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 2016  marzo 03 Giovedì calendario

Santanchè, Razzi, Briatore e Salvini. Chi sono i trumpisti d’Italia

«Ah, lei dice che il centrodestra italiano è prudente su Trump, che non lo vorrebbe alla Casa Bianca? Problemi loro, non miei. Io tifo per Donald. A proposito, lo sa che siamo amici, no?». E fu così che Daniela Santanchè, esaurita la domanda all’apparenza retorica, si mette alla ricerca della foto che – «una quindicina d’anni fa, era venuto a Milano per una cena che avevo organizzato io» – la ritrae, sorridente, accanto all’ outsider che potrebbe contendere la Casa Bianca a Hillary Clinton. Nell’ideale partito dei «trumpisti italiani», a lei, alla Pitonessa, forse tocca la tessera numero uno. «L’America e il mondo hanno bisogno di Trump. Questo è il momento dell’identità, dei confini, dell’esclusione, mica dell’inclusione da panico... Io guardo all’amico Donald, al sindaco di Londra Boris Johnson, al premier olandese. A gente che ha una strategia, non a piccoli politicanti che moriranno di tattica». Endorsement pieno, netto, chiaro, senza eufemismi o giri di parole.
Com’è quello della tessera numero uno-bis dell’italico partito trumpiano. Assegnata, di diritto, a un altro che Trump lo conosce bene, ma bene davvero. E cioè Flavio Briatore. Racconta l’imprenditore cuneese che «non puoi mai capire chi è davvero Donald Trump se non passeggi con lui per una strada qualunque degli Stati Uniti. A me è capitato. Ha presente una camminata con i Rolling Stones? Ecco, adesso ha una vaga idea». Perché Trump, spiega Briatore, «è la sintesi massima del sogno americano. Piace ai ricchissimi, ai poveri, alla middle class perché, in differenti momenti della sua vita, è stato ciascuno di loro. È stato ricchissimo, è ricchissimo ma è anche caduto e ha saputo rialzarsi. Sbagliano tutti quelli che pensano che non sarà mai presidente degli Stati Uniti. Sbagliano di grosso. Io faccio il tifo per lui».
I contatti tra Briatore e Trump sono recenti, costanti, continui. Soprattutto dopo che il primo ha realizzato la versione italiana di The Apprentice, la «creatura» tv del secondo. «Prima dell’ultima puntata, venne da me e analizzò i profili dei finalisti e anticipò il nome del vincitore. Poi ci tuffammo in una riunione telefonica con Bernie Ecclestone...». Sì ma l’esaltazione di Mussolini, le accuse di fascismo? «Ma va», replica Briatore. «Donald Trump non è un fascista. Anzi, è una delle persone più democratiche che io conosca. Ha un dono. Sa che cosa vuol sentirsi dire la gente in un determinato momento. E lo dice. È un incrocio perfetto tra Silvio Berlusconi e Beppe Grillo».
Sarebbe sbagliato racchiudere gli ultras italiani di Trump all’interno dell’universo del Billionaire, quella marchio-bandiera dietro cui hanno sfilato insieme – per anni – Briatore e la Santanchè. Anche Matteo Salvini, uno che nei locali di Porto Cervo o di Cortina non ha mai messo piede, si professa un tifoso del magnate in corsa per la nomination repubblicana alla Casa Bianca. «Forza Trump», scandisce il leader del Carroccio durante la puntata di ieri di # Corrierelive. E dice perché: «Rigore, politiche di sicurezza e strategie di rilancio economico mi fanno dire Trump». E, in fondo, è lo stesso schema messo a verbale dall’unico forzista pronto a prendere un aereo per volare alla convention repubblicana a sostenere il suo idolo: Antonio Razzi. «Tra l’altro», spiega il senatore abruzzese, «mi spiegate come si fa a sostenere Hillary Clinton? Prima lu marito o ora la moglie. E che sono diventati, gli Stati Uniti, una monarchia? E poi dicono della Corea del Nord...».
Per un pezzo di centrodestra che gioisce per lo Zio Paperone delle primarie Usa ce n’è un altro che, invece, ha paura. Qualche settimana fa, per esempio, Renato Brunetta confidò che, pur di scongiurare una presidenza Trump, avrebbe addirittura votato per la democratica Clinton. Che è più o meno la stessa idea dell’altro capogruppo di Forza Italia, Paolo Romani. «La corsa tra Hillary e Trump mi spaventa tantissimo. Votare per la Clinton sarebbe improbabile. Ma uno come Trump non lo voterei mai, per nulla al mondo».
Dice Maurizio Gasparri, un altro che vede Donald Trump come fumo negli occhi, «che voterei sì per i Repubblicani. Ma quel signore mi crolla sui capelli. Quel riporto lo rende inaffidabile. Trump sembra creato dalla Clinton per far vincere lei. E comunque preferisco occuparmi di politica e non di folklore, grazie». E saluta, così.
Succeda quel che succeda, l’ascesa di Trump continua a sorprendere, a stupire, a lasciare senza fiato. Compresi quelli che, nel grande regno del berlusconismo, sono i meglio sintonizzati con le onde radio del Partito Repubblicano. Basti citare le prime righe con cui, il 10 agosto scorso, Giuliano Ferrara presentò un suo editoriale sul Foglio che parlava di donne. «Donald Trump è un noto tamarro, e se gli americani dovessero eleggere quel riporto ambulante presidente o anche solo candidato repubblicano mi strapperei i capelli». E forse ci siamo. Forse.