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 2016  marzo 03 Giovedì calendario

Marzo 1946, tutte in coda ai seggi

Il cinema propone gli albori delle mobilitazioni per il suffragio femminile attraverso il protagonismo militante di donne che hanno cambiato la storia. Il diritto di voto è un lungo cammino attraverso il Novecento, una tensione verso traguardi e obiettivi lontani. Per le donne è una sfida continua che si rinnova negli angoli più diversi del pianeta dove quel diritto non viene riconosciuto.
Nell’Italia piegata dal fascismo e dal conflitto mondiale il primo voto femminile cade nel marzo di 70 anni fa, nelle elezioni amministrative che inaugurano la partecipazione politica del dopoguerra. A più di dieci mesi di distanza dalla liberazione del 25 aprile 1945 la cifra della democrazia passa per l’inclusione di tanti con il conseguente allargamento delle basi di legittimazione della Repubblica. Il diritto di voto diventa un grimaldello che segna l’inizio di una nuova stagione, l’avvio di una fase costituente sotto tanti punti di vista (materiali, spirituali, istituzionali). Nel riconoscimento di un diritto individuale si saldano strategie e processi di lungo periodo: la ricerca di forme di partecipazione, l’avvio di possibili esperienze collettive, le opzioni sulle scelte fondanti di chi voleva cambiare rotta. La Repubblica diventa lo spazio per le nuove strategie di cittadinanza: per la prima volta si può pensare o tentare di diventare cittadine.
Una successione di 5 domeniche (10, 17, 24, 31 marzo e 7 aprile 1946) compone la prima tornata amministrativa dell’Italia liberata. La seconda qualche mese dopo, tra ottobre e novembre. In mezzo tra i due appuntamenti il referendum del 2 giugno, la scelta tra monarchia e repubblica e la contestuale elezione dell’assemblea costituente. Il voto per i comuni è quindi un passo verso il suffragio. La prima tornata nelle domeniche di 70 anni fa prevede il voto in 5722 centri (quasi l’80 per cento dei comuni del Nord, più dell’84 del Centro e quasi il 74 per cento di quelli del Sud); sono chiamati alle urne quasi 20 milioni di elettori, in maggioranza donne (quasi un milione più degli uomini). L’affluenza supera di poco l’82 per cento. È un successo diffuso, un fiume di partecipazione che unisce il paese in un clima di festa. Le cronache locali raccontano il nuovo inizio: «La presenza di queste donne, madri, vecchie, suore, operaie e contadine dinanzi ai seggi ove vengono per la prima volta a fare uso del più alto diritto civile e ad affermare la vera appartenenza al corpo sociale, ha consigliato gli spiriti a un rispetto quasi religioso del luogo e delle persone. Le donne sono state la grande novità di queste elezioni: popolane e signore, vecchie e giovani, sole o in compagnia. Parecchie mogli hanno potuto dividere con il marito l’attesa e poi l’emozione del voto; si sono viste giungere intere famiglie, magari divise nei pareri ma a braccetto. Anzi l’elemento femminile è accorso per primo davanti alle sezioni. Molte donne uscite dalle chiese dopo la prima Messa si sono recate subito a votare per poter tornare a casa ad accudire alle faccende domestiche. Non sono mancate le donne con il bambino in braccio. Il piccolo intruso è stato causa di un certo imbarazzo quando la mamma ha dovuto entrare nella cabina». Tra gli eletti una giovane sindaco nel comune di Massa Fermana. Molti anni dopo ha scritto senza retorica della sua esperienza di amministratrice e di un’Italia in divenire: «Trattandosi di un piccolo comune povero, bisognoso di tutto, da tutti dimenticato, da Dio e dagli uomini, ho dovuto farmi carico di grossi problemi quali le strade, le fogne, le scuole, le case, l’acqua, la luce. Dico senza presunzione farmi carico perché tutte le fatiche dell’amministrazione ricadevano, quasi esclusivamente sulle mie spalle. Rimboccandomi le maniche sono riuscita a risolvere molti problemi urgenti. Questo è il mio curriculum». Un lascito prezioso quel «farsi carico», frutto delle scelte dei partiti di massa vogliosi di radicarsi e rafforzarsi nella nascente democrazia (Togliatti e De Gasperi su tutti), delle aperture interessate della Chiesa e soprattutto della spinta di organizzazioni femminili da mesi impegnate nella campagna per ottenere il diritto di voto.
La premessa di un lungo dopoguerra è ben racchiusa nelle riflessioni autobiografiche che Norberto Bobbio ha dedicato alle origini della democrazia italiana venti anni fa, in occasione del cinquantenario del 1946: «Quando votai per la prima volta alle elezioni amministrative dell’aprile ’46 avevo quasi trentasette anni. L’atto di gettare liberamente una scheda nell’urna senza sguardi indiscreti, un atto che ora è diventato un’abitudine, apparve quella prima volta una grande conquista civile che ci rendeva finalmente cittadini adulti. Rappresentava non solo per noi ma anche per il nostro Paese l’inizio di una nuova storia».