la Repubblica, 3 marzo 2016
Fosse americano, Michele Serra voterebbe per Hillary (ma con il cuore dalla parte di Sanders)
Bernie Sanders è magnifico. Mite, spiritoso, profondo, ambientalista, perfino socialista. Hillary Clinton nessuna di queste cose. È solo una intelligente, affidabile, bene introdotta professionista della politica, estera in particolare. Come tutti o quasi i progressisti del mondo, in tutte o quasi le elezioni del mondo, i democratici americani devono scegliere tra un candidato entusiasmante, ma troppo radicale per la media dell’opinione pubblica e quasi sicuramente perdente nello scontro finale per la Casa Bianca, e un candidato probabilmente vincente (perché non radicalizza il conflitto sociale) ma di scarso appeal ideale (perché non radicalizza il conflitto sociale). La necessità di battere Trump, qualora conquisti la nomination repubblicana, rende ancora più grande la responsabilità della scelta. Fossi americano non saprei che pesci pigliare. Probabilmente alla fine voterei Hillary, senza entusiasmo e con il cuore per Bernie. Tutto, pur di non vedere Trump diventare capo del mondo. Ma c’è da domandarsi – americani, italiani e altri – se questa scissione tra sconfitta virtuosa (Sanders) e vittoria viziata da compromessi e moderatismo (Clinton) sia, per la sinistra, una eterna condanna; oppure se esista una maniera di ricucire, prima o poi, il doloroso strappo tra speranza e realtà.