i ratti che alloggiano nella capitale sono di taglia piuttosto particolare. Come però, del resto, anche a Parigi. Nel 2008 il metrò ne fu letteralmente invaso. E due anni fa si sparse il panico per l’avvistamento dei roditori al Louvre, che ospita più turisti del Colosseo. L’anno scorso due studi americani hanno ipotizzato addirittura il rischio di un’epidemia di peste bubbonica a New York. Mentre sempre a luglio del 2015 un’associazione lanciò un allarme sull’emergenza topi a Milano, denunciando l’esistenza di 5 milioni di esemplari: stime che il Comune smentì sdegnosamente.
Il fatto è che Roma non è una città come tutte le altre metropoli. Purtroppo non lo è. La reputazione negativa che si è costruita in questi anni accompagna la capitale d’Italia come la nuvola di Fantozzi, agendo come micidiale cassa di risonanza. L’immagine di una città inemendabile non soltanto dagli scandali, ma anche dalle inefficienze di un’amministrazione mostratasi incapace di gestire i servizi essenziali, perseguita Roma. E questo non ha a che fare con il solito stereotipo di luogo di perdizione contaminato dalla politica corrotta che si porta dietro da tempo immemore. È lo stesso commissario straordinario Francesco Paolo Tronca ad aver descritto martedì davanti alla commissione parlamentare antimafia una realtà delle strutture comunali «bloccata e intimorita, alla quale l’indagine Mafia capitale ha dato il colpo di grazia». Una realtà, ha spiegato, nella quale «nessuno prende una decisione, nessuno mette una firma. Nessuno segnala criticità o problematiche in atto». I topi sono figli di questa situazione: per questo a Roma sono decisamente più pericolosi che a Parigi, New York o Milano.
Quanti ce ne siano, nella capitale d’Italia, nessuno lo sa con esattezza. Ma nelle riunioni che regolarmente si susseguono al Campidoglio su questo problema, con gli esperti che fanno sfilare davanti agli occhi dei dirigenti le slide con le immagini delle differenti razze di roditori, circolano numeri impressionanti. C’è chi stima la popolazione dei ratti capitolini fra i sei e i nove milioni di esemplari: da due a tre per ogni cittadino residente nel territorio comunale.
Qualcuno argomenta che si è finito per turbare l’equilibrio fra le specie animali, privando i topi dei loro nemici naturali. Un tempo Roma era una città invasa dai gatti da strada, soprattutto nel centro storico. Il Colosseo era il loro regno, così popolari i felini randagi da meritarsi anche un ruolo di prima fila nel grande schermo. Chi non ricorda gli Aristogatti di Walt Disney, dove il protagonista che nell’edizione originale è un gatto irlandese (Thomas O’Malley) in quella italiana diventa «Romeo, er mejo der Colosseo»? Altri tempi. Ora di gatti randagi non è rimasta neppure l’ombra. Ed è venuto meno un contributo al controllo dell’esplosione demografica dei ratti.
Un contributo modesto, s’intende. Almeno al confronto di altre metodologie: per esempio gli interventi di derattizzazione, che negli ultimi anni non sono forse stati così frequenti ed efficaci come sarebbe stato necessario. Per non parlare della causa principale della proliferazione dei topi: lo stato dell’igiene urbana. I cassonetti che non vengono svuotati regolarmente, i rifiuti che stazionano ammucchiati fuori dai ristoranti, i giardini pubblici trasformati in piccole discariche sono un’attrazione irresistibile non soltanto per i roditori ma pure per i gabbiani.
E convincono molto poco certe spiegazioni ufficiali, come quella secondo cui l’invasione dei topi a Palazzo Massimo, sede del museo romano, sia l’effetto degli scavi in una via limitrofa che spaventerebbero i ratti del sottosuolo spingendoli in superficie. Fosse davvero questo il motivo, non ci sarebbero così tanti ratti in altre zone del centro dove nessuno sta scavando. Anziché avventurarsi in tesi così ardite consigliamo quindi ai responsabili di far raccogliere la spazzatura e tenere le strade più pulite. Combatterebbero i topi e aiuterebbero Roma a scrollarsi di dosso lo stereotipo che la tormenta: quello di una città ormai perduta.